SECONDO CD DEI RECANATESI LETTERA 22
– RECANATI – di Giampaolo Milzi – Cieli coperti su spiagge di bagnanti. Il senso d’impotenza di una generazione. La mutezza dei monumenti e dei centri storici, baluardo di una tradizione svuotata di storia e memoria. E la disperata ricerca dell’autenticità di rapporti sempre più sfilacciati, minati da una precarietà geografica ed esistenziale senza precedenti. Tutto questo è “Le nostre domeniche”, il secondo album in studio dei Lettera 22, edito all’inizio di questo novembre da Libellula. Un lavoro – impreziosito dalla produzione artistica di Paolo Benvegnù – che si inscrive nella tradizione cantautorale italiana con la volontà di costituire la testimonianza, l’epica minima di un tempo tutt’altro che sereno e stabile. “Le nostre domeniche” escea quasi tre anni dall’esordio dell’album “Contorno occhi”. Tre anni in cui la band di Recanati (MC) ha ristrutturato il sound e rigenerato l’immaginario lirico. Il titolo del disco prende spunto dalla domenica come la dimensione in cui le canzoni sono state concepite e sono nate: come tempo liberato dal lavoro e dilatato dall’assenza dello stesso, tempo ritagliato per trovarsi e fare musica. Le 12 tracce del Cd, nel loro toccare mondi sonori molto diversi, sono un racconto sul senso del tempo e sulla percezione che di esso abbiamo. Lo scorrere del tempo e i suoi effetti solo il “filo rosso” che lega queste storie. Il tempo speso nell’attesa di un obiettivo e carico di aspettativa del singolo “I giorni che non c’eri”; il tempo imploso in una fotografia, l’istante in cui la “grande” storia si riverbera nel quotidiano di “1980”; il tempo della fine delle aspirazioni e della crisi, che definisce lo scontro fra idealità e reale di “Contanti”; il tempo che si sedimenta fra individui e amplifica la distanza di “Ti chiamo per nome”; il tempo che certifica la fine di un rapporto di “Centimetri”; il tempo per osservare la realtà dalla giusta prospettiva di “Continentale”; il tempo che precede una rivelazione e dal quale partiamo per riappropriarci delle nostre vite di “Finestre aperte”; il tempo della relazione fra sensibilità differenti, il frangente in cui collidiamo con un “altro” da noi di “Di un giorno feriale”; l’altro “tempo”, quello dello scorrere delle stagioni, misurato coi parametri di una natura che non si cura delle quisquilie degli uomini di “Aironi”; il tempo circoscritto dall’abitudine dei gesti, speso cercando di costruire con pazienza un istante che sia perfetto de “Il sarto”; il tempo fuori dal calcolo normale dello stesso, in un “non luogo”, dove il desidero scandisce l’attesa per qualcuno di importante di “Drive in”; il tempo dei luoghi dai quali proveniamo e nei quali rischiamo di rimanere imprigionati. Luoghi “comuni” a tutti, dove le abitudini diventano noia, dove immaginarsi diversi e mettere in atto questa immaginazione è ancora l’atto più eversivo possibile, come nella title track che chiude il disco. “Le nostre domeniche” è un album che racconta la necessità di riappacificarsi con le proprie radici, di perdonare il luogo da cui si proviene che non offre altra scelta se non quella di andarsene – raccontano i Lettera 22-. Per questo motivo l’immagine ricorrente delle 12 canzoni, reinterpretata nell’artwork dall’artista brasiliana Thais Graciotti, è il mare: il mare come allegoria di cambiamento e di stasi, soglia concreta di un’italianissima provincia costiera. Ne “Le nostre domeniche” il confronto è anche con la generazione dei nostri padri, con il senso della Storia e del tempo che passa. Trovarsi nell’oggi avendo coscienza dello ieri, senza sapere come fare a mettere insieme i pezzi di un puzzle impazzito”. Questa dimensione si riflette anche nel sound dell’album, che unisce l’esperienza europea della new wave e della new romantic a un gusto per il calore analogico, per la melodia e la ricerca nei testi più marcatamente italiano.
Infoweb: www.facebook.com/lettera22band
(tratto da Urlo – mensile di resistenza giovanile)