NON SI PLACA LO SDEGNO,MA SI CERCANO NUOVE STRADE PER DARE GIUSTIZIA A STEFANO
di Dr.ssa Barbara Fuggiano
In attesa del deposito delle motivazioni della sentenza di appello con la quale vengono assolti, seppur non con formula piena, tutti gli imputati (tra i quali anche i medici che in primo grado erano stati ritenuti responsabili dell’omicidio colposo del giovane Stefano Cucchi per colpa generica), non possono e non devono passare inosservate le immediate reazioni dell’opinione pubblica e dei tristemente noti protagonisti del processo.
Il difensore della famiglia Cucchi, l’Avv. Fabio Anselmo, che all’alba dell’udienza preliminare aveva già predetto l’esito di questa vicenda giudiziaria, ha già annunciato di attendere il deposito della decisione per preparare – com’è ovvio – il ricorso in Cassazione e avviare un’azione di risarcimento danni contro il Ministero della Giustizia, dal momento che da entrambi i processi emerge con chiarezza che all’interno delle celle del Tribunale un pestaggio c’è stato, nonostante le prove non siano state ritenute sufficienti per riconoscerne gli autori.
Il Segretario Generale del Sindacato di Polizia S.A.P., Gianni Tonelli, ha sorprendentemente (e spaventosamente) commentato l’assoluzione in questi termini: “bisogna finirla in questo Paese di scaricare sui servitori dello Stato la responsabilità dei singoli, di chi abusa di alcol e droghe, di chi vive al limite della legalità. Se uno ha disprezzo della condizione di salute, se uno conduce una vita dissoluta, ne paga le conseguenze”. Parole dalle quali, per fortuna, diversi appartenenti alle Forze dell’Ordine si dissociano, ma che non sono rimaste isolate.
Credo che a molti queste parole abbiano ricordato il triste sit-in organizzato da un sindacato della Polizia proprio sotto l’ufficio della mamma di Federico Aldrovandi, con lo slogan “La legge non è uguale per tutti” in solidarietà ai colleghi condannati per la morte del ragazzo.
Nell’ambito di un’intervista rilasciata a Repubblica, anche Antonio Domenici, un agente di polizia penitenzia indagato e assolto (in entrambi i gradi di giudizio) per la morte di Stefano Cucchi, ha riservato durissime parole per il processo: “quello che la famiglia Cucchi sta cercando è la loro verità, non quella delle carte… Le vittime siano anche noi. Messi sul banco degli imputati senza motivo… Nessuno può capire cosa vuole dire sapere di non avere fatto nulla ed essere etichettato come un aguzzino, un nazista”, ma forse la sua posizione è più comprensibile rispetto a quella del Segretario del S.A.P.
A chi ha seguito il processo di primo grado di Stefano Cucchi, comunque, non possono essere sfuggite diverse incongruenze sul reale coinvolgimento degli agenti imputati; inoltre, è doveroso considerare innocenti tutti gli imputati fino al sopraggiungere di una condanna definitiva (e, in alcuni casi, anche in presenza di quest’ultima). Ciò non significa che non ci siano in toto dei responsabili, può “solo” voler dire che essi non siano stati ben individuati.
Ho sempre utopisticamente portato avanti, da una parte, l’idea per la quale la verità processuale deve in ogni modo arrivare a coincidere il più possibile con quella storica (idea tanto inculcata nelle aule scolastiche quanto dimenticata nelle aule dei tribunali) e, dall’altra, la convinzione secondo cui il sistema sanzionatorio italiano è totalmente inadeguato a perseguire gli scopi per cui è stato progettato. Da qui, il massimo rispetto per la presunzione di innocenza e per il principio dell’oltre ragionevole dubbio. Ma gli episodi di violenza che coinvolgono la Polizia mi hanno sempre indignato, caricato (forse) di pregiudizi.
Sarà per via del compito istituzionale affidato alle Forze dell’Ordine, di tutela e protezione della società, sarà per quel “contatto sociale” che si instaura nella relazione tra il privato e il pubblico ufficiale, più o meno come accade con il medico. E’ inevitabile che di fronte alla presenza di un rapporto ad armi impari, ove un soggetto è affidato all’altro poiché si trova in una posizione di debolezza, l’abuso del potere o della forza disgustino. Certo, tutto è da provare e la colpevolezza non può essere presunta, ma almeno la reazione, per quanto forte, delle vittime ha bisogno di comprensione e, ancor prima, di rispetto.
Stefano Cucchi era nelle mani dello Stato, dei carabinieri, della polizia penitenziaria e, da ultimo, dei medici. Nessuno è riuscito a proteggerlo e, date le numerose persone con cui è venuto in contatto, è abnorme pensare che non si sia voluto proteggere da solo.
La sorella di Stefano, Ilaria Cucchi, sempre pronta a non perdere la forza di farsi sentire con dignità, ha affermato: “L’assoluzione per insufficienza di prove non è il fallimento mio o del mio avvocato, ma il fallimento della Procura di Roma. Chiederò al procuratore capo di Roma, Giuseppe Pignatone, che assicuri alla giustizia i colpevoli della morte di mio fratello, perché due sentenze hanno riconosciuto il pestaggio e lo Stato italiano non può permettersi di giocare allo schiaffo del soldato, come ha detto in aula ieri il mio avvocato. Mio fratello è morto e non si può girare e indovinare chi è stato, devono dircelo loro. Tante volte ho attaccato il lavoro dei pm e sono stata molto criticata per questo, anche in aula dai difensori. Oggi ho l’ulteriore prova che avevo ragione”.
In particolare, Ilaria ha denunciato Paolo Arbarello, ex direttore del dipartimento di medicina legale dell’Università di Roma La Sapienza per aver redatto, quale consulente del P.M., una perizia pilotata sulla morte del fratello. In primo luogo, infatti, da alcune intercettazioni sembra emergere che, nel corso di singole riunioni medico-legali, Arbarello – che, ad oggi, minaccia una denuncia per diffamazione – avrebbe rassicurato più volte i consulenti tecnici degli imputati sul fatto che sarebbe stato riconosciuto che Stefano è morto naturalmente, a prescindere, cioè, dalle lesioni subite. In effetti, nella perizia, da sempre contestata dai Cucchi, la morte del ragazzo si imputa all’inazione e non al pestaggio. In secondo luogo, la famiglia lamenta un conflitto di interessi del C.T. nella vicenda di Stefano, dato che a maggio 2012 era stato nominato componente del Consiglio di Amministrazione della Milano Assicurazioni, acquistata poi dall’ente assicurativo dell’Ospedale Sandro Pertino ove Stefano trovò la morte.
Il Procuratore Capo di Roma, Giuseppe Pignatone, in seguito all’incontro con Ilaria e l’Avv. Anselmo, non ha riaperto le indagini sulla morte del ragazzo al fine di ricercarne i responsabili, ma ha avviato un’inchiesta, ancora senza ipotesi di reato e senza indagati, sulla base della denuncia sporta.
Intanto la solidarietà dell’opinione pubblica si fa sentire, a partire da Adriano Celentano (“Ciao Stefano! Hai capito adesso in che mondo vivevi? Certo dove sei ora è tutta un’altra cosa. L’aria che respiri ha finalmente un sapore. Quel sapore di aria pura che non ha niente a che vedere con quella maleodorante che respiravi qui sulla terra.”), da Jovanotti (“Quando la Polizia prende in consegna un cittadino disarmato, lo arresta, in base al diritto democratico quella persona deve potersi sentire totalmente al sicuro anche nel caso più estremo, anche se fosse il peggiore dei fuorilegge. È una cosa ovvia, la cosa più ovvia, la base stessa di una democrazia. Tocchi questa cosa e salta tutto per aria”) e da Pietro Grasso (“Vorrei fare un appello. Ci sono dei rappresentanti delle Istituzioni che sono certamente coinvolti in questo caso. Quindi, chi sa parli. Che si abbia il coraggio di assumersi le proprie responsabilità, perché lo Stato non può sopportare una violenza impunita di questo tipo”), sino a tutti quelli che hanno partecipato alla fiaccolata “Accendiamo la verità, mille candele per Stefano Cucchi” organizzata dalla famiglia Cucchi e dall’associazione Acad (contro gli abusi in divisa) a Roma, in Piazza Indipendenza, davanti al C.S.M. per sabato 8 novembre.