DALLA LEGGE FOSCHI AL DECRETO MINNITI-ORLANDO
di Avv. Michela Foglia
Risale al 15 marzo scorso il rinvio alle Sezioni Unite, operato dalla Prima Sezione penale della Suprema Corte, sulla questione relativa all’individuazione della natura giuridica delle circostanze previste dall’art. 12 comma 3 del d.lgs. 286/1998, in merito alla quale la Corte ha evidenziato un contrasto giurisprudenziale tra decisioni che le hanno considerate circostanze aggravanti ad effetto speciale e decisioni che, al contrario, le hanno ritenute figure autonome di reato.
Sempre negli stessi giorni si è anche avuta notizia del sequestro preventivo della nave della Ong spagnola ProActiva Open Arms da parte della Procura di Catania e delle indagini nei confronti del suo equipaggio: la fattispecie di reato in contestazione, dopo che è stata ritenuta insussistente dal Gip l’associazione per delinquere, sarebbe quella di immigrazione clandestina.
L’ipotesi iniziale avanzata dalla Procura di Catania, in virtù della quale era contestata alla Open Arms la fattispecie di reato prevista all’art. 12, commi 3 e 3-ter, d.lgs. 286/1998, era, infatti, che i volontari avessero rifiutato di restituire i migranti soccorsi in mare al largo della Libia in tre distinte operazioni di salvataggio avvenute in acque internazionali, a una motovedetta della Guardia costiera di Tripoli che era arrivata nel frattempo, con l’obiettivo di sbarcare i migranti in Italia, favorendo, così, l’immigrazione clandestina.
Data la delicatezza della tematica, soprattutto nel periodo storico attuale, appare opportuno, al fine di poter meglio comprendere le motivazioni del rinvio nonché alcuni recenti fatti di cronaca, fare una panoramica sulla disciplina del fenomeno migratorio che, indubbiamente coinvolge i diritti fondamentali degli individui e è destinata costantemente a dispiegare i suoi effetti non solo sul piano nazionale, ma anche, inevitabilmente a livello internazionale e umanitario.
Occorre premettere che il fenomeno immigratorio ha investito il sistema politico italiano solo verso l’inizio degli anni Ottanta, allorché ci si rese conto, dopo una serie di integrazioni con circolari ministeriali del TU delle Leggi di Pubblica Sicurezza del 1931 e forse con colpevole ritardo, che l’afflusso in costante aumento di cittadini stranieri nel Paese aveva urgenza di essere regolato in modo più organico.
Sicchè nel 1986 fu approvata la legge n. 943/1986, cosiddetta legge Foschi, cui si devono l’introduzione di una norma sul ricongiungimento familiare, le prime disposizioni in materia di soggiorno turistico e per motivi di studio e la programmatica dichiarazione del principio di piena uguaglianza formale fra lavoratori italiani e stranieri; al medesimo periodo risale anche la grande sanatoria che coinvolse oltre 100.000 immigrati presenti in Italia.
Stante il perdurare del flusso di immigrati cui la legge Foschi, rimasta per lo più inattuata, non era riuscita a dare una risposta risolutiva, qualche anno dopo si tentò di intervenire, sempre nel pieno della fase emergenziale, con la legge Martelli che, a tutt’oggi, rappresenta ancora le fondamenta su cui poggia la nostra attuale legislazione in materia.
Promulgata a ridosso del crollo del regime sovietico, in un periodo caratterizzato da continui sbarchi sulle coste pugliesi di cittadini albanesi, la legge Martelli affianca alla finalità preventiva di programmazione quantitativa degli immigrati economici, fissata sulla base delle necessità del mercato del lavoro italiano e regolata attraverso il rilascio di un permesso di soggiorno ad hoc dalla Questura, ad una serie di disposizioni di carattere penale per l’espulsione di stranieri pericolosi o irregolari.
Le restrizioni circa le condizioni d’ingresso in Italia e la diffusione della procedura di espulsione dei cittadini stranieri, attuata con decreto amministrativo, non solo nei confronti di singoli immigrati ma anche come strumento di contrasto dell’immigrazione irregolare, erano la risposta anche alle pressioni provenienti da altri Stati europei, per i quali l’adesione dell’Italia al trattato di Schengen era fonte di preoccupazione per il possibile ingresso di cittadini stranieri provenienti dall’Italia nei loro territori.
Seguì un periodo in cui in Italia si succedettero una serie di intervenuti normativi caratterizzati da una percezione dell’immigrazione come fenomeno per lo più negativo, da reprimere con previsioni per lo più repressive, come quelle volte a innalzare a dieci anni il termine per la residenza legale continua in Italia per ottenere la cittadinanza, a introdurre nuove fattispecie di reato ascrivibili agli irregolari e a snellire la procedura di espulsione.
A chiudere questa prima fase, caratterizzata da interventi normativi in circostanze emergenziali, provvede la Legge Turco-Napolitano nel 1998 che può essere considerata la prima legge di immigrazione italiana di carattere generale e sistemica, che, per la prima volta, prevedeva un coordinamento con la politica estera mediante un sistema di quote privilegiate a favore dei Paesi che avessero collaborato al rimpatrio di immigrati espulsi dall’Italia.
Oltre a favorire l’integrazione non solo lavorativa ma anche sociale degli immigrati, estendendo le cure sanitarie di base anche ai clandestini, la nuova normativa introduceva nuovi casi di accompagnamento alla frontiera per l’espulsione degli stranieri irregolari; risale alla Legge Turco-Napolitano anche la previsione dei centri di permanenza temporanea (CPT), originariamente creati per la detenzione, fino a 30 giorni, degli immigrati, al fine di identificarli e, eventualmente, espellerli.
Si deve al d.lgs. n. 268/1998 anche l’introduzione del reato di favoreggiamento e sfruttamento dell’immigrazione clandestina, previsto al primo comma dell’art. 12 e volto a punire, salvo che la condotta non costituisca reato più grave, “chiunque promuove, dirige, organizza, finanzia o effettua il trasporto di stranieri nel territorio dello Stato ovvero compie altri atti diretti a procurarne illegalmente l’ingresso nel territorio dello Stato, ovvero di altro Stato del quale la persona non è cittadina o non ha titolo di residenza permanente”.
La fattispecie va annoverata tra i reati di pericolo, essendo sufficiente l’idoneità della condotta a raggiungere il risultato dell’ingresso nel territorio dello Stato (Cass. Pen. Sez. I, n. 1082/2009); la condotta penalmente rilevante, oltre ad essere singola, può consistere in una vera e propria attività dedita al favoreggiamento o allo sfruttamento dell’immigrazione clandestina (Cass. Pen. Sez.III, n. 35629/2005).
Al comma 5 del medesimo articolo venne, inoltre, introdotto, il reato di favoreggiamento della permanenza illegale, volto a punire tutte le condotte finalizzate a favorire la permanenza illegale dello straniero in Italia.
Il costante aumento dell’immigrazione e l’acceso e perenne dibattito che interessava la materia, principalmente a causa di un avvertito aumento della criminalità nel Paese nonché dell’impatto della nuova emergenza terrorismo, segnò un periodo in cui gli interventi normativi che seguirono la Turco-Napolitano furono tutti improntati ad un’ottica repressiva: la Legge Bossi-Fini del 2002 accorciò a due anni la durata dei permessi di soggiorno, potenziò il ruolo dei CTP, introdusse la rilevazione delle impronte digitali per tutti gli stranieri e la fattispecie di reato di permanenza clandestina, modificata poi nel 2011 a seguito della sentenza della Corte di Giustizia (CGCE, 28.04.2011, C-61/11).
L’armonizzazione con gli altri Stati europei della politica sull’immigrazione italiana operata dal recepimento della normativa comunitaria del 2003 e del 2004 fu seguita da un nuovo irrigidimento delle previsioni in materia, operata dal pacchetto sicurezza varato dall’allora ministro di centrodestra Maroni, grazie al quale il corpus legislativo, già improntato ad una certa severità, venne nuovamente inasprito, mediante l’aggravio delle pene per il reato di favoreggiamento all’immigrazione clandestina, l’aumento a sei mesi del tempo massimo di permanenza nei CPT (rinominati CIE, Centri di identificazione ed espulsione) nonchè con le nuove fattispecie di reato quali l’ ingresso e il soggiorno illegale.
Quest’ultima nuova contravvenzione, veicolata dalla l. 94/2009 all’art. 10-bis del d.lgs n.286/1998, prevede due ipotesi di reato: la prima consistente nella condotta tipica dell’ingresso illegale ovvero nell’introdursi nel territorio italiano violando le norme in materia, la seconda rappresentata, invece, dal soggiorno illegale che punisce chi, pur essendo entrato regolarmente in Italia, vi permane anche quando non vi è più legittimato.
Le perplessità sin da subito rilevate dalla dottrina relativamente alla legittimità costituzionale di questa nuova incriminazione, una volta investita della questione la Consulta, sono state risolte da quest’ultima in termini affermativi: con la Sentenza n. 250/2010 i Giudici della Corte Costituzionale hanno, difatti, statuito che la norma in questione non si pone in contrasto con il principio di offensività posto che non punisce la mera disobbedienza o lo status di clandestino, bensì le condotte che si pongono in contrasto con l’interesse pubblico al controllo e alla gestione dei flussi migratori.
Una nuova armonizzazione alle direttive europee ha solo parzialmente mitigato, nel periodo successivo, quest’impostazione notevolmente restrittiva che caratterizza le norme in materia di immigrazione, mettendo in evidenza le notevoli difficoltà con le quali l’Italia ha fatto fronte al fenomeno migratorio nell’ultimo ventennio.
Significativo del costante bilanciamento tra le esigenze di repressione e il rispetto degli orientamenti comunitari, è anche l’intervento di modifica operato dal d.l. 89/2011 sull’art. 14 comma 5-ter, a seguito dell’impatto di una sentenza della Corte di Giustizia nella quale il giudice sovrannazionale aveva affermato l’incompatibilità della previgente normativa italiana con gli artt. 15 e 16 della direttiva rimpatri (n.115/2008), nella parte in cui prevedeva l’irrogazione della sanzione penale della reclusione, nei confronti del cittadino straniero irregolare, per la sola ragione che questi continuasse a permanere nel territorio in violazione dell’ordine del Questore di allontanarsi.
La normativa comunitaria in materia, dal canto suo, prevede che gli Stati membri si adoperino al fine di dare esecuzione effettiva ai rimpatri, nell’ottica dell’effettività della politica di allontanamento e del rimpatrio dei cittadini di paesi terzi irregolari, purchè ciò avvenga nel rispetto dei loro diritti fondamentali. La condotta tipica, consistente nel non ottemperare all’ordine di allontanamento, venne, così, ad essere punita con la multa, più o meno elevata in relazione al motivo del provvedimento di espulsione.
Anche le misure più recenti, quali quelle introdotte con la legge 46 del 2017, scontano con una molto criticata compressione dei diritti degli immigrati, la perenne fase emergenziale che il nostro Paese attraversa, aggravata anche dalla polarizzazione delle posizioni nelle frange estremistiche della politica.
Il decreto che porta il nome del ministro dell’interno Marco Minniti e del ministro della giustizia Andrea Orlando contenente “Disposizioni urgenti per l’accelerazione dei procedimenti in materia di protezione internazionale, nonché misure per il contrasto dell’immigrazione illegale” ha, infatti, ridotto ad un solo grado di giudizio la procedura della richiesta di protezione internazionale, abolendo il secondo grado, in caso di rigetto dell’istanza, e ha previsto l’istituzione, presso i tribunali, di 26 sezioni specializzate in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’Unione europea (Ue).
Nei “punti di crisi” all’interno delle strutture di prima accoglienza, la nuova normativa prevede l’identificazione dei cittadini stranieri soccorsi durante operazioni di salvataggio in mare o rintracciati come irregolari in caso di attraversamento della frontiera, con contestuale informazione sulle procedure di protezione internazionale, di ricollocazione in altri Stati UE e di possibilità di rimpatrio volontario assistito.
L’espulsione di cittadini stranieri per motivi di ordine pubblico e sicurezza dello Stato e per motivi di prevenzione del terrorismo viene, inoltre, resa più snella dal rito abbreviato e dall’iter per il rimpatrio velocizzato dalla cooperazione con i paesi di provenienza attraverso accordi bilaterali.
Le dichiarazioni programmatiche rese durante la recente campagna elettorale, nonché i risultati elettorali stessi, hanno dimostrato che la questione relativa ai migranti è, tuttora, uno dei temi centrali su cui si snoda il futuro del nostro Paese e che l’attuale panorama normativo si avvia, inesorabilmente, verso nuovi cambiamenti alla luce, anche, dei rinnovati assetti politici.
Gli slogan elettorali sulla chiusura delle frontiere a seguito di gravi fatti di cronaca che cavalcano il comprensibile sgomento della popolazione e spesso giungono a giustificare gravi episodi di xenofobia, che, invece, non dovrebbero in alcun modo essere tollerati, dovranno in ogni caso confrontarsi con una più concreta e organica visione del fenomeno, auspicabile al fine di gestire la materia considerandola non più quale allarmante affare emergenziale di poche nazioni di confine, bensì quale questione cui far fronte con soluzioni di spettro più ampio e condivise anche, e soprattutto, a livello europeo.