RIFLETTENDO SULLA VICENDA DI FRANCESCO SICIGNANO A VALPRIO D’ADDA
di Barbara Fuggiano
Ahimé, nelle ultime ore si è parlato, in senso atecnico, di “legittima difesa” in riferimento allo scontro tra Rossi e Marquez in Malesia; l’episodio di cui intendiamo occuparci ha, invece, uno scenario e un epilogo ben più drammatici.
Nella notte tra lunedì 19 ottobre e martedì 20 ottobre, Francesco Sicignano (ormai conosciuto con l’epiteto “il pensionato”) ha ucciso uno dei tre ladri entrati nel suo appartamento di Vaprio d’Adda (Milano) a colpi di pistola. Arma legalmente detenuta, tre colpi di pistola, vittima un 22enne di origini albanesi, (sembra) arrivato in italia nel 2012 e già espulso nel 2013.
Secondo la versione resa dal pensionato alle autorità giudiziarie nelle immediatezze del fatto, Sicignano, svegliato dai rumori, ha visto un’ombra in cucina, gli ha intimato di fermarsi chiedendogli cosa stesse facendo e, dal momento che l’uomo, anziché scappare, gli sarebbe venuto incontro minaccioso, ha deciso di sparare tre colpi di pistola. A questo punto, due ladri si sarebbero dati alla fuga, mentre il terzo, colpito, si sarebbe trascinato fuori dall’abitazione, morendo sulle scale esterne. Gli esami balistici e l’autopsia sono ancora in corso, mentre sembra non si siano trovate tracce di sangue all’interno dell’abitazione, lasciando presumere che il ragazzo, disarmato, non sarebbe stato colpito in casa, come sostenuto dal pensionato, bensì all’esterno, mentre stava fuggendo insieme ai complici.
Nei giorni successivi un polverone di polemiche si è sollevato: non è mancato chi ha strumetalizzato la vicenda alla ricerca di consenso politico o solo di un po’ di pubblicità, non sono mancati né il solito processo mediatico né la tanto cara violazione del segreto istruttorio.
Si è parlato di un’indagine del Sicignano per omicidio volontario, viste le contraddizioni nella ricostruzione dei fatti, poi di un ravvedimento delle autorità giudiziarie che avrebbero ammesso si sia trattato tutt’al più di un eccesso colposo in legittima difesa. Da una parte, un lungo corteo e grandi parole di solidarietà, dall’altra, aspre critiche nei confronti della detenzione delle armi per l’uso maldestro e imprudente che spesso ne viene fatto.
È stato lo stesso protagonista della vicenda, Sicignano, a prendersela con i politici, che sono “idioti” perché non approvano una legge sulla legittima difesa e non puniscono con 25 anni di carcere chi ruba, e con lo Stato, che non protegge i cittadini e non garantisce la tutela della proprietà privata. Per questo, dal 2008 dormiva con una pistola accanto al letto.
È utile, per i meno tecnici, fare un po’ di chiarezza.
Innanzitutto, non si deve negare che ogni polemica rivolta al PM o alla polizia giuridiziaria rischia di risultare sterile, dal momento che il procedimento è ancora in fase di indagini, quindi il capo di imputazione non solo non è stato ancora formulato ma non può essere stato ancora contestato. Insomma, per ora l’unica cosa certa è che un ragazzo, introdottosi senza permesso nell’altrui proprietà, è morto a colpi di pistola.
In molti – in primis, i leghisti, che da sempre portano avanti una battaglia per far sì che i cittadini acquistino più armi per la propria difesa che telefonini – invocano la legittima difesa, idonea a privare di antigiuridicità la condotta del pensionato e, dunque, ad escluderne la perseguibilità in sede penale.
L’art. 52 c.p., infatti, esclude che sia punibile chi abbia commesso il fatto qualora vi sia stato costretto dalla necessità di difendere un diritto (patrimoniale o personale) proprio o altrui contro il pericolo attuale di un’offesa ingiusta, ammesso che la difesa sia proporzionata all’offesa e che la situazione di pericolo non sia stata volontariamente determinata o comunque accettata. L’anello debole della previsione normativa è rappresentato, come prevedibile, dal rapporto di proporzione tra il fatto commesso e l’offesa ingiusta minacciata, al punto che qualora i due elementi non fossero sullo stesso piano – e, per dirla in parole povere, la reazione al pericolo risultasse smisurata – si sarebbe piuttosto di fronte al cd. “eccesso colposo” (art. 55 c.p.).
L’eccesso colposo sottintende, a sua volta, i presupposti della scriminante della legittima difesa, differenziandosi da quest’ultima per il supermento dei limiti alla stessa collegati. Perciò, al fine di stabilire se nel commettere il fatto si siano ecceduti colposamente i limiti, occorre prima di tutto identificare i presupposti della legittima difesa, per poi inviduare l’elemento distintivo rappresentato dall’inadeguatezza della reazione difensiva per eccesso nell’uso dei mezzi a disposizione dell’aggredito in quel preciso contesto spazio-temporale e personale nel quale si è trovato. Bisogna, però, rilevare un errore di valutazione del soggetto, dato che il superamento consapevole e volontario dei limiti della legittima difesa (dunque della proporzione e dell’adeguatezza della reazione messa in atto) si sostanzierebbe in un eccesso doloso dagli schemi dalla scriminante, perseguibile, a tutti gli effetti, come reato doloso.
Proprio le pressioni sociali e mediatiche legate a episodi simili a quelli di Vaprio d’Adda, portarono il legislatore ad operare una forte scelta di politica criminale: l’introduzione della cd. legittima difesa domiciliare, con la legge 59/2006. Questa prevede che, nel caso di violazione di domicilio, qualora si intenda difendere la propria o altrui incolumità ovvero i beni propri o altrui quando non vi è desistenza bensì pericolo d’aggressione, è legittimo l’uso di armi legittimamente detenute da parte dell’aggredito.
Subito dopo l’entrata in vigore, si era tentato di identificare la legittima difesa domiciliare quale nuova scriminante, priva dei requisiti tipici della legittima difesa “ordinaria” (assoluta necessità della reazione, pericolo attuale di un’offesa ingiusta) e caratterizzata solo da una presunzione di proporzionalità tra reazione (armata) e offesa – vero e proprio “tasto dolente” dell’intera disciplina della legittima difesa e, come visto, elemento di differenziazione della scriminante dall’eccesso colposo – al ricorrere dei presupposti di fatto (difesa personale o patrimoniale, assenza di desistenza e aggressione). L’intento era proprio quello di sfuggire al vaglio del giudice circa l’adeguatezza della condotta criminosa rispetto alla minaccia ricevuta: nel caso di tentato furto, sarebbe bastato dimostrare che il ladro non intendesse desistere dall’azione (rivolta a beni patrimoniali) con aggressività per giustificare la reazione armata del legittimo proprietario del bene, a prescindere dal giudizio di assoluta necessità dell’uso delle armi, non sostituibile con altra reazione meno dannosa ma egualmente idonea alla tutela del diritto.
Recentemente è intervenuta la Cassazione (sez. I, n. 28802/2014) nell’affermare che la presunzione di proporzionalità tra l’uso dell’arma legittimamente detenuta e l’offesa al patrimonio non rappresenta affatto una “licenza ad uccidere”. La Corte, anzi, ha sostenuto che la legittima difesa domiciliare non è una scriminante “a sé”, bensì una mera ipotesi speciale di difesa legittima, per cui non è sufficiente dimostrare i presupposti di fatto posti a fondamento della proporzionalità presunta reazione-offesa (difesa di incolumità ovvero beni, assenza di desistenza e aggressione), ma è anzi necessaria la sussistenza di tutti i requisiti della scriminante ordinaria, dunque anche il pericolo attuale, l’offesa ingiusta e, soprattutto, l’inevitabilità della reazione difensiva.
Si tratta, invero, di una lettura costituzionalmente (e civilmente) orientata della disposizione: se l’offesa potesse essere evitata con una reazione meno aggressiva ovvero se non vi fosse alcuna attuale aggressione, non vi sarebbe ragione di scriminare l’uso dell’arma da parte dell’aggredito.
Date tutte queste premesse, per l’episodio del 20 ottobre si comprende il valore determinante che rivestono – da un punto di vista giuridico e, per forza di cose, anche mediatico – la posizione della vittima (sulle scale esterne all’abitazione ovvero nella cucina) e il suo comportamento (l’essersi dato alla fuga, insieme agli altri complici, ovvero l’aver sfidato e tentato di aggredire il pensionato).
Se dalle indagini emergesse, infatti, che il ragazzo 22enne, accortosi di essere stato scoperto, aveva iniziato a fuggire dall’abitazione e che Sicignano, adirato per l’ennesimo furto subito, avesse iniziato a sparare quando il ladro si trovava ormai all’esterno, è chiaro che la condotta del pensionato va al di là dei limiti della legittima difesa domiciliare (per l’assenza di un pericolo attuale, vista la fuga del ladro, e l’evitabilità del pericolo con reazioni meno aggressive, quale è l’esplodere colpi di pistola in aria in segno di avvertimento) e dell’eccesso colposo (dal momento che l’errore di valutazione che lo caratterizza presuppone la sussistenza di tutti gli elementi costitutivi della scriminante, qui esclusi). In questo caso si dovrebbe, dunque, parlare di omicidio volontario.
Diversamente, nel caso in cui si riuscisse a dimostrare la veridicità della ricostruzione dei fatti offerta dal Sicignano, ricorrerebbe quanto meno l’eccesso colposo, se non addirittura la legittima difesa.