Lo strano processo ai genitori che avevano scordato il bimbo nel centro commerciale

APPLICAZIONE DELLA NUOVA NORMA SULLA PARTICOLARE TENUITA’ DEL FATTO

di Avv. Mary Basconi

Un'immagine tratta dal film "Mamma ho perso l'aereo"
Un’immagine tratta dal film “Mamma ho perso l’aereo”

Era il 22 marzo dello scorso anno quando a Villanuova sul Clisi, un piccolo Comune in provincia di Brescia, un addetto alla vigilanza di un centro commerciale notava un bambino di sette anni in lacrime e da solo all’interno dell’edificio. I Carabinieri, allertati, si recavano subito sul posto. Il bambino riusciva a fornire un nome, un cognome e un indirizzo. Dopo circa due ore, i genitori sarebbero arrivati a recuperarlo. Si concludeva così, con un lieto fine, la brutta avventura del piccolo.

Non altrettanto serenamente proseguiva la storia per i genitori, che si vedevano rinviare a giudizio con l’imputazione di “abbandono di persone minori o incapaci”, aggravata dai futili motivi (art. 591 e art. 63 comma 1 c.p.).

Nel processo penale che ne seguirà, il minore sarà rappresentato da un tutore che, nella cura dei suoi interessi, chiederà la condanna dei genitori per il reato loro ascritto ed il risarcimento del danno subito.

Ma all’udienza, tenutasi il 21 maggio scorso, ad incidere in maniera determinante sulla decisione del Giudice, sarà il decreto legislativo n. 28 del 16 marzo 2015 recante “disposizioni in materia di non punibilità per particolare tenuità del fatto” in base al quale i due genitori vedranno emettere nei loro confronti una sentenza di non luogo a procedere per particolare tenuità del fatto, ex art. 131 bis c.p.

Come noto, la nuova normativa si applica a tutti quei reati per i quali è prevista la pena pecuniaria da sola, o congiunta alla pena detentiva non superiore, nel massimo, a cinque anni e prevede la non punibilità per quei fatti in cui vi sia una lievità dell’evento, avuto riguardo all’esiguità del danno o del pericolo causato alla persona offesa, e la condotta dell’offensore non sia abituale.

Il Tribunale di Brescia ha emesso, nei confronti dei genitori “sbadati”, sentenza di non luogo a procedere poiché l’offesa arrecata al minore sarebbe appunto di particolare tenuità, e di carattere non abituale. Bene. Resterebbe però il fatto che i due genitori hanno lasciato il loro figlio di sette anni, da solo, all’interno di un centro commerciale e, se mai ci fosse una valida ragione per un simile comportamento, ciò che è certo è che i due adulti non si sono adoperati per fornirla. O quantomeno, la giustificazione fornita dalla madre secondo cui sarebbe stato assecondato il desiderio del figlio di restare a giocare nell’area gioco dedicata ai bimbi, non sembra costituire propriamente un “valido motivo”.

Ma, anche considerando ciò, il Giudice ha ritenuto di non poter affermare che l’azione dei genitori sia stata determinata da futili motivi: non vi sarebbe stata alcuna enorme sproporzione tra la volontà di realizzare il desiderio del figlio e l’azione delittuosa. Quanto alla condotta dei genitori, il Giudice ha rilevato che dagli elementi raccolti in giudizio, non era possibile ritenere che questa fosse abituale. Pertanto, per quanto vi sia stata una generica violazione del dovere di assistenza e custodia in capo ai genitori con un pericolo (solo potenziale) per il minore, tuttavia questo rischio si è presentato in termini di particolare lievità. Il bambino non è stato lasciato da solo in ore notturne su un luogo isolato o pericoloso; non era su un’area pubblica o aperta al passaggio di veicoli, ma si trovava nelle prime ore pomeridiane, all’interno di un centro commerciale, dove era istituito un sistema di sicurezza e vigilanza.

Il Tribunale ha dunque applicato la normativa sulla non punibilità del fatto non grave, basandosi sui due presupposti di legge: la tenuità dell’offesa arrecata e la non abitualità del comportamento. Anche per i genitori dunque, la storia si è conclusa positivamente.

Recenti applicazioni dell’art. 131 bis c.p. e questioni di rilevanza sostanziale e processuale.

Il Tribunale di Milano, con tre diverse pronunce emesse di recente, ha fatto applicazione dell’art. 131 bis c.p.

  • Trib. Milano 9 aprile 2015 n. 3937 (maltrattamento di animali, art. 544-ter c.p.). L’imputato aveva sferrato alcuni calci ad un cane il quale aveva sporcato, urinando, l’espositore dei giornali della sua edicola, provocandogli delle lesioni lievi.

  • Trib. Milano 9 aprile 2015 n. 3936 (tentato furto in supermercato, artt. 56, 624, aggr. Ex art. 625 n. 2 c.p.). L’imputato si era introdotto in un supermercato, sottraendo alcuni generi alimentari di modesto valore, ed occultandoli sotto la giacca, cercava di uscire senza pagare ma veniva fermato dal personale di sicurezza.

  • Trib. Milano 16 aprile 2015 n. 4195 (truffa e sostituzione di persona, art. 81 cpv, 110, 640,494 aggr. Ex art 61 n.2 c.p.). L’imputato, fingendosi la persona offesa, aveva contattato il call center di una compagnia fornitrice di energia elettrica attivandone la fornitura, inducendo in errore l’operatore con conseguente profitto per sé e danno patrimoniale (di lieve entità poiché la fornitura si protraeva per un solo mese) per la persona offesa.

Dalla lettura delle sentenze emesse dal Tribunale di Milano emergono diversi profili di interesse, sia sostanziali che processuali.

  1. Inquadramento dell’istituto. Il Tribunale, sulla scorta di quanto recentemente affermato dalla Cassazione con sentenza 08 aprile 2015 n. 15449, ritiene che l’art. 131 bis c.p. introduce nell’ordinamento una vera e propria causa di esclusione della punibilità in quanto presuppone la sussistenza di un reato, integrato di tutti i suoi elementi oggettivi e soggettivi ed esprime considerazioni attinenti alla non opportunità di punire fatti non meritevoli di pena, nel rispetto dei principi di proporzione e sussidiarietà della sanzione penale. Esclude quindi che si tratti di una condizione di procedibilità dell’azione penale (Tribunale di Milano, sent. n. 3937/2015).

  2. Ambito di applicazione. L’ipotesi del reato tentato. Con la sentenza n. 3936/2015, il Tribunale di Milano affronta la questione dell’applicabilità dell’art. 131 bis c.p. anche nei casi di tentativo (art. 56 c.p.). Precisa il Tribunale che, al fine di valutare il superamento o meno della soglia di pena massima stabilita in cinque anni, il calcolo dovrà essere riferito alla cornice edittale del delitto tentato e non della corrispondente fattispecie di delitto consumato. Nel caso in esame invero (furto in supermercato) il riferimento alla pena prevista per l’ipotesi di delitto consumato e aggravato dalla circostanza contestata (occultamento della merce), avrebbe precluso l’applicazione dell’art. 131 bis c.p. poiché la pena prevista è della reclusione da 1 a 6 anni. Potrebbe obiettarsi che, il superamento delle casse da parte dell’agente, comporti la consumazione del reato e la conseguente impossibilità di invocare l’applicazione del 131 bis c.p. Sul punto tuttavia, la Cass. Sez. Unite, con pronuncia del 17 aprile 2014 n. 52117, ha specificato che “integra solo il tentativo di furto la condotta di prelevamento della merce dai banchi di vendita di un grande magazzino ed il superamento delle casse”. Le Sezioni Unite, componendo un contrasto insorto in seno alle diverse Sezioni, hanno chiarito che il momento consumativo del reato di furto aggravato si realizza quando, oltre alla sottrazione del bene, si verifica anche l’impossessamento dello stesso, ovvero l’acquisizione della disponibilità autonoma della cosa da parte dell’agente al di fuori della sfera di influenza del possessore, influenza che non viene meno per il semplice superamento delle casse, tanto che la vigilanza può intervenire anche in questa fase. Alla luce di tale interpretazione, è possibile applicare la causa di non punibilità alle frequentissime ipotesi di tentato furto in supermercato aggravato dal mezzo fraudolento, purché ricorrano i presupposti sopra menzionati.

  3. Presupposti applicativi. Valutazione sulla particolare tenuità dell’offesa. Osserva il Tribunale di Milano, che quanto alla particolare tenuità dell’offesa, tale presupposto va valutato sulla base di due elementi: modalità della condotta ed esiguità del danno o del pericolo. Questi elementi vanno valutati, per espressa previsione dell’art. 131-bis c.p., ai sensi dell’art. 133 co 1 c.p. Trattasi di criteri inerenti alla gravità del reato. La valutazione include sia gli elementi oggettivi che soggettivi, e sono: 133 co 1 n. 1) dalla natura, dalla specie, dai mezzi, dall’oggetto, dal tempo, dal luogo e da ogni altra modalità dell’azione; 133 co 1 n. 2) dalla gravità del danno o del pericolo cagionato alla persona offesa dal reato; 133 co 1 n. 3) dalla intensità del dolo o dal grado della colpa.

Secondo quanto chiarito dal Tribunale di Milano, l’inclusione dell’elemento soggettivo, sebbene non espressamente richiamato dalla norma, sarebbe tuttavia la soluzione preferibile sia perché, se il legislatore avesse voluto escluderlo lo avrebbe espressamente previsto, sia perché con il richiamo alla “modalità” della condotta, e non semplicemente alla “condotta”, il criterio dettato si presta a permettere una valutazione sia del grado della colpa, sia dell’intensità del dolo.

Estensione della causa di esclusione della punibilità ai concorrenti nel reato. La presenza di criteri di valutazione dell’elemento soggettivo, induce ad escludere la natura meramente oggettiva della causa non punibilità per particolare tenuità del fatto. Così che, in caso di concorso, sarebbe applicabile l’art. 119 co. 1 c.p. secondo cui “le circostanze soggettive le quali escludono la pena per taluno di coloro che sono concorsi nel reato hanno effetto soltanto riguardo alla persona a cui si riferiscono”.

Con la sentenza n. 4195/2015 il Tribunale di Milano affronta proprio la questione della estensione della causa di non punibilità ai concorrenti del reato. Nel caso sottoposto al suo vaglio (truffa ai danni della società di energia elettrica e sostituzione di persona), il Tribunale, ha riconosciuto nella condotta della convivente dell’agente, il concorso morale nel reato, poiché ha contribuito a rafforzare e sostenere il proposito criminoso posto in essere dall’agente. Ciò posto, il giudicante, ha effettuato una valutazione autonoma degli elementi oggettivi e soggettivi della condotta realizzata dalla convivente, ed ha ritenuto applicabile, anche al suo caso, la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto. Il tutto però, appunto mediante una valutazione singola e specifica sulla condotta tenuta dalla concorrente, sia dal punto di vista oggettivo che soggettivo.

  1. Particolare tenuità del fatto per reati commessi in danno di animali. Con la sentenza n. 3937/2015 il Tribunale di Milano si è trovato ad affrontare il problema relativo alla applicabilità dell’art. 131 bis c.p. nei confronti di reati perpetrati a danno di animali. Per espressa previsione normativa, la causa di non punibilità è esclusa quando “l’autore ha agito per motivi abietti o futili, o con crudeltà, anche in danno di animali, o ha adoperato sevizie”. Osserva tuttavia il giudicante che queste ipotesi sono connotate da una gravità insista che in ogni caso escluderebbe l’applicabilità dell’art. 131 bis c.p. proprio in quanto la valutazione della modalità della condotta indurrebbe a ritenere la gravità dell’azione commessa. Per tale ragione, anche di fronte all’ipotesi di maltrattamento di animali, occorre effettuare una valutazione della modalità dell’azione, avendo riguardo sia agli elementi oggettivi che soggettivi, così che potrà escludersi l’applicazione dell’art. 131 bis c.p., ma soltanto quando l’azione sia stata commessa con crudeltà.

  2. Non abitualità del comportamento. Ipotesi di concorso formale di reati. Nelle citate sentenze, il Tribunale di Milano ha affrontato l’ulteriore problematica relativa all’applicabilità della causa di esclusione della punibilità nelle ipotesi di concorso formale di reati, chiedendosi se l’art. 131 bis c.p. possa trovare applicazione anche quando l’agente abbia commesso più violazioni delle norme penali. In questo caso, il Giudice ha ritenuto non esclusa a priori la possibilità di emettere sentenza di non luogo a procedere, a patto che ciascuna ipotesi delittuosa, isolatamente considerata, superi positivamente il vaglio della sussistenza dei presupposti di legge e risulti, oltre che punibile con una pena pecuniaria, sola o congiunta a quella detentiva non superiore nel massimo a cinque anni, anche di particolare tenuità. Altra questione è quella relativa all’impossibilità di applicare la causa di non punibilità in tutti quelle ipotesi di reato che abbiano ad oggetto condotte plurime, abituali e reiterate. Nella sent. n. 3937/2015, il Tribunale di Milano ha dovuto valutare la condotta dell’imputato che aveva cagionato lesioni lievi ad un cane mediante una pluralità di calci. In questo caso, la fattispecie astratta (maltrattamento di animali 544-ter c.p.) non richiede la realizzazione di una pluralità di condotte, ma in concreto si è realizzata mediante l’adizione di più condotte reiterate da parte dell’agente (calci). Nonostante ciò, al fine di non restringere eccessivamente l’ambito di operatività dell’art. 131 bis c.p., il Tribunale ha ritenuto di non attribuire autonoma rilevanza alle singole condotte materiali poste in essere dall’imputato, in ragione del fatto che, a seguito delle stesse seppure plurime, si era verificato un solo evento lesivo. Per tale motivo, escluso il carattere di abitualità e reiterazione delle condotte nel comportamento del reo, è stata applicata la causa di esclusione della punibilità.

  3. Applicabilità dell’art. 131 bis c.p. in relazione alle diverse fasi processuali. La declaratoria di non punibilità per particolare tenuità del fatto può trovare applicazione: nella fase delle indagini preliminari, grazie alla modifica del testo dell’art. 411 co. 1 c.p.p. che aggiunge l’ipotesi in cui il soggetto non sia punibile ex art. 131 bis c.p. ai casi in cui il PM deve chiedere l’archiviazione; all’esito dell’udienza preliminare poiché, anche se non espressamente previsto, può applicarsi l’art. 425 c.p.p. che prevede la pronuncia di non luogo a procedersi in caso di “persona non punibile per qualsiasi altra causa”; nella fase pre-dibattimentale, nonché all’esito del dibattimento.

L’art. 131 bis c.p. può infine trovare applicazione anche in fase di appello e nel giudizio di legittimità. A tale proposito, con una recente pronuncia, la Cassazione ha chiarito che l’applicabilità del nuovo istituto nei giudizi già pendenti in sede di legittimità alla data della entrata in vigore è rilevabile di ufficio a norma dell’art. 609 comma 2, c.p.p. A tale proposito, la Corte di cassazione deve valutare la sussistenza, in astratto, delle condizioni di applicabilità del nuovo istituto, fondandosi sui dati emersi nel corso del giudizio di merito, in particolare tenendo conto di quanto emerge dalla motivazione della sentenza impugnata, e, in caso di valutazione positiva, annullare, con rinvio al giudice di merito affinché valuti se dichiarare il fatto non punibile(Cass. Pen. 8 aprile 2015 n. 15449).

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