NUOVI CONTRASTI GIURISPRUDENZIALI IN PUNTO DI VALIDITA’ E MERITEVOLEZZA
di Avv. Michela Foglia
E’ di pochi giorni fa la notizia di una nuova rimessione alle Sezioni Unite riguardante una questione relativa alle clausole claims made, in merito alle quali in precedenza i giudici della Suprema Corte si sono già espressi a Sezioni Unite per decidere sui contrasti giurisprudenziali sorti circa la loro validità, vessatorietà e meritevolezza.
Innanzitutto è necessario individuare una definizione di questa tipologia di clausole a partire dalla quale sarà più facilmente comprensibile il motivo della loro diffusione, in particolare nei contratti assicurativi della responsabilità professionale (che sono praticamente sempre claims made).
I contratti di assicurazione rientrano nei cosiddetti contratti aleatori, la cui caratteristica comune, è, come noto, l’aleatorietà che investe il contratto stesso fin dalla sua formazione, con ciò intendendosi il rischio a cui uno o più fra i contraenti si espongono e da cui scaturisce l’incertezza del vantaggio economico derivante dal contratto stesso.
A norma dell’art. 1469 c.c. l’aleatorietà può determinarsi tanto per la natura del contratto quanto per volontà delle parti e la presenza di questo requisito fa sì che possano escludersi sia l’applicabilità della risoluzione del contratto per eccessiva onerosità regolata dall’art. 1467 c.c. sia l’azione di rescissione per lesione ex art. 1448 c.c.
Risulterebbe, difatti, contraddittorio consentire la stipula dei contratti il cui vantaggio economico sia caratterizzato dall’incertezza e, nello stesso tempo, prevederne la risoluzione o la rescissione nei casi in cui si riscontrassero sproporzione tra le prestazioni o sopravvenuta onerosità.
Innanzitutto, per quanto riguarda la generalità dei contratti assicurativi, regolati dagli artt. 1882 c.c. e seguenti, si prevede l’obbligo per l’assicuratore, a fronte del pagamento di un premio, di rivalere l’assicurato, entro limiti convenuti, per il danno lui cagionato da un sinistro o anche di pagare un capitale o una rendita allorchè si verifichi un evento della vita umana.
In merito alle polizza assicurativa per responsabilità civile, in particolare, l’art. 1917 c.c. fa riferimento ad un fatto “accaduto durante il tempo dell’assicurazione” per individuare il sorgere dell’obbligo di tenere indenne l’assicurato in capo all’assicuratore e ciò indipendentemente da quando verrà comunicato all’assicuratore stesso, comunemente la compagnia assicurativa, la richiesta danni, fatte salve ovviamente questioni di prescrizione.
Quanto sopra per l’impostazione tradizionale, detta loss occurence, ovvero all’insorgenza del danno, che, tuttavia, non consentiva alle compagnie assicurative di effettuare le necessarie previsioni: in considerazione delle polizze vendute e dei relativi premi incassati, era inevitabile, infatti, dover attendere il pagamento dei sinistri per conoscere l’effettivo risultato economico del prodotto assicurativo rappresentato dalla differenza tra i premi incassati e i sinistri risarciti. Se, i sinistri, con l’impostazione tradizionale potevano essere pagati anche dopo molto tempo, purchè risalenti al periodo di effettiva copertura assicurativa, le dovute valutazioni economiche potevano, di fatto, subire un conseguente ritardo con evidente danno in termini di previsione economica, di bilancio e anche di allocazione di corretto prezzo delle relative polizze.
Da ciò l’introduzione della deroga alla disciplina rappresentata dalla clausola claims made, con la quale è possibile determinare una sorta di “sfasamento” tra il tempo della prestazione dell’assicuratore e quello della controprestazione da parte dell’assicurato sicchè il fatto rilevante cui fare riferimento ai fini assicurativi in questo caso non è più il sinistro-danno bensì la denuncia del sinistro stesso (claim).
Nelle polizze claims made, dunque, si prende in considerazione esclusivamente il tempo della denuncia, che chiaramente deve avvenire durante il periodo di vigenza del contratto, mentre rimane irrilevante quello del sinistro vero e proprio che potrebbe, addirittura, essersi verificato prima della sottoscrizione della polizza stessa purchè l’assicurato non fosse a conoscenza della denuncia del sinistro (cc.dd. circostanze note).
Resta inteso, dunque, che una volta scaduto il contratto d’assicurazione, se l’assicurato riceverà una richiesta di risarcimento, la stessa sarà priva di copertura assicurativa.
Le parti, pertanto, mediante la previsione della clausola in questione, si discostano da quanto previsto per la fattispecie tipica e ciò legittimamente, in considerazione del fatto che l’art. 1322 c.c. consente loro esplicitamente di determinare il contenuto del contratto esplicando l’autonomia contrattuale garantita costituzionalmente all’art. 41 Cost.
Fin qui nulla quaestio. Dubbi sulla vessatorietà di queste clausole sono, tuttavia, sopraggiunti allorchè le compagnie assicurative italiane hanno iniziato a porre limiti all’efficacia retroattiva della copertura così come prevista con le claims made “pure”: in questi casi, infatti, con le claims made cosiddette impure, la previsione era non solo di considerare rilevante ai fini del “tempo dell’assicurazione” quello della denuncia ma anche di pattuire che, ai fini del risarcimento, la data del sinistro vero e proprio dovesse essere compresa in un determinato lasso temporale fino a giungere a casi estremi in cui il medesimo lasso di tempo corrispondeva alla validità della polizza senza lasciare spazio, pertanto, alla retroattività.
Relativamente alla meritevolezza e alla vessatorietà delle clausole siffatte le Sezioni Unite si erano già espresse, come già anticipato, con la Sentenza n. 9140 del 6 maggio 2016: nell’esaminare le varie tipologie delle clausole claims made la Suprema Corte le ha, in primo luogo distinte tra pure e impure statuendo, in secondo luogo che “nel contratto di assicurazione della responsabilità civile, la clausola che subordina l’operatività della copertura assicurativa alla circostanza che tanto il fatto illecito quanto la richiesta risarcitoria intervengano entro il periodo di efficacia del contratto o, comunque, entro determinati periodi di tempo, preventivamente individuati (c.d. clausola clams made mista o impura) non è vessatoria; essa, in presenza di determinate condizioni, può tuttavia essere dichiarata nulla per difetto di meritevolezza”.
L’eventuale difetto di meritevolezza ex art. 1322 c.c. delle clausole in esame è stato, dunque, circoscritto dalle Sezioni Unite alle sole claims made impure che dovranno, dunque, essere verificate, relativamente agli effetti contrattuali prodotti dal contratto atipico nel quale sono inserite.
Escluso, dunque, che la clausola claims made renda, fin dal principio, il contratto privo di rischio determinandone la nullità ex art. 1895 c.c. né abbia natura vessatoria ai sensi dell’art. 1341 c.c., dovrà essere stabilito, nel caso concreto, se quella clausola sia diretta a realizzare interessi meritevoli di tutela, conformemente all’art. 1322 c.c.
Un successiva pronuncia della Suprema Corte (Cass. III Sez. Civ., n. 10506 del 28 aprile 2017) ha, appunto, tentato di porre dei criteri al fine di valutare la meritevolezza ponendo al centro il richiamo alla Relazione al Codice Civile, secondo cui sarà immeritevole ogni patto contrario alla coscienza civile, all’economia, al buon costume o all’ordine pubblico.
Rifacendosi a precedenti arresti, nella medesima pronuncia, gli ermellini hanno ricordato che sono stati ritenuti immeritevoli, ai sensi dell’art. 1322, comma secondo, c.c., contratti o patti contrattuali che, pur formalmente rispettosi della legge, avevano per scopo o per effetto di: 1) attribuire ad una delle parti un vantaggio ingiusto e sproporzionato, senza contropartita per l’altra; 2) porre una delle parti in una posizione di soggezione rispetto all’altra; 3) costringere una delle parti a tenere condotte contrastanti coi superiori doveri di solidarietà costituzionalmente imposti. Ai medesimi criteri, dunque, a parere della Corte, sarà necessario attenersi, di volta in volta, al fine di decidere circa la meritevolezza del contratto in cui siano inserite clausole claims made impure.
Nonostante i limiti così individuati dalla Suprema Corte i contrasti giurisprudenziali sulle clausole in esame non possono ancora ritenersi del tutto risolti; è, infatti, notizia di pochi giorni fa che è stata rimessa alle Sezioni Unite con l’Ordinanza n. 1465 del 19.01.2018 della III Sezione della Corte di Cassazione una questione riguardante, ancora una volta, le claims made.
In particolare, ad essere sottoposti al giudizio del massimo consesso della Cassazione sono, questa volta, gli aspetti riguardanti in primo luogo l’ammissibilità di una definizione pattizia di sinistro che si discosti da quella del “fatto di danno” individuato, nell’assicurazione contro i danni, dall’art. 1882 c.c. e, nell’assicurazione della responsabilità civile, dall’art. 1917, c. 1, c.c. nonchè, in secondo luogo, la meritevolezza o meno di clausole che escludano il diritto dell’assicurato all’indennizzo qualora la richiesta di risarcimento da parte del terzo pervenga dopo la scadenza del contratto.
Le clausole claims made e soprattutto i limiti da fissare per la loro validità tornano, dunque, ancora una volta sotto la lente delle Sezioni Unite e i risvolti che conseguiranno la decisione, stante la diffusione della fattispecie nella prassi dei contratti assicurativi e l’attuale mancanza di un’apposita normativa, non saranno di certo di poco conto.