contributo della Dott.ssa MARTA MOGLIE
versione italiana
Sabato 25 Febbraio, presso l’aula magna Polo Bertelli dell’Università di Macerata, si è tenuta una conferenza aperta a tutti che ha visto come protagonista, oltre agli studenti iscritti al Corso di Specializzazione per le attività di sostegno scolastico per la scuola secondaria di primo grado, una relatrice d’eccezione: Silvia Diamante, mia fedele compagna di banco delle scuole elementari ed ora docente specializzato in sostegno scolastico per la scuola secondaria di primo e secondo grado, e membro di Orizzonte Autonomia Onlus (Associazione creata da Giulia Fesce, anche lei relatrice in questo incontro).
Moderatrice dell’incontro, l’insegnante di Pedagogia della disabilità presso la Facoltà di Scienze della Formazione dei Beni Culturali e del Turismo, professoressa Francesca Salis.
Ciò che contraddistingue le due relatrici e la moderatrice non è soltanto il lavorare nell’ambito delle disabilità e dei bisogni speciali; ma è anche l’essere mamme di tre bambini con disabilità. Significa viverla a pieno questa “specialità”, 24 ore al giorno ogni singolo giorno dell’anno. Significa aver maturato sia un punto di vista esterno, come insegnante, sia uno interno come genitore.
L’incontro è durato più di tre ore, e ha avuto l’obiettivo di stimolare la platea di studenti ad una riflessione su come si può agire, in primis puntando su una comunicazione (spesso assente) più efficace tra insegnante di sostegno e famiglia o, eventualmente, una differente progettazione. Prima tematica ad essere affrontata è stata quella dell’inclusione, un concetto che certe volte risulta essere un po’ forzato: il voler mostrare per forza di non escludere spesso porta a non tener conto realmente delle esigenze peculiari del soggetto con disabilità. Il caso discusso ha riguardato in particolare l’esperienza diretta della presidente di Orizzonte Autonomia, e la proposta di inclusione di suo figlio Andrea, ipovedente e con grave deficit cognitivo, ad una mattinata formativa al cinema in occasione della Giornata della Memoria. Ecco dove si parla di inclusione forzata: invitare un bambino con una disabilità complessa, oltre che ipovedente, a partecipare alla visione di un film sulla Shoa, i cui rimandi e significati sono già di per sé stessi incomprensibili ai più, non suona forse come una beffa? Come si chiede proprio sua madre Giulia durante la stessa conferenza, non è forse come chiedere ad un bambino amputato di giocare una partita di calcetto? E rilanciare la palla al genitore ed indurlo a “ringraziare calorosamente per l’invito ma mi vedo costretta a declinare l’offerta”? Si sarebbe potuto forse organizzare qualcosa di diverso a cui questo ragazzino avrebbe potuto partecipare di più. O meglio, non avrebbe avuto più senso provare a far calare la classe nella realtà del bambino, visto che proprio ai tempi del Nazismo lo stesso ragazzo avrebbe subito le persecuzioni nei campi di concentramento? Perché limitarsi sempre ad inserire un disabile nella chiusa normalità e non provare a calarsi nei panni di chi combatte sempre per inserirsi?
Fortunatamente c’è anche chi può documentare un fantastico esempio di inclusione scolastica: Silvia ci ha parlato di sua figlia Tea, sette anni e mezzo frequentante il secondo anno di scuola primaria, la quale ha potuto godere di una scuola inclusiva sin dall’asilo nido, ovviamente non senza le dovute battaglie burocratiche. Silvia è infatti dovuta arrivare a dover richiedere l’attenzione del sindaco del comune in cui abitava per far sì che sua figlia, già dall’asilo nido, fosse affiancata dall’educatrice scolastica come previsto dalla legge. Durante gli anni della scuola materna addirittura, per mancanza di insegnanti di sostegno di ruolo, Tea è stata seguita dall’insegnante avente cattedra stabile in modo da poterle garantire la dovuta continuità per tutto il percorso, mentre la classe veniva gestita dal nominato insegnante di sostegno.
Questo esempio evidenzia anche l’importanza di quanto il sostegno debba essere offerto alla classe, di quanti benefici possa offrire a tutti, bambini ed insegnanti e personale annesso. Perché fondamentale, come Silvia ribadisce, è la collaborazione: tra famiglia, insegnanti, educatori e team di riabilitazione, se presente.
Per Tea, ora che frequenta la primaria, questa sinergia ha consentito alla sua scuola di poter avviare un progetto che consentirà alle sue maestre di formarsi, acquistare i software e usare con lei un supporto per la CAA (Comunicazione Aumentativa Alternativa). Un traguardo enorme, che però è il risultato di una battaglia che la famiglia di Tea porta avanti da quando la bimba è nata.
Ed è per questo che il mio augurio non è solo quello di riuscire a concludere con successo questo progetto, ma è anche un invito a tutti i genitori di bambini con bisogni speciali ad ispirarsi a chi si espone ogni giorno per creare una vita che non solo includa tutti, ma che si esponga a comprendere ed accettare la diversità senza limiti né pregiudizi.