IL RICORDO DEL TRAGICO 2 AGOSTO 1980, LA RICOSTRUZIONE DEI PROCESSI.
di Avv. Tommaso Rossi
Sono trascorsi oltre 30 anni dalla “strage di Bologna”: era il 2 agosto 1980.
Il dolore dei familiari degli uccisi è sempre lo stesso dopo più di trent’anni. Lo sgomento e l’incredulità dei cittadini rispetto a quella tragedia sono gli stessi dopo più di trent’anni.
La verità sui responsabili, i mandanti, i colpevoli e gli innocenti non sembra essere sempre la stessa, dopo trentuno anni.
Il 2 agosto 1980, un ordigno esplosivo occultato dentro una valigia nera abbandonata nella sala d’aspetto di seconda classe della stazione di Bologna causa la morte di ottantacinque persone e il ferimento di più di duecento. La prima ipotesi formulata in ordine alle cause di una esplosione così devastante fu quella dell’incidente, riconducibile allo scoppio di una caldaia ubicata sotto il ristorante della stazione. Ma la caldaia era ancora integra e lo scenario della tragedia che si presentava ai soccorritori e alle autorità intervenute rendeva più palese, di ora in ora, l’ipotesi di una strage provocata ma, soprattutto, voluta. Esclusa la pista dell’incidente, ventiquattro ore dopo l’esplosione, il procuratore della Repubblica di Bologna, dott. Ugo Sisti, apre un fascicolo di indagine per il delitto di strage (previsto dall’art. 422 c.p.), nella specifica qualificazione di delitto contro la personalità interna dello Stato (art. 285, c.p.), punito con la pena del carcere a vita.
Il primo, e forse il solo, dato oggettivo emerso dalle indagini proviene dalla perizia balistica della polizia scientifica di Bologna sulla composizione e la provenienza dell’esplosivo: 23 chili di esplosivo composto di 5 kg di tritolo e T4 (Compound B) potenziato da 18 kg di nitroglicerina ad uso civile. Si tratta di un esplosivo che si trova nei proiettili e nelle ogive ad uso militare. La perizia balistica stabilì anche che la “maledetta” valigia nera carica di esplosivo si trovava in un tavolino portabagagli sottostante il muro portante della sala di attesa di seconda classe, con lo scopo – secondo gli inquirenti – di causare più danni possibili e mietere più vittime possibili, stante anche il periodo dell’anno prescelto. Si trattava, quindi, di un attentato di natura “politica” ed era quindi necessario, per gli inquirenti, stabilire in breve tempo, la pista di indagine da percorre o, meglio ancora, il “colore” degli attentatori.
La direzione prescelta per lo sviluppo delle indagini sulla strage fu quella del c.d. terrorismo nero degli estremisti neofascisti, e non è difficile comprenderne le ragioni: il terrorismo neofascista aveva colpito nel 1969, con la strage di Piazza Fontana, nel 1972 con la strage di Peteano, nel 1973 con la strage della Questura di Milano, nel 1974, con la strage dell’Italicus, nel 1974, con la strage di Brescia e il 26 giugno 1980, con l’assassinio di Mario Amato, magistrato di Roma che stava indagando sul terrorismo nero e su i suoi rapporti con altri gruppi criminali.
A meno di un mese dalla strage, vengono arrestati ventotto militanti dell’estrema destra, per i reati di associazione sovversiva, banda armata ed eversione dell’ordine democratico. Una risposta immediata, dunque, delle Autorità. Immediata, ma non definitiva e tanto meno chiara, neppure in fase di accertamento. Infatti, all’iniziativa della Procura di Bologna seguirono, come da copione, una serie di depistaggi, pentimenti, rivelazioni provenienti da soggetti inspiegabilmente – almeno all’epoca – interessati a confondere le piste seguite dagli inquirenti.
Una telefonata che attribuiva la responsabilità dell’attentato ai Nuclei armati rivoluzionari (NAR), gruppo terrorista di estrema destra, che si scopriva, successivamente, essere stata effettuata dall’ufficio del Sismi di Firenze; le dichiarazioni di un detenuto, Giorgio Farina, il quale indicava i nomi dei due esecutori materiali della strage, poi rivelatisi totalmente estranei alla vicenda, a seguito di contatti intrattenuti con il vicecapo del Sisde, all’epoca detenuto presso lo stesso carcere di Farina; altre dichiarazioni di detenuti che indicavano quali mandanti dell’attentato soggetti appartenenti al mondo economico italiano, affiliati ad una loggia massonica francese. I depistaggi avevano l’ovvio obiettivo di confondere le idee dei magistrati inquirenti e di portare le indagini alla conclusione con una archiviazione dell’inchiesta. Ma agli interventi di soggetti improbabili, si aggiunsero dichiarazioni e confidenze di personaggi come Licio Gelli, Maestro Venerabile della loggia massonica Propaganda 2 e di Francesco Pazienza, collaboratore del Sismi e asserito fondatore di un Servizio segreto parallelo, detto “Supersismi”. Entrambi i soggetti attribuiscono, con le loro confidenze, la responsabilità della strage al terrorismo internazionale francese e tedesco, che avrebbe agito con i gruppi italiani neofascisti che avrebbero fornito l’esplosivo. Al colonnello del Sismi Giovanni Belmonte e al suo superiore, generale Pietro Musumeci, venne successivamente imputato un ulteriore depistaggio delle indagini, per la diffusione di informative relative a falsi attentati a linee ferroviarie.
Nel gennaio 1987 si apre il processo di primo grado per la strage di Bologna, che si chiude con la condanna all’ergastolo di Francesca Mambro e Valerio Fioravanti quali esecutori materiali, Massimiliano Fachini, quale fornitore dell’esplosivo e Sergio Picciafuoco, quale basista dell’attentato. Tutti i condannati sono neofascisti dei Nar, che si sono sempre dichiarati estranei ai fatti. In appello, la sentenza viene riformata (luglio 1990) e gli imputati vengono tutti assolti. Contro di loro v’erano solo indizi e contraddizioni sull’alibi fornito per il 2 agosto 1980. La motivazione del giudice dell’appello venne ritenuta “illogica” e fondata su tesi inverosimili dalla Corte di cassazione, che nel 1992, annulla la sentenza assolutoria e dispone un nuovo processo d’appello che vedrà confermato l’ergastolo per la Mambro e Fioravanti, ribadito ancora dalla cassazione che si pronuncia in via definitiva il 23 novembre 1995.
Gli esecutori della strage di Bologna, per la giustizia italiana, sono dunque due appartenenti al gruppo terroristico di estrema destra, ma sui mandanti rimane il mistero.
Alle condanne della Mambro e di Fioravanti si aggiunsero quelle di Licio Gelli, Francesco Pazienza, Pietro Musumeci e Giuseppe Belmonte, tutti soggetti direttamente o indirettamente legati al Sismi, ritenuti responsabili del depistaggio delle indagini sulla strage di Bologna.
Questo l’epilogo giudiziale fino al 2005, quando venne aperto un altro fascicolo di indagine contro ignoti, per eseguire accertamenti in relazione ad elementi emersi durante i lavori della commissione Mitrokhin, che indicavano e avallavano la c.d. pista palestinese. Nell’ambito dell’inchiesta iniziata nel 2005 venivano acquisite dichiarazioni e documenti che hanno evidenziato un coinvolgimento del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina nella strage di Bologna, e in particolare del gruppo Carlos-Kram. Anche la pista palestinese subisce una diramazione: da un lato, vi sono gli elementi emergenti dai documenti della commissione Mitrokhin dai quali risulterebbe che la strage di Bologna sarebbe imputabile a gruppi terroristici palestinesi che avrebbero agito contro lo Stato italiano, come ritorsione per il mancato rispetto di un patto di non aggressione sancito tra i Servizi segreti italiani e l’Olp (il c.d. “lodo Moro”); dall’altro lato, vi sono le dichiarazioni di Francesco Cossiga, secondo il quale la bomba contenuta nella valigia nera sarebbe esplosa per errore, durante il trasporto, essendo invece destinata ad un attentato progettato e destinato ad altro paese. L’ex Ministro degli interni e presidente della Repubblica Francesco Cossiga aveva, sin dal 2004, ipotizzato un coinvolgimento palestinese nella strage di Bologna, escludendo la pista del terrorismo nero ed affermando la sua convinzione dell’innocenza della Mambro e di Fioravanti. I due, in effetti, si sono sempre dichiarati innocenti e nessuna rivendicazione dell’attentato si è mai registrata.
Gli elementi emersi dagli accertamenti compiuti su questa pista hanno consentito di trasformare un’inchiesta contro ignoti in un’indagine che, dall’agosto 2011, ha finalmente due nomi iscritti nel registro degli indagati: Thomas Kram e Christa Margot Frohlich appartenenti al gruppo terrorista di “Carlos”.
Lich Ramirez Sanchez, alias Carlos, detto “Lo Sciacallo”, è un pericoloso terrorista legato alla Stasi (principale organizzazione per la sicurezza di Stato della Germania dell’Est), che ha sempre agito al fianco del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina, fino al suo arresto nel 1994.
Kram e la Frohlich sono, dunque, al momento i due nuovi indagati per la strage avvenuta alla stazione di Bologna il 2 agosto 1980. I due si trovavano a Bologna i giorni precedenti l’attentato e la Frohlich, quando venne arrestata a Fiumicino nel 1982, trasportava esplosivo compatibile con quello usato per la strage.
La strage di Bologna ha, per il momento, solo due responsabili, i terroristi di destra Mambro e Fiovanti, giudicati responsabili dell’esecuzione dell’attentato, con sentenza definitiva.
Il fascicolo di indagine aperto nel 2005 contro ignoti e che dall’agosto 2011 porta l’intestazione di due nuovi indagati, Kram e Frohilch, costituisce l’inchiesta bis di un processo che non ha mai convinto né la magistratura né le Autorità. Solo l’Associazione dei familiari delle vittime “Paolo Bolognesi” ha sempre sostenuto la pista del terrorismo nero, forse anche perchè fu la prima risposta ad un inaccettabile tragedia.
Ciò che può accadere ora, lo si può prevedere solo da un punto di vista processuale.
La nuova indagine potrebbe rivelarsi non supportata da sufficienti elementi accusatori nei confronti dei due terroristi stranieri e concludersi con una archiviazione del procedimento. Qualora, invece, si accertasse la fondatezza della c.d. “pista palestinese”, tutto quanto fin qui accertato potrebbe essere rimesso in discussione e la Mambro e Fioravanti potrebbero chiedere la revisione del proprio processo, qualora emergesse una prova nuova in grado di dimostrare la loro innocenza.
Ancora, nell’ambito di questa indagine, dovrà accertarsi anche se la bomba esplosa il 2 agosto 1980 nella sala d’aspetto di seconda classe della stazione di Bologna fosse effettivamente destinata a quegli 85 morti e 200 feriti, o sia esplosa per un mero incidente, essendo destinata ad un attentato da compiere all’estero.
Sono passati trentatre anni da quel giorno e si è rimesso in discussione tutto. Vista la imprescrittibilità del delitto di strage, questo potrebbe essere solo l’inizio di una serie di inchieste che troveranno l’esatta via solo se e quando il tempo rivelerà i molti misteri dell’Italia della Prima Repubblica.