La responsabilità penale del gestore del sito web per la diffamazione di terzi

ANALISI DELLA SENTENZA DELLA SUPREMA CORTE

Di dott.ssa Letizia Bongelli 

Con la sentenza n. 54946 dello scorso 27 dicembre 2016, i giudici della Cassazione sono giunti a conclusione che “è responsabile penalmente per contenuto diffamatorio non solamente la persona autrice di un post, bensì anche il proprietario del sito internet in cui è pubblicato l’articolo, se non interviene prontamente per la cancellazione del testo”.In altre parole, il legale rappresentante della società che ha in gestione un sito internet risponde di concorso nella diffamazione se non si adopera a far rimuovere il contenuto lesivo.

Nel caso di specie, la Suprema Corte ha condannato il responsabile del sito Agenziacalcio.it, per un commento pubblicato da un utente nel 2009 nel quale si definiva il futuro presidente della Figc Carlo Tavecchio un “emerito farabutto” e “pregiudicato doc”.

Assolto in primo grado, il legale rappresentante della società che pubblica il sito Agenziacalcio.it, sottoposto a sequestro preventivo, è stato invece condannato in appello e, proponendo ricorso in Cassazione allegava a tali denigratori commenti, un certificato penale.

Ebbene, la difesa dell’amministratore sosteneva che la sentenza di condanna della Corte d’Appello fosse contraddittoria poiché, pur avendo riconosciuto che l’autore avesse inserito autonomamente il commento nel sito, e che lo stesso autore avesse inviato all’amministratore una mail con il certificato penale di Tavecchio, non aveva tenuto in debita considerazione che l’amministratore della società che ha in gestione il sito si trovava in vacanza all’estero, senza poter accedere al sito e alla casella di posta elettronica.

Per la Corte di Cassazione, tuttavia, le valutazioni compiute dalla Corte d’Appello erano corrette e, dunque, il ricorso era infondato. In particolar modo, i giudici della Suprema Corte hanno sottolineato come il ricorrente avesse comunque conoscenza del certificato penale della parte lesa e della pubblicazione del commento, e che nonostante ciò avesse lasciato online il commento per circa due settimane, permettendo che l’articolo esercitasse la sua efficacia diffamatoria. A porre fine agli effetti del reato è stato solamente il sequestro preventivo del sito.

La vicenda giudiziaria termina pertanto con la condanna del gestore del sito al pagamento di 60mila euro in favore del sig. Tavecchio, per “concorso in diffamazione” in conseguenza della mancata rimozione del commento denigratorio, oltre a dover farsi carico delle spese processuali e di quelle di parte civile.

Invero, con tale pronuncia gli Ermellini hanno posto l’accento sul fatto che, qualora i gestori dei siti risultino direttamente a conoscenza dei commenti diffamatori e non mettano in pratica gli strumenti a disposizione per rimuoverli, essi sono corresponsabili di diffamazione in concorso con l’autore del post. Anche se un controllo di tale portata potrebbe diventare davvero complicato e gravoso per i gestori dei siti, considerando che spesso i commenti diffamatori sono talmente tanti che esserne a conoscenza di tutti diventa davvero difficile, oltre che dispendioso moderare tutti i post pubblicati.

La pubblicazione di tale sentenza ha pertanto destato molta preoccupazione nell’ambiente e potrebbe determinare la scelta di molti gestori web di non consentire più commenti agli utenti posto che operare un controllo su tutti i commenti per molti gestori si potrebbe rivelare un compito davvero proibitivo.

Ad arricchire e complicare il quadro c’è infine un’altra sentenza, in aperto contrasto con l’orientamento espresso dalla Suprema Corte, ed è quella della Corte di Giustizia europea, che all’inizio del 2016 e analizzando il caso di un sito ungherese, aveva stabilito come “condannare siti per i commenti anonimi violi la libertà d’espressione” e pertanto non considerava i gestori dei siti responsabili per i commenti con contenuto diffamatorio.

Nonostante l’orientamento contrastante europeo, appare però davvero probabile che l’intento degli Ermellini sia stata quello di marcare un limite alla responsabilità dei gestori web anche per evitare un eccessivo passivismo di questi ultimi e l’aumentare sul web dei cosiddetti “haters”.

 

 

 

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