NELL’ANNIVERSARIO DELLA TRAGEDIA IL RICORDO DEL GRANDE TORINO
di Tommaso Rossi
A volte accadono cose che ci pongono davanti il grande e beffardo dilemma della vita. Per qualcuno è il volere di Dio o del Destino, per altri solo la mano incontrollabile della sorte che si accanisce in maniera incomprensibile regalando dolore. Vogliamo ricordare il grande Torino che la tragedia di Superga ha destinato all’imperitura vita eterna, nella memoria degli amanti dello sport, in una sorta di ascesa nell’Olimpo eterno degli dei con maglietta e pantaloncini.
Era il 4 maggio 1949. L’aeroplano FIAT G.212 della Avio Linee Italiane decolla alle 9,40 da Lisbona, con a bordo i giocatori del Torino, che la sera prima avevano disputato un incontro amichevole contro il Benfica, per festeggiare l’addio al calcio del capitano dei lusitani José Ferreira.
A bordo del velivolo c’erano anche tre tra i migliori giornalisti sportivi italiani dell’epoca, che narravano le gesta del grande Torino: Renato Casalbore, Renato Tosatti e Luigi Cavallero.
Il grande Torino era l’emblema dell’Italia che si era riuscita a risollevare dai terribili anni della guerra, del fascismo, della fame e della miseria.
Il grande Torino aveva vinto 5 scudetti consecutivi dalla stagione 1942-’43 alla stagione 1948-’49 e dava dieci undicesimi alla nazionale azzurra.
Capitano e faro indiscusso di quella squadra mitica, che aveva fatto del campo sportivo Filadelfia il proprio tempio, era Valentino Mazzola, il numero 10, padre di Ferruccio e Sandro. La squadra titolare, quando ancora si imparavano a memoria le formazioni e i calciatori avevano maglie dalla 1 alla 11, era: Bacigalupo; Ballarin, Maroso; Grezar, Rigamonti, Castigliano; Menti, Loik, Gabetto, Mazzola, Ossola.
Il clima a bordo era festoso, la notte prima era stata di celebrazione e festa, il ritorno a casa sarebbe stato, come sempre, accolto da entusiasmo e tifosi.
Il tempo su Torino è pessimo quel maledetto giorno. Alle 16:55 l’aeroporto di Aeritalia informa il pilota della situazione meteo: nubi quasi a contatto col suolo, rovesci di pioggia, forte vento di libeccio a raffiche, nebbia, visibilità di non più di 40 metri. La torre chiede al pilota un riporto di posizione. Dopo qualche minuto di silenzio alle 16:59 arriva la risposta: “Quota 2.000 metri. QDM su Pino, poi tagliamo su Superga“. Colle di Superga, Basilica a 669 metri i altitudine, il destino attende il Grande Torino per portarlo in braccio alla gloria.
Forse anche un guasto all’altimetro, forse una deriva dovuta ad una forte raffica di vento che spostò l’aereo dall’asse di discesa e lo allineò , invece che con la pista di atterraggio, con la collina di Superga. O, forse, la mano di Dio, non quella di Maradona, ma di un dio beffardo che non amava il calcio, che attendeva che fosse fatta la sua volontà.
Alle 17,03 lo schianto contro il terrapieno posteriore della Basilica di Superga. Delle 31 persone a bordo dell’aereo non si salvò nessuno.
Il compito di identificare le salme fu affidato all’ex CT della nazionale Vittorio Pozzo, che sarebbe a sua volta dovuto partire per quella trasferta.
La tragedia sconvolse l’Italia. Il grande Torino fu proclamato vincitore del campionato di calcio; gli avversari e lo stesso Torino, per le rimanenti partite, schierarono i ragazzi delle formazioni giovanili. Il giorno dei funerali quasi un milione di persone scesero per le strade di Torino per tributare l’estremo saluto ai campioni granata. Un urlo di amore e passione, come quello che ogni domenica li accompagnava sul prato verde del Filadelfia. Un urlo questa volta strozzato di dolore e morte per accompagnare nei campi smisurati dei Cieli quella squadra di campioni.