TRA PROFILI PROCESSUALI E VIRUS TROJAN, IL DIFFICILE EQUILIBRIO TRA INDAGINI E PRIVACY
di avv. Gabriella Semeraro
Entrerà in vigore il 26 gennaio il d.lgs. 216/17 (GU 11 gennaio 2018, n. 8), in materia di intercettazioni, attuando così una delle deleghe previste dalla Riforma Orlando, seppur molte norme, connesse all’utilizzo e attuazione dell’archivio riservato, custodito presso le Procure, troveranno applicazione solo “a decorrere dal centottantesimo giorno successivo all’entrata in vigore”, quindi a partire da luglio prossimo (art. 9 d.lgs. 216/17).
Il decreto nasce con l’intento di rafforzare la tutela della privacy e, in particolare, di eliminare in tempi brevi e definiti dalle indagini, nonché dai relativi procedimenti, tracce e riferimenti a persone che vengono coinvolte da ascolti e intercettazioni in modo del tutto occasionale.
In tali casi, alla captazione molto spesso non corrisponde un’esigenza di giustizia e si incorre nel pericolo di un’indebita diffusione di informazioni e dati personali non attinenti alla vicenda investigativa.
L’intervento normativo, pertanto, interviene soprattutto sulle norme processuali nel difficile tentativo di migliorare il bilanciamento tra i diversi principi che si scontrano in una così delicata materia, da un lato il diritto alla riservatezza delle comunicazioni e dall’altro l’esigenza di un effettivo svolgimento della giustizia.
In linea allo spirito e allo scopo della delega, il Legislatore, all’art. 1, introduce il nuovo delitto di “diffusione di riprese e registrazioni di comunicazioni fraudolente” (art. 617 septies c.p.), che punisce con la reclusione fino a 4 anni, colui che divulga (elemento materiale della condotta), con qualsiasi mezzo, le riprese di incontri privati o conversazioni, compiute in maniera fraudolenta, al fine di recare nocumento all’altrui onore e dignità (dolo specifico). La disposizione viene contemperata dalla previsione di cause di esclusione della punibilità, coincidenti ai casi in cui tali registrazioni, prive dell’altrui consenso, vengano utilizzate in ambito processuale o, più in generale, come legittimo esercizio del diritto di difesa o anche come esercizio del diritto di cronaca (tenendo sempre ben a mente i limiti della continenza).
Dopo questa innovazione in ambito sostanziale, il decreto prosegue a disciplinare l’ambito processuale e, in primis, ribadisce la totale riservatezza delle conversazioni tra l’intercettato e il proprio difensore (art. 2), che non possono, pertanto, essere verbalizzate.
Ugualmente è imposto un divieto di trascrizione, anche sommaria, di comunicazioni ritenute irrilevanti per le indagini o contenenti dati sensibili. Tale vaglio preliminare viene affrontato dalla polizia giudiziaria, che nei casi di dubbia irrilevanza, ha l’obbligo di informare il pubblico ministero, il quale procederà personalmente alla verifica.
E’ da notare che il vincolo imposto alle intercettazioni contenenti dati sensibili risulta più rigoroso, giacché potranno essere trascritte solo quelle che risultano essere “necessarie ai fini della prova” e non semplicemente rilevanti.
Segue la delineazione di una struttura bifasica per la selezione del materiale raccolto: la prima fase di deposito di tutta la documentazione, atti preposti compresi, in apposito archivio e la seconda fase di acquisizione del materiale da parte del giudice, venendo così di fatto superato il meccanismo della cd. “udienza di stralcio”, per la quale tutta la documentazione raccolta veniva riversata nel fascicolo delle indagini preliminari e necessitava di completa analisi e selezione in udienza.
Il p.m. è designato garante della riservatezza: egli deve custodire nell’archivio riservato il materiale irrilevante o inutilizzabile, permettendone l’ascolto (ma non la copia) ai difensori e al giudice fino alla fine della fase di acquisizione.
Il p.m., sin dal deposito, è tenuto a individuare ed elencare la documentazione utile per l’accusa, verosimilmente ai fini della prova, e darne immediato avviso ai difensori che, pertanto, possono esaminare l’elenco, visionare gli atti e ascoltare le registrazioni (i giorni per l’esame del materiale da parte del difensore sono stati innalzati da 5 a 10).
I difensori operano a questo punto un controllo sulle scelte di esclusione della pubblica accusa e debbono indicare le conversazioni che ritengono rilevanti e quelle che invece dovrebbero essere eliminate. Il giudice acquisisce poi il materiale sulla base del contradditorio cartolare, mentre solo eventualmente predisponendo apposita udienza. Nel caso di emissione di provvedimenti cautelari è il p.m. ad acquisire il materiale e formare il fascicolo, a seguito del controllo operato dal giudice della cautela.
Ove sorga, poi, in udienza preliminare la necessità di acquisizione di una prova decisiva ai fini della sentenza di non luogo a procedere e questa sia costituita da intercettazioni non acquisite, vi provvede il giudice dell’udienza preliminare. Ugualmente, se tale eventualità si verifichi per la prima volta in dibattimento o in appello, vi provvederà il giudice competente per la fase o il grado con udienza a porte chiuse.
Punto cruciale è costituito dalla disciplina del cd. “trojan”, o captatore informatico, che per la prima volta trova una propria regolamentazione normativa, sebbene sia stato già utilizzato in passato e sia stato oggetto di pronunce della giurisprudenza di legittimità che ne ammettevano l’uso. Tale malware potrà essere applicato a dispositivi elettronici portatili ed essere azionato da remoto. Tuttavia il decreto autorizzativo dovrà rigorosamente indicare non solo perché tale mezzo si reputi necessario per le indagini, ma anche i limiti di luogo e di tempo del suo utilizzo, secondo un già delineato piano investigativo. Viene prevista la sanzione di inutilizzabilità dei risultati delle intercettazioni tra presenti operate con captatore informatico su dispositivo elettronico portatile per la prova di reati diversi da quelli oggetto del decreto di autorizzazione, a meno che i relativi risultati non siano da ritenersi indispensabili per l’accertamento di delitti per i quali è obbligatorio l’arresto in flagranza.
Parimenti inutilizzabili sono da ritenersi i dati acquisiti nel corso delle operazioni preliminari all’inserimento del captatore informatico sul dispositivo elettronico portatile e i dati acquisiti al di fuori dei limiti di tempo e di luogo indicati nel decreto autorizzativo.
Come stabilito in materia, la captazione in ambito domiciliare potrà avvenire solo in caso di contestuale svolgimento di attività criminosa; fanno eccezione i reati di cui all’art. 51 c. 3 bis e 3 quater c.p.p.
Proprio riguardo a quest’ultimo caso (l’intercettazione domiciliare tra presenti), il decreto stabilisce che per i più gravi reati contro la P.A., l’intercettazione sia consentita senza il limite dell’esercizio di attività criminosa. Inoltre, per questi tipi di reati, viene prescritto che il rilascio delle autorizzazioni necessarie ai fini delle intercettazioni avvenga sulla base di presupposti meno restrittivi.
Sebbene sia stato previsto un più lungo termine per la completa attuazione delle norme in essa contenute, non si può fare a meno di pensare che la riforma sarà con tutta probabilità accompagnata (per lo meno inizialmente) da difficoltà operative, connesse alla necessaria riorganizzazione delle Procure. Saranno inoltre il tempo e le esperienze maturate dagli operatori giuridici a permetterci di capire se l’intervento ha raggiunto effettivamente il risultato di garantire un maggior grado di riservatezza o, semplicemente, di aver affidato alle autorità inquirenti un maggior potere di captazione e selezione del materiale probatorio.