ANALISI DELLO STATUTO DEI DIRITTI DEL CONTRIBUENTE
di Dott.ssa Anna Maria Marini (commercialista in Ancona)
Negli ultimi tempi, nostro malgrado, il legislatore ci ha abituati ad assistere ad un continuo mutamento di disposizioni soprattutto in ambito tributario, tanto che se fino a qualche tempo fa per ogni contribuente era possibile fare una programmazione fiscale, quanto meno su base annuale, sia in termini impositivi che di tempistiche circa le uscite finanziarie richieste, oggi purtroppo difficilmente riusciamo a dare certezze fiscali ai nostri assistiti, perché i provvedimenti spesso entrano in vigore poco prima se non il giorno stesso della scadenza, oppure cambiano anche da un mese ad un altro.
La crisi economica generale sta indubbiamente mettendo il nostro governo nella difficoltà di prendere decisioni e attuare provvedimenti tutt’altro che semplici. Ora, lungi da me dal fare valutazioni di merito e tanto meno politiche sulle scelte adottate, ma credo che sia oggettivamente riscontrabile che, nell’attuale scenario, nonostante le migliori intenzioni e i continui messaggi per tranquillizzare i cittadini, tutto questo caos e questo continuo addivenire di provvedimenti, alcuni che sconfessano quanto detto poco prima, e tutta questa incertezza nel “quanto, quando e come” pagare i tributi, alimenta uno stato d’ansia e di incertezza che rende per tutti ancor più gravoso affrontare questo momento economico così difficile.
A ciò si aggiunga che, vuoi per un motivo vuoi per un altro, “l’atteggiamento legislativo” degli ultimi tempi, ha per certi versi “svuotato” il contenuto di una norma molto importante ma forse troppo poco conosciuta rispetto alla rilevanza che ha. Mi riferisco allo “statuto dei diritti del contribuente”.
Proprio sulla base di questa riflessione e limitatamente ad essa, ritengo che possa essere interessante ripercorrere questa norma nei suoi aspetti principali, per fornire a voi lettori qualche nozione in più e quindi una chiave di lettura ulteriore dell’attuale contesto normativo tributario.
Lo statuto dei diritti del contribuente (legge 212 del 27/07/2000) è una c.d. fonte del diritto tributario ovvero, in questo caso, una legge che contiene un insieme di principi e regole a cui devono essere ispirate le norme in ambito tributario.
In particolare lo statuto fissa una serie di “garanzie” e “diritti” a tutela del cittadino-contribuente con l’obiettivo di rendere più efficace e per certi versi più “corretto” il nostro sistema tributario; senza considerare che, proprio in virtù dei principi in esso espressi, lo Statuto è uno degli strumenti che dovrebbero contribuire a ridurre l’evasione fiscale.
Il primo articolo di legge ci rappresenta quella che è la chiave di lettura dello Statuto nel suo complesso, e soprattutto il ruolo che lo Statuto è chiamato a ricoprire nel nostro ordinamento, stabilendo che «le disposizioni della legge, in attuazione degli artt. 3, 23, 53 e 97 della Costituzione, costituiscono principi generali dell’ordinamento tributario e possono essere derogate o modificate solo espressamente e mai da leggi speciali». Quindi lo Statuto, con i suoi principi, viene eletto a norma di primaria importanza per l’interpretazione delle disposizioni tributarie di rango legislativo, e questo ovviamente sia per i contribuenti che per l’amministrazione finanziaria.
Con lo Statuto dei diritti del contribuente si inizia a parlare di “collaborazione” nei rapporti tra amministrazione finanziaria e contribuenti, superando il vecchio modello basato sulla mera contrapposizione tra le due parti. L’art. 2 dello statuto, ci insegna che il rapporto deve essere improntato alla chiarezza e semplicità, al rispetto dei diritti e delle esigenze del contribuente, alla reciproca cooperazione e deve essere ispirato a principi di fiducia, trasparenza, correttezza e lealtà.
Sulla scorta dei principi già emersi, all’art. 3 dello Statuto vengono fissate alcune regole finalizzate a dare “certezza” al diritto; viene infatti delimitata l’efficacia temporale delle norme tributarie, prevedendo:
1) la non retroattività della norma, salvo per quella interpretativa (principio generale già noto nel nostro ordinamento all’art. 11 delle preleggi);
2) l’impossibilità di prevedere adempimenti a carico dei contribuenti con scadenza fissata anteriormente a 60 giorni rispetto alla data di entrata in vigore;
3) l’impossibilità di prorogare i termini di prescrizione per gli accertamenti di imposta.
L’obiettivo della disposizione in commento è chiaro nel voler tutelare quello che è l’affidamento del cittadino-contribuente, la cui posizione non può essere lesa da norme che incidono irragionevolmente su situazioni regolate da leggi precedenti. E questa regola, salvo una valida ed effettiva causa giustificatrice che può legittimare l’emanazione di una norma con effetto retroattivo, non dovrebbe mai essere violata.
Sempre nell’ottica di dare sicurezza giuridica, va letto il disposto del successivo art. 4, con il quale viene negata la possibilità di disporre nuovi tributi o ampliare la platea di contribuenti per tributi già esistenti, facendo ricorso a decreti-legge che per loro natura sono provvedimenti a carattere straordinario che non possono sostituirsi alla legge ordinaria e al suo iter.
Questo, come sottolineato da autorevole dottrina, non significa che non si possa in assoluto fare ricorso a tali provvedimenti, quanto piuttosto che deve esserci una “riscontrabile situazione eccezionale” tale da giustificare l’utilizzo di un decreto-legge.
La domanda a questo punto sorge abbastanza spontanea: la comprovata necessità di un maggior gettito fiscale può giustificare l’introduzione di un nuovo tributo o l’applicazione di un tributo ad una platea più estesa con disposizione introdotta con decreto-legge?
Alcuni interventi giurisprudenziali in passato hanno legittimato tale modus operandi in occasione di manovre finanziarie dettate da situazioni oggettivamente straordinarie; non mi risulta che in merito sia intervenuta una pronuncia atta a risolvere la questione su un piano generale, certo è che se la sola esigenza di gettito di per se giustifica il ricorso ai decreti legge probabilmente la previsione dello Statuto non avrebbe neanche motivo di esistere. Vedremo se, nel prossimo futuro, si giungerà ad una soluzione giurisprudenziale a questo aspetto.
Nell’ottica di un rapporto cooperativo tra amministrazione finanziaria e contribuente non poteva certo mancare all’interno dello Statuto disposizioni che fossero improntate ad un principio di “informazione”.
Infatti gli artt. 5 e 6 dello Statuto prevedono che l’amministrazione finanziaria ha il compito:
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di consentire la completa ed agevole conoscenza delle norme tributarie anche predisponendo testi coordinati e mettendo gli stessi a disposizione dei contribuenti presso i singoli uffici impositori;
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di assumere ogni idonea iniziativa di informazione elettronica per consentire aggiornamenti in tempo reale;
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di portare a conoscenza dei contribuenti tutte le circolari, le risoluzioni, così come ogni atto sulla organizzazione, sulle funzioni e sui procedimenti;
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di assicurare l’effettiva conoscenza da parte del contribuente degli atti a lui destinati, attuando modalità idonee a garantire che le stesse notizie non siano conosciute a soggetti terzi;
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di informare il contribuente di ogni fatto o circostanza da cui possa derivare il mancato riconoscimento di un credito o l’irrogazione di una sanzione, chiedendo inoltre integrazioni o correzioni di atti già prodotti;
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di assumere iniziative volte a garantire che i modelli di dichiarazione siano resi disponibili in tempi utili all’espletamento dell’adempimento previsto e in modo che il contribuente stesso possa provvedere alle obbligazioni tributarie con il minor numero di adempimenti e nelle forme meno costose e agevoli; tuttavia al contribuente non possono essere richiesti atti o documenti già in possesso dell’amministrazione finanziaria o di altre amministrazioni;
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di invitare il contribuente a fornire chiarimenti necessari o a produrre ulteriore documentazione entro un congruo tempo non inferiore a 30 giorni, prima di procedere ad iscrizioni a ruolo derivanti dal controllo automatico o formale delle dichiarazioni dei redditi (ex artt. 36 e 36-ter DPR 600/72).
Certamente non meno importante è quanto previsto dall’art. 7 dello Statuto dei diritti del contribuente, dove si parla di chiarezza e motivazione degli atti, in particolare la disposizione prevede che gli atti dell’amministrazione finanziaria devono essere motivati indicando i presupposti di fatto e di diritto che lo hanno determinato e deve prevedere un contenuto minimo tassativo, idoneo a consentire al contribuente di reperire tutte le informazioni necessarie e legate all’emanazione di quell’atto, ad attivare il riesame di quell’atto ed eventualmente ad impugnarlo in sede giudiziaria.
Infine, l’articolo 10 dello Statuto, dove si enuncia con chiarezza che i rapporti tra amministrazione finanziaria e contribuente devono essere improntati al principio di reciproca collaborazione e della buona fede. Proprio in quest’ottica, la norma prevede che non possono essere irrogate sanzioni ai contribuenti per violazioni conseguenti ad applicazione di norme tributarie incerte o per violazioni meramente formali che non comportano un debito di imposta. Le sanzioni non possono essere irrogate nemmeno qualora il contribuente si sia conformato ad indicazioni contenute in atti dell’amministrazione finanziaria, ancorché successivamente modificati, o ancora quando la violazione dipenda da ritardi, omissioni o errori della’amministrazione finanziaria stessa.
Ovviamente le disposizioni dello Statuto dei diritti del contribuente non si esauriscono in quanto vi ho segnalato in questa sede e magari in occasione di un prossimo articolo avremo modo di vedere altri aspetti, ma credo che dagli elementi forniti ciascuno di noi è in grado di fare qualche riflessione in più sui punti critici legati all’attuale atteggiamento legislativo in ambito tributario rispetto a quelli che sono i principi fondamentali che dovrebbero regolare il sistema tributario stesso.