IN AFRICA SI MUORE DI PREOCCUPAZIONE, MA L’AIDS SI PUO’ CURARE
di Clarissa Maracci
Nairobi, 3 Agosto 2013 – In Africa si può morire di aids, di malaria, di polmonite e addirittura di “stress”. Di solito la morte si giustifica con un semplice “he passed away” ( è passato all’aldilà) e quando un occidentale – che non riesce ad accettare che qualcuno passi semplicemente all’aldilà – inizia ad indagare facendo domande, si apre un mondo sconosciuto e leggendario dove la medicina, la magia e la leggenda diventano una cosa sola.
Spendendo un po’ di tempo a Kisumu, ho avuto la possibilità di chiacchierare con una BigMama, che gestisce un orfanotrofio in un villaggio sperduto nei pressi del Lago Vittoria. Mi racconta della sua numerosissima famiglia. Alcuni sono morti, semplicemente morti. Alcuni di polmonite ( anche se a Kisumu la temperatura è costantemente sopra i 40 gradi) ma quello che mi ha colpito è la storia di un suo parente “morto di stress”. Che significa morto di stress? Troppo lavoro? Pressione alta? No, niente di tutto questo. Morire di stress significa morire di preoccupazioni, di dispiacere.
Un’altra leggenda dei Luo, mi viene raccontata un distinto signore “Se non vuoi ammalarti, quando andrai in Europa, dovrai prendere un pugno di questa terra, portarla con te. Una volta arrivata dovrai discioglierla in un bicchiere d’acqua e berla. E’ un trucco della nostra tribù. Mia moglie, che è andata in Inghilterra per sei mesi, si è ammalata perché non mi ha voluto ascoltare.”
Le sconfinate campagne della provincia di Nyanza sono purtroppo tra i posti con il maggior numero di sieropositivi, forse a causa del basso tasso di scolarizzazione. Tutte le altre tribù kenyote, attribuiscono la colpa ai luo , la gente del posto, perché non praticano la circoncisione. La mancata circoncisione maschile, secondo tutti i kenyoti, corrisponde non solo a disonore maschile, ma anche a mancanza d’igiene e alta probabilità di contagio di aids. Ovviamente i profilattici non sono neanche contemplati in questo dibattito.
Anche l’omosessualità è una malattia, anche se prima dell’arrivo del Cristianesimo veniva accettata e praticata nelle comunità tribali. Tuttavia la cosa più divertente mi è stata raccontata da un’insegnate di scuola elementare che pensava si dovesse frequentare una scuola apposita per diventare gay.
Pur spostandoci nella capitale, a Nairobi, le assurdità non mancano. Un giorno il mio vicino è arrivato preoccupato a casa mia perché pioveva e le “sue foglie” erano sul mio tetto. Queste foglie – le posso vedere perfino ora – servono per curare l’AIDS. Sono in tutto sette e provengono da villaggi e foreste sconosciuti. In questo momento a lui ne manca una, quella decisiva per completare la cura per l’AIDS.
I Masaai invece bevono un infuso fatto con una pianta che permette loro di non accumulare grassi. Infatti è impossibile trovare un Masaai grasso, a meno che non abbia lasciato il natio villaggio e non abbia a disposizione la sua bevanda.
La malattia più comune in Kenya è sicuramente la malaria: qualsiasi febbre è “malaria” secondo la gente del posto. Il test della malaria costa dai 2 ai 4 euro ed è inaccessibile alla maggior parte delle persone. Al contrario, la cura per la malaria costa solo 1 euro. Per cui è semplice capire come le persone del villaggio preferiscono direttamente passare alla cura anche se non sono certi di aver contratto la malaria. E’ una casa farmaceutica cinese che distribuisce il prodotto: bisogna prendere 4 pasticche 4 volte al giorno. Con 1 euro si è a posto per 3 giorni. Dopodiché, se la febbre non passa, bisogna continuare la cura. Tuttavia, la cosa positiva è che è questa medicina, per quanto sia pura sperimentazione farmaceutica, è quasi alla portata di tutti e funziona! Ho visto diverse persone guarire in tempo record da febbre, tremori e vomito. Quindi, contrariamente a quanto si pensa in occidente, la malaria qui è considerata una sciocchezza, specialmente quando colpisce gli adulti.
Il vero problema sono gli ospedali, le cliniche e i medici. I prezzi variano da clinica a clinica, da farmacia a farmacia. Non è possibile sapere quanto si spenderà portando qualcuno in ospedale. Nel momento in cui è un bianco a portare il bambino malato in ospedale, i medici si prodigheranno a fare tutti i test in modo da fare un preventivo più alto. Se invece sono i genitori a portare il bambino, verranno trattati con indifferenza e poca professionalità. In sostanza, quando le persone stanno male qui, non sanno dove andare, a chi rivolgersi e non si pensa lontanamente di andare in una clinica. Per questo, quando qualcuno sviene o si sente male in un luogo pubblico, le persone preferiscono cambiare strada poiché chi si avvicina sarà costretto moralmente a portare il malato in ospedale e pagare le cure poiché è altamente probabile che il malato non possa saldare il conto una volta guarire.
Ovviamente, la dove c’è poca attenzione per i malati, ancora meno preoccupazione è riservata agli animali. Nel posto in cui abitavo a Kisumu c’era un cane moribondo che si aggirava per il cortile dell’abitazione. Aveva mangiato del pesce che gli aveva fatto perdere il pelo – secondo i padroni. Mai vista una cosa del genere. Morale della favola: con sguardo compassionevole ma deciso, Big Mama esclamò “I need to get a new one, a small one!” ( ne devo prendere uno nuovo, uno piccolo!).