Lo scandalo del sangue infetto: l’UE condanna l’Italia

CONSIDERAZIONI SULLA SENTENZA DELLA CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO

di dott.ssa Amii Caporaletti

imagesDal 14 gennaio u.s., giorno in cui la Corte di Strasburgo ha condannato l’Italia ad un risarcimento di circa 10 milioni di euro in favore di 371 ricorrenti, i notiziari e giornali del Paese hanno rispolverato la “questione” “del sangue infetto”, uno scandalo che ricopre una delle pagine più nere della storia italiana, e che merita, decisamente, un approfondimento.

Di cosa si tratta? Tra gli anni ’70 e ’90, in piena emergenza Aids, intere sacche di sangue e prodotti emoderivati sono stati immessi sul mercato farmaceutico senza essere sottoposti agli opportuni controlli del caso. Difatti, pur avendo contezza della provenienza rischiosa di tali prodotti, volti noti della politica ed esponenti di molte famose case farmaceutiche, hanno deciso ( a fronte delle tangenti ottenute), di chiudere un occhio e di metterli comunque in commercio.

Il commercio del sangue infetto (e dei suoi emoderivati), ha portato al contagio di 100 mila persone che in quegli anni, o perché emofiliaci o perché sottoposti ad operazioni chirurgiche, sono stati esposti a numerose trasfusioni, con la conseguenza di aver, nella maggior parte dei casi, contratto malattie come l’Aids, l’epatite B e C.

Lo scandalo è emerso negli anni ‘90, quando le indagini espletate hanno condotto all’arresto di Duilio Poggiolini, l’allora direttore del servizio farmaceutico del Ministero della Sanità, attualmente imputato, insieme ad una decina di persone, per il reato di omicidio colposo plurimo aggravato.

Molte persone hanno contratto malattie come quelle poc’anzi indicate, malattie che sono, per conoscenza, mortali, e le cui cure sono particolarmente costose. Dal canto suo, il governo dell’epoca è stato chiamato a trovare soluzioni volte ad arginare le gravi conseguenze derivate dallo scandalo.

Nella necessità di varare misure legislative in grado di “limitare” i danni, è entrata in vigore la L. n° 210 del 1992, con cui è stato riconosciuto ai contagiati e alle loro famiglie, un indennizzo economico, consistente in una somma variabile tra i 500 e i 700 euro mensili, destinato a coprire il costo delle spese mediche per le cure necessarie.

L’accesso al predetto strumento è stato limitato a coloro che hanno provato la sussistenza di un nesso causale tra la malattia contratta e la trasfusione di sangue (ed emoderivati), la cui domanda di indennizzo sia stata formulata tempestivamente ed il cui danno subìto rientri nell’ambito delle otto categorie (graduate a seconda della gravità), individuate dalla norma.

Fino al 2001, l’indennizzo è stato erogato dallo Stato, mentre successivamente la competenza è stata trasferita alle Regioni che hanno dovuto gestire all’incirca 7 mila richieste.

Tale intervento non è stato però sufficiente a ripagare i contagiati di tutti i danni subiti dal commercio illegale di sangue, tantoché, in tal senso, sono state depositate numerose domande giudiziali.

Gli innumerevoli ricorsi hanno dunque immobilizzato il sistema giudiziario italiano, tanto da indurre il governo (si parla del 2007) ad introdurre la L. n° 244 del 2007, funzionale al riconoscimento, per ogni malato, di un risarcimento danni ammontante ai 5 mila – 6 mila euro.

Tuttavia, complici le condizioni troppo restrittive per l’accesso allo strumento risarcitorio, la predetta norma non ha portato ai risultati prefissati.

Con il D.m. n° 162/2012 è stata introdotta la possibilità di accedere a delle procedure transattive volte a comporre bonariamente le controversie giudiziarie aventi ad oggetto la richiesta risarcitoria, intervento destinato a coloro che hanno contratto la malattia dopo il 1978 la cui istanza sia intervenuta entro 5 anni dal riconoscimento del danno biologico.

Tra 2012 e il 2013, circa 889 cittadini italiani si sono rivolti alla Corte Europea di Strasburgo, lamentando: l’inefficacia degli strumenti legislativi posti in essere dal governo e l’impossibilità (dato il loro carattere restrittivo) di potervi accedere, il ritardo o la mancata esecuzione (da parte dello Stato) di sentenze nazionali che riconoscevano il risarcimento danni ( in molti casi la somma è giunta a destinazione quando il contagiato era ormai già deceduto da tempo), e le lungaggini processuali sostenute sino a quel momento (alcuni processi sono durati addirittura 15 anni).

Con una sentenza del 2013, la Corte di Strasburgo ha già condannato l’Italia a versare ai ricorrenti un’indennità integrativa speciale, consistente in una maggiorazione di un centinaio di euro dell’indennità già percepita in precedenza.

Ma la vicenda non termina qui, con il d.l. 90 del 2014, il governo Renzi ha introdotto “l’equa riparazione”, secondo cui chi ha proposto la domanda di risarcimento entro il 19 gennaio 2010, può accedere alla procedura transattiva, la quale prevede un importo fisso unico di 100.000 euro. L’accettazione della proposta comporta la chiusura di tutti i contenziosi pendenti.

Ed arriviamo al fatidico 14 gennaio 2016, quando la Corte Europea per i diritti dell’uomo di Strasburgo, ha accolto i 371 ricorsi presentati, condannando l’Italia a risarcire i contagiati per un totale di 10 milioni di euro circa.

Dei 371 ricorsi, i giudici europei hanno riconosciuto in 7 casi un risarcimento dei danni morali che va dai 73 mila ai 350 mila euro, e per gli altri 364, dai 20 ai 35 mila euro.

I malati e i loro familiari hanno definito questa vittoria, una vittoria decisamente “amara”.

Se da un lato infatti la Corte ha condannato l’Italia al risarcimento dei danni per aver violato in primis, il diritto alla vita, il diritto ad avere un equo processo e un ricorso effettivo, (diritti stabiliti ed individuati nella Convenzione dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali), dall’altro ha stabilito che lo strumento dell’equa riparazione (che prevede per l’appunto un massimo di 100 mila euro a titolo di risarcimento), sia uno strumento valido ed in grado di fornire una tutela adeguata ai contagiati e ai loro familiari.

Ma le vittime di questo scandalo non ci stanno, la decisione della Corte Europea non ridarà loro la salute, la vita e i familiari che nel corso di questi anni, sono deceduti prima di poter vedere la fine di questa triste e amara verità giudiziaria e storica. 

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