La maglia azzurra dell’Italia cucita addosso e un Mondiale finito in lacrime

LA STORIA DI ROBERTO BAGGIO, UN CAMPIONE VERO IN UN CALCIO VERO

di Tommaso Rossi (avvocato e amante del calcio che non esiste più)

imagesNino non aver paura di tirare un calcio di rigore, non è mica da questi particolari che si giudica un giocatore. Un giocatore le vedi dal coraggio, dall’altruismo e dalla fantasia...” Cantava Francesco De Gregori.

L’immagine di Roby Baggio che piange guardando verso il cielo, il cielo verso cui ha calciato il suo tiro dal dischetto dopo il precedente l’errore del capitano Franco Baresi, è uno di quei momenti in cui il calcio fa rima con la vita, e i Campioni sono déi feriti che si accorgono di essere mortali.

Lacrime di onore, dignità. Lacrime vere che segnano la differenza tra i campioni veri e i presunti tali di oggi, uomini senza patria né amore per il pallone che giocano a favore di videocamera per far felici gli sponsor. L’anziano capitano Franco Baresi, sembra un bambino in lacrime disperato per aver deluso i genitori. Roberto Baggio un uomo fragile con lacrime pesanti come grandine e puro amore. Amore per il calcio, amore per la Nazionale italiana,amore per i tifosi e amor proprio.

Sembra passato un secolo tra questa nazionale azzurra di oggi, la squadra senza spina dorsale di Prandelli, e quella nazionale di Sacchi che perse la finale del Mondiale USA nel 1994 ai rigori contro il Brasile. Era una squadra di idee, e ideali. Di uomini. A volte di idee portate allo strenuo, Sacchi era un integralista del calcio, ma i  suoi giocatori erano musicisti di un’orchestra che credevano nello spartito che suonavano.

Quel rigore calciato alle stelle, dove solo gli déi del calcio possano avere una parola di conforto per un campione in lacrime.

Il momento forse più difficile della carriera del Codino. Sacchi lo imbriglia dentro i suoi schemi rigidissimi, a volte lo sostituisce insiegabilmente umiliandone il talento, ma Roby è sempre il migliore e tra alti e bassi trascina l’Italia alla finale col Brasile.

0 a 0 dopo i tempi regolamentari e i supplementari, si va ai rigori, destino beffardo con cui deve fare i conti ogni campione.

Di campioni del calcio italiano che quando ci pensi ti viene in mente la maglia azzurra della nazionale cucita addosso ce ne sono pochi.
Riva, Zoff, Paolo Rossi e Roberto Baggio.Roberto Baggio, il fuoriclasse col codino che nei club ha sempre ricercato la proprio casa trovandola forse a fine carriera soltanto a Brescia. Il fuoriclasse col codino che in maglia azzurra ha acceso i cuori di milioni di tifosi nelle notte magiche di Italia ’90 accanto a Totò Schillaci e che da lì quella maglia non l’ha mai più svestita, amandola più di ogni altra, realizzando 27 gol in 56 presenze e giocando in tre edizioni dei Mondiali (1990, 94 e 98).

Roberto “Roby” Baggio nasce a Caldogno nel 1967, i suoi primi calcio al pallone li tira nel cortile di casa, poi nella squadra della sua città e, a tredici anni, passa al Vicenza, dove inizia a dimostrare di non essere un ragazzino qualunque.A soli 16 anni esordisce in prima squadra, in serie B. Le grandi squadre presto si accorgoo di lui: passa alla Fiorentinta, per quasi 3 miliardi di lire nel 1986. Ed è subito chiaro che Roby sia fatto della pasta dei campioni. Grandi colpi di classe, seconda punta illuminata, trequartista dai piedi dorati e dal cervello veloce. I muscoli delicati sono il suo limite, Baggio è come un primo violino d’orchestra. Campione geniale e fragile, i suoi compagni debbono correre e portar legna anche per lui, ma quando si accende la lampadina i piedi rispondono sempre più veloci e precisi di ogni altro. E’ una gioia per i suoi tifosi, una croce per gli avversari, ma in fondo ogni amante del calcio si spella le mani ad applaudire il campione gentile col codino.

Nel 1990 il grande acquisto della Juventus di Agnelli, che di campioni ne capiva. 25 miliardi di lire, i tifosi fiorentini in rivolta per il passaggio del loro idolo alla grande nemica bianconera. E’ tradimento. E’ l’estate del Mondiale italiano 1990. Le notti magiche, inseguendo il gol. Baggio, Vialli e Totò Schillaci trascinano l’Italia di Azeglio Vicini ad un passo dalla finale. Ma una sciagiurata uscita in presa alta di Walter Zenga recide il sogno ad un passo dal traguardo contro l’Argentina di Maradona che poi, dopo aver superato gli azzurri ai rigori, vincerà la finale contro la Germania.

Dopo i Mondiali, inizia la sua avventura con la Juve che porta i bianconeri alla conquista di uno scudetto, una coppa Italia e una Coppa UEFA.

Baggio è un campione diverso da tutti gli altri: gentile in campo ma anche nella vita, a volte fragile come i suoi muscoli. Nella prima sfida contro la sua Fiorentina, Baggio rinuncia a calciare un calcio di rigore e alla fine della partita, coperto di applausi e fischi, va a salutare i suoi ex tifosi ricevendo una sciarpa viola.

Baggio è il campione che ricerca la pace interiore nel Buddhismo e nella caccia in Argentina, non ama la ribalta. Ama sua moglie Andreina da sempre, una donna normale e semplice come lui, il campione.

Nel 1992-93 con Trap in panchina Baggio trascina la Juve alla conquista della coppa UEFA e lui vince il Pallone d’oro e il FIFA World Player.

Tra il 1992 e il 1995 sono tanti gli infortuni che gli ostacolano la definitiva consacrazione come uno dei giocatori più forti di sempre: costola fratturata, tendinite, pubalgia, lesione del tendine del ginocchio destro e distorsione al ginocchio sinistro. L’avventura con la Juventus si avvia alla conclusione, forse la Vecchia Signora non ha dimostrato la giusta pazienza nel coccolare il suo campione ferito, forse l’ascesa del nuovo astro bianconero Alessandro Del Piero ha oscurato il genio del “Codino”.

Nel 1995, pagato 18,5 miliardi di lire, Roby passa al Milan di Fabio Capello con il quale il rapporto non è affatto idilliaco. Stretto nella morsa di altri campioni come Savicevic e Weah, Roby viene insistentemente sostituito o lasciato in panchina dal tecnico di Pieris, riuscendo a fatica a trovare la forma migliore e quei lampi del suo genio si fanno via via più sporadici.

Non venne convocato da Sacchi per gli Europei del 1996, Baggio è schiacciato dall’avvento del calcio tutto muscoli e velocità, ripartenze e gioco a zona del predicatore calvo.

Dopo l’Europeo del 1996 sulla panchina del Milan arrivò l’uruguagio Oscar Tabarez che decise di puntare di nuovo su Roby. Ma dopo poche partite Tabarez fu esonerato, e al suo posto arrivò Arrigo Sacchi, l’allenatore certo meno amato da Roby, che lo aveva messo ai margini anche dall’amata nazionale italiana.

Nel 1997 tornò in panchina rossonera Fabio Capello, che disse chiaramente di non voler più puntare sul Codino, considerato ormai un campione al tramonto. Baggio passò al Bologna, nella speranza di ritrovare il posto il Nazionale per i Mondiali del 1998 in Francia.
A Bologna con Ulivieri, nonostante alcune incomprensioni col tecnico toscano, Roby ritrova la fiducia del pubblico, dei compagni e di se stesso soprattutto. Record di marcature, 22 gol, il Bologna mai così in alto, e Cesare Maldini che lo richiama per i mondiali transalpini.

In quella stessa estate si trasferì all’Inter di Gigi Simoni e Ronaldo. Fu una stagione travagliata, con ben 3 cambi di allenatore sulla panchina e il gravissimo infortunio del “Fenomeno” carioca. Nella stagione successiva arriva in panchina Marcello Lippi, altro allenatore intransigente che decide ben presto di rinunciare al talento di seta di Roby per puntare a muscoli e collettivo. A fine stagione Baggio fu di nuovo costretto a svuotare il suo armadietto e cercare un’altra squadra in grado di apprezzarlo e farlo sentire a casa, dopo che anche Dino Zoff- nonostante la spinta popolare- aveva rinunciato a lui nelle convocazioni per gli Europei di Olanda 2000.

Baggio, stupendo un po’ tutti, firma un biennale con il Brescia di Carletto Mazzone. Un allenatore semplice ed intelligente che capisce l’unica cosa che si può fare con un campione come Roby: costruire la squadra attorno a lui, l’unico in grado di fare la differenza. Baggio rifiuta offerte di grandi squadre come Arsenal e Real Madrid: vuole restare vicino casa, e vuole riconquistare l’azzurro per i mondiali del 2002.

Nella sua prima stagione il Brescia si qualifica per la Coppa Intertoto, ottiene risultati insperati sotto la sapiente regia del capitano Roby Baggio che regala lampi meravigliosi di classe calcistica assieme al giovane Andrea Pirlo, lanciato proprio da Mazzone a Brescia.

Nell’anno successivo, che porta al Mondiale, inizia in maniera splendida la stagione segnando otto gol in 9 partite. Ma poi arriva la doccia fredda: lesione al tendine del ginocchio e legamento crociato. Si teme per la sua carriera. Dopo soli 77 giorni dall’operazione, tanti sacrifici e determinazione, inseguendo il sogno azzurro come un ragazzino alle prime armi, Roby torna in campo, a tre giornate dalla fine. Il destino gli mette di fronte la “sua” Fiorentina, e dopo due minuti dal suo ingresso in campo, ritrova il gol, salvando poi iil Brescia dalla retrocessione all’ultima di campionato. Ma il Trap, nonostante tutto, non lo convoca per i Mondiali di Korea.

Nelle due stagioni successive continua a giocare nel Brescia e, anche grazie ai suoi gol, fa raggiungere alla squadra la qualificazione per l’Intertoto.

Il 14 marzo 2004 durante la partita contro il Parma, mette a segno il suo duecentesimo gol in Serie A. Il 16 maggio 2004, ultima giornata della stagione 2003-2004 Roby Baggio è in campo a San Siro per la sua ultima partita, dopo aver annunciato il ritiro. Esce dal rettangolo verde a cinque minuti dalla fine: l’intero stadio gli tributa un applauso lunghissimo, come in ogni Stadio da quando Roby ha annunciato il ritiro. Paolo Maldini, capitano rossonero, lo abbraccia con sincero affetto a nome di tutti gli sportivi cui Baggio ha regalato un sogno.

Un sogno che nessun rigore sbagliato potrà mai portare via, un sogno che lascerà il riflesso azzurro dei suoi occhi e della maglia italiana per sempre nei nostri ricordi.

Nino non aver paura di tirare un calcio di rigore, non è mica da questi particolari che si giudica un giocatore. Un giocatore lo vedi dal coraggio, dall’altruismo e dalla fantasia...” . Aveva ragione De Gregori, tra i requisiti di un campione non ci sono tatuaggi, capelli alla moda e tweet ganzi.

Coraggio, altruismo, fantasia. E lacrime. Quelle vere.

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