L’Anniversario della liberazione d’Italia (anche chiamato Festa della Liberazione, anniversario della Resistenza o semplicemente 25 aprile) viene festeggiato in Italia il 25 aprile di ogni anno e rappresenta un giorno fondamentale per la storia d’Italia: la fine dell’occupazione nazista ed il termine del ventennio fascista, avvenuta il 25 aprile 1945, al termine della seconda guerra mondiale. In questa giornata vengono commemorate le gesta dei partigiani, i combattenti (ormai ultranovantenni) che impugnarono un fucile per andare a rischiare la propria vita al fronte.
Per noi italiani la Liberazione ha ormai sapore di storia, e l’assenza di dittatura è un fatto scontato. Tuttavia oggi ci sono “partigiani” in tutto il mondo che stanno combattendo per ottenere la libertà da regimi autoritari e oppressivi.
La mattina del 25 aprile 1945 a Milano, Sandro Pertini annuncia alla radio l’insurrezione generale: “Cittadini, lavoratori! Sciopero generale contro l’occupazione tedesca, contro la guerra fascista, per la salvezza delle nostre terre, delle nostre case, delle nostre officine. Come a Genova e Torino, ponete i tedeschi di fronte al dilemma: arrendersi o perire”, il Comitato di Liberazione nazionale per l’Alta Italia ordina ai partigiani e ai gruppi di resistenza di passare all’attacco e agli operai di occupare le fabbriche.
In questo giorno il mio pensiero va a quanto sta accadendo in Ukraina, dove un intero popolo sta resistendo alla Russia e ai venti di una Nuova Guerra Mondiale.
Va anche ai giovani tuareg che stanno combattendo per essere padroni delle terre desertiche dell’Azawad, dove vivono dall’alba dei tempi. Penso ai bombardamenti dei francesi in supporto all’esercito maliano, alle risoluzioni dell’Unione Europea, che ha deciso di fornire “supporto logistico” alle truppe governative. A quanti tuareg saranno seppelliti sotto le sabbie del deserto senza alcun censimento.
Penso ai giovani siriani che stanno combattendo per debellare il regime di Assad, alle ore di tortura praticata dagli shabbiba sui ribelli. Bambini sgozzati, uomini picchiati con bastoni e fruste. Fuoco nei capelli. Alle parole di Assad <<se cado io, cadono tutti>>, <<a chi importa realmente del sangue dei siriani?>>. Ad un uomo che frugava tra le macerie di casa sua, cercando il corpo del figlio e gridando vendetta. Novantamila morti in due anni.
Ai ribelli Seleka della Repubblica Centrafricana, che lo scorso anno hanno accettato i primi colloqui di pace, dopo aver sfugato il Presidente Bozize. Una ribellione iniziata pochi mesi fa, nel dicembre 2012, a causa del fatto che il Presidente Bozizé non ha rispettato gli accordi di pace stipulati nel 2007 con le forze armate ribelli, continuando l’abuso politico nei territori del nord del paese praticando la tortura e le esecuzioni arbitrarie.
Ai ribelli Boko Haram in Nigeria e al movimento senegalese delle Forze Democratiche di Casamance (MFDC) che organizzano attacchi terroristici contro i governi-marionetta dell’africa occidentale. Ai migliaia di nigeriani e senegalesi costretti a fuggire per finire nelle nostre carceri come immigrati irregolari o nei centri di accoglienza per essere rispediti a fare la fame nei loro paesi.
Ai Sudanesi, coinvolti in una guerra che va avanti dal 1983, con la ribellione prima del Sud e poi dell’Ovest ( Darfur). Quest’ultimo conflitto, iniziato nel 2003, ha lasciato sul campo 400 mila morti e 2 milioni di sfollati. Si tratta della crisi umanitaria più dimenticata del mondo. Una ribellione iniziata a causa del dominio delle ricche popolazioni di etnia araba del Nord, che utilizzano le riserve petrolifere del sud per arricchirsi, vendendo il petrolio ai Cinesi e ottenendo in tal modo le armi necessarie per dominare su tutto il territorio. L’ultima ribellione, quella dell’ovest, iniziata dalle comunità tribali pastorali e contadine ridotte in estrema povertà e private della loro terra fonte di sostentamento. Il massacro incessante giorno dopo giorno è portato avanti dall’esercito governativo e dai pastori janjaweed, pagati dal Governo per massacrare i loro fratelli.
Il mio pensiero va inoltre ai tunisini, egiziani e libici che hanno combattuto durante il 2011 e 2012 per soverchiare i regimi autoritari nella Primavera Araba e alle difficoltà di transizione democratica. Ai palestinesi e agli israeliani che combattono da cinquant’anni per i territori di Gaza. Al riconoscimento della Palestina quale stato “osservatore” dell’ONU, e a tutti gli italiani che superficialmente si schierano da una parte o dall’altra a seconda della loro convinzione politica domestica (E tutte le volte mi chiedo, ma quelli di sinistra non dovrebbero schierarsi con gli israeliani che sono state vittime del nazismo?)
All’esercito per l’Indipendenza Kachin (KIA) in Myanmar e agli attacchi aerei partiti l’anno scorso dall’esercito del governo birmano. Agli abitanti dei villaggi che fuggono mentre le truppe governative conquistano un altro avamposto dell’Esercito per l’Indipendenza Kachin (KIA).
Ai militanti Pakistani uccisi a Gennaio 2013 dalle forze di sicurezza con un attacco aereo. Agli scontri tra le truppe Pakistane e Indiane al confine con il Kashmir ; Al gruppo ribelle di sinistra delle Filippine che che ri-estende la tregua al 15 Gennaio con il Governo; alle Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia (FARC) uccise dall’esercito nel dipartimento di Antioquia, ormai agli albori di una guerra civile.
Questi sono solo alcuni dei ribelli che combattono attualmente nel mondo contro regimi autoritari e governi corrotti, che privano il popolo dei diritti umani fondamentali riducendolo alla fame. Questi ribelli non sono altro che partigiani moderni , eccessivi nella violenza, a volte disorganizzati e divisi tra loro. Mal equipaggiati e spinti dall’odio anti-regime, connesso anche a fattori etnici. Spesso noncuranti del bagno di sangue dei civili causato dai loro attacchi. Perché per loro la vita vale poco, o niente. Sanno che quello è il biglietto da pagare per la Liberazione. Le loro gesta possono essere criticabili, ma è grazie al coraggio di combattenti come loro che noi italiani possiamo nel 2014 vivere in uno Stato Democratico.
Non sprechiamo questa conquista.