Analisi giuridica sul nesso di causalità sussistente
di Avv. Alessia Bartolini
Il 7 febbraio 2018 è stata approvata con dieci voti a favore e due contrari la relazione finale della Commissione d’inchiesta sull’accertamento del nesso causale fra esposizione all’uranio impoverito utilizzato per fabbricare i proiettili di artiglieria in grado di perforare i carri armati (tank) e i danni alla salute dei militari. Si tratta della quarta Commissione di inchiesta, presieduta dal deputato PD Giampiero Scanu, istituita al fine di fare luce sull’insorgenza di tumori quali leucemia, cancro ai polmoni e ai reni e linfoma di Hodgkin nei militari reduci dalle missioni Nato in Afghanistan, Bosnia, Kosovo e Iraq, per questo definita come “sindrome dei Balcani”.
La Commissione, sulla base delle audizioni degli esperti del settore, ha “«riconosciuto la responsabilità dell’uranio impoverito nella generazione di nanoparticelle e micropolveri, capaci di indurre i tumori che hanno colpito anche i nostri militari inviati ad operare in zone in cui era stato fatto un uso massiccio di proiettili all’uranio” (audizione del Dott. Giorgio Trenta, presidente dell’associazione italiana di radioprotezione medica).
Riconosciuto il legame fra l’utilizzo bellico di questo particolare metallo e le malattie dei militari, ai fini del risarcimento del danno in capo agli stessi, o ai loro supersiti, occorre qualificare l’insorgere delle patologie denunciate quale «causa di servizio», termine che qualifica l’infortunio sul lavoro nella Pubblica amministrazione. Deve essere stabilito, dunque, se le malattie dei dipendenti siano state causate in modo diretto o preponderante dal lavoro che hanno svolto. In tal senso, fra le malattie professionali tabellate, cioè quelle esplicitamente riconosciute ai fini del riconoscimento dell’indennità Inail ai sensi del D.P.R. 336/94, aggiornato dal decreto ministeriale del 09.04.2008, rientrano, al numero 15), le “malattie causate da uranio e composti (effetti non radioattivi): a) nefropatia tubulare b) altre malattie causate dalla esposizione professionale a uranio e composti (effetti non radioattivi)”. Viene, dunque, riconosciuta espressamente, nell’ambito dell’assicurazione obbligatoria contro infortuni sul lavoro e le malattie professionali, solo la “nefropatia tubulare” e alla lett. b) si richiamano “altre malattie”. Da questa voce si ricava che dall’esposizione all’uranio impoverito possono sorgere patologie tumorali multifattoriali, cioè che hanno una molteplicità di fattori genetici, per le quali, nella maggior parte dei casi, non è possibile stabilire con certezza scientifica il nesso eziologico. Ed ecco che intervengono le norme di riferimento della presente analisi giuridica: l’art. 40 c.p. che detta la definizione di rapporto di causalità e l’art. 41 c.p. che disciplina il concorso di cause antecedenti, concomitanti e successive, dalle quali si ricava la teoria condizionalistica (condicio sine qua non) o dell’equivalenza delle condizioni secondo la quale occorre accertare che quel dato fattore o pluralità di fattori hanno causato quel tipo di evento. In tal senso, risulta necessario operare un giudizio di valutazione ipotetico controfattuale secondo il quale senza una o più delle cause individuate l’evento non si sarebbe verificato o si sarebbe verificato con intensità meno lesiva o in un periodo sensibilmente posteriore.
In altri termini, per ciò che concerne la presente analisi, quando si è di fronte a patologie a genesi multifattoriale, come quelle di cui si tratta, occorre stabilire se quel tipo di malattia sia stata generata dalla inalazione delle polveri di uranio impoverito e non da altre cause che di per sé sole avrebbero condotto allo stesso sviluppo patogenetico.
Data la complessità di un simile ragionamento, questo non potrà svolgersi avvalendosi delle sole leggi del senso comune, quali le regole di esperienza, ma, ai fini dell’applicazione della teoria condizionalistica, l’accertamento del nesso causale deve essere sussunto sotto le leggi scientifiche di copertura che, nel caso in esame, si traducono negli studi e analisi della comunità scientifica e nalla raccolta di dati epidemiologici da cui desumere con elevata probabilità logica che i decessi o le insorgenze delle malattie denunciate colpiscano quella particolare categoria di soggetti che prestino attività militare con l’utilizzo di munizioni anticarro e proiettili Blu-107 Durandall (cc.dd. munizioni a grappolo) contenenti uranio impoverito.
Per tali ragioni, in Italia sono stati condotti studi epidemiologici dell’incidenza di neoplasie sulla popolazione costituita dai militari e da civili dipendenti del Ministero della Difesa che dal dicembre 1995 hanno compiuto almeno una missione in Bosnia e/o Kosovo. Lo studio, inizialmente, era stato condotto dalla Commissione di indagine, nominata Commissione Mandelli, incaricata dal Ministro della Difesa di far luce sui tumori che hanno colpito i soldati italiani nei Balcani e la “relazione finale” ha riconosciuto, sul piano scientifico, la patogenicità dell’uranio impoverito.
In linea con l’orientamento consolidatosi a seguito della pronuncia delle SS.UU. con la sentenza Franzese (Sez. U, n. 30328 del 10/07/2002, Rv. 222138), poi, il nesso causale non dovrà essere accertato in termini di certezza assoluta ma con “alta probabilità logica o elevato grado di credibilità razionale”. Queste due espressioni altro non sono che sinonimi del principio dell’accertamento della causalità al di là di ogni ragionevole dubbio, che comporta l’esclusione di ogni eventuale altro agente causale.
In questi termini, già in epoca anteriore alla pubblicazione della relazione finale, sul piano giuridico, l’esistenza del nesso di causalità in esame era stata riscontrata in numerose sentenze della magistratura ordinaria e amministrativa, in particolare il Tribunale di Roma con sentenza del 03/11/2003 aveva condannato il Ministero della Difesa al risarcimento del danno, pari a quasi un milione di euro, per i genitori e la sorella del giovane militare Andrea Antonaci deceduto il 12 dicembre 2000 per aver contratto il linfoma di Hodgkin, tumore maligno del sistema linfatico per cui è stata riscontrato un eccesso statisticamente significativo dello sviluppo di tale patologia nei soldati italiani in missione nei Balcani.
Più recentemente, il Tar Piemonte – Torino, Sezione I, con la sentenza n. 429/2015 (a conferma della sentenza n. 659/2015 del Tar Lazio) aveva affermato che “A causa dell’impossibilità di stabilire, sulla base delle attuali conoscenze scientifiche, un nesso diretto di causa-effetto, e per il riconoscimento del concorso di altri fattori collegati ai contesti fortemente degradati ed inquinati dei teatri operativi, non deve essere richiesta la dimostrazione dell’esistenza del nesso causale con un grado di certezza assoluta, essendo sufficiente la dimostrazione, in termini probabilistico-statistici, come indicato nella Relazione della Commissione Parlamentare di Inchiesta approvata nella seduta del 12 febbraio 2008 ed in quella approvata nella seduta del 9 gennaio 2013”.
Accertato il nesso eziologico fra esposizione all’uranio impoverito per uso bellico e malattie insorte nei soldati durante il servizio militare, non resta che individuare anche il datore di lavoro titolare della posizione di garanzia, ossia degli obblighi giuridici prevenzionistici di salvaguardare l’incolumità fisica dei dipendenti (dei militari) che, in questa sede, coincide con gli organi di Vertice delle Forze Armate in assenza dell’individuazione di soggetti dotati di autonomi poteri decisionali (cc.dd. datori di lavoro “di fatto”). Occorre chiedersi, cioè, se nel caso di adozione delle dovute cautele di prevenzione delle malattie l’insorgenza delle stesse si sarebbe potuta evitare e, in caso affermativo, si accerta così una responsabilità dello Stato Maggiore della Difesa nell’insorgenza delle malattie nei propri militari.
In tal senso, si legge nella relazione della Commissione che “le maggiori criticità sono state rilevate nel settore dell’applicazione da parte dell’amministrazione della Difesa della normativa vigente nel settore della prevenzione e della sicurezza del lavoro e in quello della tutela contro gli infortuni e le malattie professionali, per quanto concerne soprattutto la valutazione dei rischi, la responsabilità del datore di lavoro, l’approntamento di strutture e servizi di prevenzione idonei. In questo campo infatti la Commissione ha constatato in alcuni casi la mancata o inadeguata redazione da parte delle figure preposte alla sicurezza dei lavoratori, dei fondamentali documenti programmatici della sicurezza previsti dal decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81: dal DVR (Documento di Valutazione del Rischio) al DUVRI (Documento Unico di Valutazione dei Rischi Interferenziali), dal PSC (Piano di Sicurezza e Coordinamento) ai programmi di informazione-formazione dei lavoratori”.
Lo Stato Maggiore della Difesa, dal canto suo, nega la veridicità di simili accuse sostenendo di aver sempre garantito la massima trasparenza nelle attività militari e ribadendo che le Forze Armate tutelano la salute del proprio personale adottando tutte le cautele e controlli sanitari periodici.
Eppure, a prescindere dal contenuto della relazione finale, la giurisprudenza di legittimità si è più volte espressa in un accertamento della responsabilità del Ministero della Difesa che, recentemente, con sentenza della Cass. civ. n. 11408/2017, si è visto condannare al risarcimento del danno pari ad € 642.000,00 ai familiari del caporal maggiore dell’Esercito Corrado Di Giacobbe, morto di linfoma di Hodgkin dopo una missione a Sarajevo sulla base che il materiale fornito al militare era «insufficiente a evitare il contatto con le microparticelle» di uranio impoverito.
Il “negazionismo” dei vertici militari, in ogni caso, non è certamente la strada da percorrere per garantire la sicurezza dei militari impegnati in missioni belliche che dovrebbe costituire, invece, la priorità dell’amministrazione della Difesa. Più utile appare, invece, una legge ad hoc, auspicata dalla Commissione di inchiesta, che chiarisca in maniera puntuale la figura del “datore di lavoro” nel mondo militare con i ruoli di responsabilità degli organi di vertice e che determini i criteri di quantificazione degli indennizzi in caso di accertamento, nel caso concreto, del nesso causale fra inalazione o esposizione da uranio impoverito e le patologie che ne derivano.