RAWAN, SPOSA BAMBINA, MUORE A SOLI 8 ANNI
di Alessia Rondelli (praticante avvocato Studio Legale Associato Rossi-Papa-Copparoni di Ancona)
Yemen, 15 settembre 2013- La vicenda è solo l’ultima delle tante storie che descrivono il dramma delle spose-bambine, fenomeno aberrante sviluppatosi in particolare nei paesi islamici. Rawan, bambina di soli 8 anni, è stata venduta come sposa dal padre ad un uomo 40enne e morta dopo la prima notte di nozze per le lesione interne riportate. Questa notizia è stata ovviamente smentita a gran voce dai vertici della provincia di Al Hardh, che hanno in tutti i modi cercato di insabbiarla, ma il giornalista yemenita freelance, Mohammad Radman, si dice convinto della veridicità della vicenda e sicuro delle sue fonti.
Questo caso fa riaccendere i riflettori sulla prassi diffusa da sempre nei paesi del medio oriente, ed in particolare nelle zone rurali dove il tasso di povertà è allucinante, di vendere le figlie femmine, ancora bambine, come spose a ricchi uomini in cambio di somme di denaro. Questione quindi economica perché le famiglie trovano in questa pratica il modo di guadagnare denaro, ma sicuramente si tratta più di una questione ideologica-religiosa.
Da sempre nell’Islam non esiste una legge antipedofilia né tantomeno una legge che impone un’età minima per contrarre matrimonio perché ciò sarebbe contrario alla volontà di Dio. Infatti tale tradizione viene spiegata religiosamente con la storia di Maometto, che sposò Aisha quando lei aveva solo 6 anni e consumò il rapporto quando questa raggiunse i 9 anni. Secondo i dati raccolti dalle Nazioni Unite nel mondo mussulmano sono circa 60 milioni le spose-bambine con età inferiore ai 13 anni, costrette a sposarsi con uomini molto più grandi, spesso parenti, destinate perciò a subire molestie e violenze di ogni genere. Infatti la medicina parla chiaro: le gravidanze in tenera età hanno conseguenze devastanti in un corpo non formato e non pronto, espongono a malattie croniche, aumentando la percentuale di morte per parto di cinque volte nonché quella del feto del 73%. Sicuramente oggi sono aumentate le associazioni che lavorano direttamente sul territorio, con il fine di combattere questa primitiva tradizione contraria ad ogni basilare diritto umano, cercando di ottenere un cambiamento anche a livello legislativo, finora però senza risultati. Si tratta di un problema complesso perché oltre ad essere una tradizione radicata in una religione fondamentalista ed in una società molto severa, è legata anche al profilo prettamente economico di una povertà estrema, ostacolo difficile da abbattere.
È un fenomeno esteso e drammatico, che ha spinto molti paesi a prendere provvedimenti al riguardo, come di recente ha fatto l’Europa con la firma della Convenzione di Istanbul nel maggio 2011 “sulla prevenzione e lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica”. Specificatamente in merito al matrimonio forzato l’art. 37 prevede che ogni singola parte sottoscrivente “adotti misure legislative o di altro tipo necessarie per penalizzare l’atto intenzionale di costringere un adulto o un bambino a contrarre matrimonio”. Si tratta di un documento veramente importante in vista della creazione di un sistema giuridico il più possibile completo e adeguato anche a livello internazionale, incentrato sulla tutela delle donne contro qualsiasi forma di violenza, che impegna ufficialmente ogni Stato membro a fare del suo meglio in questa lotta, sia nel settore legislativo che preventivo.