INTERVISTA A TOMMASO VIRGILI, ESPERTO DI STORIA E DIRITTO DEL MEDIO ORIENTE E DELL’ ISLAM
di Mosè Tinti
Vi consiglio di leggere questa intervista e quella ad Amer Dachan, sulla Siria. Anche Dachan parlerà di Egitto brevemente e vedrete un punto di vista completamente opposto a quello espresso da Tommaso Virgili. Nel caso di Dachan, essendo altro l’oggetto di intervista, non ho potuto approfondire come ha fatto con grande competenza Tommaso Virgili. Leggete e ragionate.
Non ne ho fatte molte di interviste, ma quelle poche che ho realizzato sono sempre scaturite da un incontro diretto con l’intervistato. Questa volta, invece, è stata la potenza di Internet a permettermi di conoscere Tommaso Virgili. La mia inesperienza telematica emerge alla prima mail. Gli intenti erano buoni, cioè spiegargli che non avevo intenzione di spedirgli un blocco di domande a cui rispondere, ma simulare il più possibile un reale confronto tra due persone, mediante l’alternanza di domande e risposte. Tuttavia gli dico, anzi gli scrivo: “l’intervista la facciamo così: io ti faccio una domanda e tu rispondi”, solo rileggendola il giorno dopo mi sono reso conto di essere stato, quantomeno, scontato.
Per fortuna Tommaso Virgili ci passa sopra e mi racconta di aver studiato giurisprudenza alla Scuola Sant’Anna di Pisa, di cui è ancora allievo. Si è laureato all’Università di Pisa nel 2011 con una tesi sulla libertà d’espressione tra diritto occidentale e diritto islamico. Ha da sempre coltivato una forte passione per Medio Oriente e Islam, in relazione a libertà e diritti umani, interessandosi alla sfida posta al liberalismo da un diritto religioso antico sorretto da un’impostazione ideologica moderna non più in fase recessiva, ma anzi in piena ebollizione e in scontro continuo con le forze laiche e liberali pur presenti nei paesi musulmani. Dopo la laurea, ha svolto un tirocinio al Middle East Forum di Philadelphia e ha poi deciso di continuare con un master specifico, in Medio Oriente, Studi Islamici e Arabo, all’American University of Paris in congiunzione con l’American University in Cairo.
“Quindi è per i tuoi studi che ti trovavi al Cairo, il 30 giugno 2013, quando è scoppiata la rivolta“.
“Si, ero lì per concludere gli studi di arabo e redigere la tesi di master sulla sharia e il suo impatto sui diritti umani nella nuova Costituzione egiziana.Sarei dovuto restare fino a fine luglio, ma gli eventi politici mi hanno costretto a un rimpatrio prematuro: qualche giorno dopo la deposizione di Morsi sono stato evacuato a Tel Aviv, e poi rispedito a casa con un paio di settimane di anticipo”.
“Cosa hai visto in quei giorni?“
“Prima del 30 giugno, c’era un gran fermento: tutti, dai tassisti, agli inservienti dell’Università, ai professori, ai miei amici egiziani, si aspettavano una “seconda rivoluzione“, che avrebbe “spazzato via i fratelli musulmani“. Lo dicevano convinti e fuori dai denti, nel nostro sostanziale scetticismo. Tuttavia, per quel che ho potuto capire, il malcontento era trasversale: il potere di Morsi era percepito come il vertice di una sorta di cupola mafiosa, la Fratellanza appunto, alle cui convenienze tutte le istituzioni dello stato venivano piegate: Morsi non governava per gli egiziani, ma per la sua cricca, assicurandole ogni posto e vantaggio in una nuova, strisciante, dittatura. A questo si deve aggiungere la crisi economica: ogni indicatore era a picco, e la paralisi del governo di Morsi aveva chiaramente peggiorato le cose. Non si parla solo delle finanze dello stato o dei prestiti del Fondo Monetario, ma anche della vita quotidiana: ad esempio, dato che l’Egitto è fortemente indebitato con le compagnie petrolifere, queste hanno in gran parte interrotto i rifornimenti. Risultato: la benzina è andata alle stelle e molti distributori sono rimasti vuoti: a Zamalek (quartiere esclusivo del Cairo dove risiedeva Tommaso Virgili, ndr) c’era uno dei pochi ancora in funzione, con le code chilometriche che puoi immaginare. E poi i black out giornalieri, la diminuzione dei turisti, l’accresciuta insicurezza per le strade, ecc”.
“Sei stato in Piazza Tahir in quei pochi giorni successivi al 30 giugno prima che ti evacuassero?“
“Sono stato due volte in piazza Tahrir durante le manifestazioni che hanno preceduto la cacciata di Morsi: macchine strombazzanti ovunque per arrivare alla piazza e lì sembrava un grande festival popolare, con gente che cantava, famiglie con bambini, banchetti che vendevano cibo e imitazioni di occhiali da sole firmati, bandiere egiziane e i famosi cartellini rossi con su scritto “Erhal” (“vattene”). Mi hanno colpito le molte donne senza velo (fuori da Zamalek in generale era quasi impossibile vederne), accanto ad altre addirittura in niqab”.
A tacer d’altro, l’Iran si fregia del titolo di “democrazia” per via di una competizione elettorale viziata nel pre e spesso anche nel post, e che comunque nulla cambia della barbarie del regime.Cos’è “democrazia”? E’ un Presidente che si arroga ogni tipo di potere “per salvaguardare gli obiettivi della rivoluzione”? Sono le squadracce che bastonano gli oppositori organizzando vere e proprie camere di tortura perfino all’interno del Palazzo Presidenziale? E nota bene, questo accadeva proprio nei giorni cruciali tra i decreti di Novembre e l’approvazione della Costituzione.