di MICHELE DICUONZO **
L’intelligenza artificiale (I.A.) al giorno d’oggi desta l’interesse sempre più vivo degli scienziati delle più diverse discipline, come l’ingegneria biomedica o la chirurgia robotica.
Anche il diritto, come scienza, non si è sottratto a tale dibattito, non essendo mancate voci favorevoli alla introduzione di un’intelligenza artificiale anche in ambito giudiziario.
Rievocando il mito di Prometeo, alcuni studiosi hanno immaginato la creazione di una macchina pensante capace di sostituire l’uomo nella risoluzione di controversie e nell’applicazione della legge.
L’idea di un “giudice-robot” è nata in Estonia.
Dal 1997, lo stato nordico ha avviato il progetto “e-Estonia”, diventando così un modello in tutta l’Europa di evoluzione tecnologica.
La piattaforma digitale “X-road” permette anche la risoluzione di controversie giudiziarie del valore massimo pari a € 7.000. Le parti di un contenzioso inseriscono tutti i dati, gli atti e i documenti, affidando ad un algoritmo, appositamente elaborato da un team di esperti nominati dal Governo, la soluzione del caso. Va, peraltro, precisato che, al fine di contemperare l’esigenza di assicurare nella decisione della controversia l’apporto umano, è pur sempre riconosciuto il diritto alle parti di impugnare la sentenza del “giudice-robot” dinanzi ad un giudice umano.
Se in Estonia il giudice-robot rappresenta una realtà, in Italia questa modalità di risoluzione delle controversie giudiziarie desta ancora molte perplessità.
L’ammissibilità di una tale figura nel nostro ordinamento induce il giurista a compiere un’analisi del fenomeno sotto molteplici aspetti, approfondendo la conformità di tale figura ai principi sia etico-sociali sia costituzionali.
In un’epoca, come la nostra, in cui si diffonde il bisogno pressante dell’uomo di assicurarsi un’esistenza rassicurante, priva di dubbi, incertezze e, soprattutto, di errori, il giurista cede al fascino di ipotizzare l’avvento di una “giustizia predittiva”.
In tale ottica, la tecnologia e gli algoritmi sono, pertanto, considerati uno strumento attraverso il quale evitare i rischi connessi all’agire umano.
A tale visione si può facilmente obiettare che l’attività giurisdizionale non può limitarsi ad essere concepita come una semplice applicazione meccanica di principi e regole di stampo giuridico, poiché il “vero diritto” è innanzitutto una scienza sociale e nella sua stessa definizione è intrinseca l’imprescindibilità dell’esperienza umana.
Per questo motivo, anche il diritto più meccanico necessita di un individuo fisico che dia le indicazioni operative fondamentali alla macchina.
Il giudice non può essere privato del suo personale “senso di giustizia”, diventando un automa esclusivamente capace di applicare la legge. Egli deve assumere la piena consapevolezza del suo ruolo sociale, andando al di là di un compito puramente tecnico e dotarsi di un adeguato spirito critico che lo distingua da un robot.
Infatti, la realtà con cui ogni giorno il giudice si confronta, nelle aule di tribunale, non è fredda ed impassibile come un mero calcolatore matematico, ma è una realtà, il più delle volte, difficile e intrisa delle più disparate problematiche sociali ed incline a suscitare molteplici emozioni anche forti ed aspre. Per analizzare e comprendere fino in fondo la complessa realtà giudiziaria occorre una massiccia dose di sensibilità, attenzione e coscienza, che può derivare solo dall’esperienza umana.
Ma le perplessità maggiori nei riguardi dell’introduzione di una I.A. con funzioni giudicanti si riscontrano nella verifica del rispetto dei principi sanciti nella Costituzione Repubblicana.
In particolar modo, si evidenzia l’incompatibilità con l’art.111 Cost., che detta il principio del “giusto processo”, prevedendo che “ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a giudice terzo e imparziale…”.
Ebbene, se si assumessero decisioni sulla base di algoritmi determinati, si avrebbe una violazione del principio di indipendenza del giudice, in quanto l’intelligenza artificiale opera sulla base di algoritmi e di dati inseriti al suo interno dagli stessi creatori della I.A.
L’algoritmo, in realtà, non è frutto di una valutazione oggettiva, ma soggettiva, poiché è un’entità realizzata da uomini che, in quanto tali, possono anche commettere errori di calcolo.
A ciò si aggiunga che il comma 6 del citato art.111 Cost. esige che il giudice spieghi i motivi e le valutazioni poste a fondamento della propria decisione, sicché appare evidente l’incompatibilità costituzionale di un sistema artificiale in cui prevale l’interesse dei tecnici alla protezione e alla riservatezza dell’algoritmo progettato, dal momento che esso è normalmente coperto dal segreto industriale.
Un’ulteriore problematica applicativa risiede nel rischio di una stasi o cristallizzazione del diritto.
Non è superfluo ricordare che il “diritto scritto” non sempre coincide con il “diritto vivente”, sintagma con il quale si indica l’evoluzione interpretativa caratterizzante una determinata norma a seguito dell’affermarsi di una consolidata posizione interpretativa assunta dalla giurisprudenza e dalla dottrina.
Ora, appare di intuitiva evidenza l’impossibilità di attribuire al giudice-robot la capacità di adeguarsi ai cambiamenti storici, nel senso che “il giudice-robot” non potrà mai essere dotato di una coscienza sociale, l’unica in grado di consentire l’adeguata valutazione dei processi di evoluzione o di involuzione di una certa realtà sociale e, di riflesso, di dare concreta attuazione al diritto vivente.
Esistono attualmente le condizioni per introdurre nel diritto la categoria della ‘personalità elettronica’ e, quindi, per attribuire una responsabilità diretta al “giudice-robot”?
La disciplina attualmente vigente, nel caso di danni (patrimoniali e non patrimoniali) provocati da un robot a causa di difetti di progettazione, fabbricazione o funzionamento del software o dell’algoritmo che governano il robot, configura una responsabilità oggettiva in capo al suo tecnico-programmatore ex art.2049 c.c.
In realtà, a parere di chi scrive, tale disciplina non è sempre applicabile,specie nel caso in cui l’errore giudiziario non sia imputabile al tecnico, ma alla macchina stessa. Il “giudice robot”, infatti, è concepito come un’intelligenza autonomamente pensante, la cui finalità si esplica nella sostituzione del giudice umano.
Al riguardo, appare doveroso il richiamo alla legge n.18/2015, la quale, prevedendo la responsabilità del magistrato per dolo, colpa o di diniego di giustizia, è concepita per il solo errore umano che cagioni un danno.
Pertanto, è auspicabile un intervento legislativo al fine di prevedere una responsabilità diretta in capo alla stessa intelligenza artificiale.
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Bibliografia/Sitografia
- “Per un diritto che non serve. La cultura giuridica e le sfide della tecnologia” di Tommaso Greco, Giustizia Insieme.
- “Il giudice e l’algoritmo (in difesa dell’umanità del giudicare)” di Carlo Vittorio Giabardo, Giustizia Insieme.
- “Debutta in Estonia il giudice-robot: le sentenza dall’intelligenza artificiale” di Antonio Dini, Corriere Comunicazioni.
- “La riforma della responsabilità civile dei magistrati nella legge n. 18 del 2015”, sito ufficiale della Camera dei Deputati
**ARTICOLO SELEZIONATO COME VINCITORE DELLA CATEGORIA “DIRITTO DELLE NUOVE TECNOLOGIE” del progetto di Law Review realizzato in collaborazione tra Associazione Culturale Fatto&Diritto e ELSA Macerata