di Avv. Michela Foglia
A quasi un anno dal decreto-legge 7 giugno 2017 n. 73 in materia di prevenzione vaccinale per i minori da zero a sedici anni, approvato dal Consiglio dei Ministri il 19 maggio 2017 e convertito con la Legge n. 119/2017, le questioni e le polemiche in merito restano ancora di estrema attualità, soprattutto in considerazione del fatto che, sebbene le disposizioni siano in vigore da pochi mesi, sono già intervenute diverse pronunce sul tema che hanno affrontato e, almeno in parte, chiarito alcuni aspetti di fondamentale importanza.
E’ opportuno considerare, inoltre, che proprio in questi giorni si sta per concludere la prima fase transitoria della normativa in questione, considerato che c’è tempo fino al 10 marzo per consegnare l’autocertificazione relativa all’espletamento degli obblighi relativi alle vaccinazioni obbligatorie.
Innanzitutto occorre illustrare brevemente quali sono le novità che le legge fortemente voluta dal ministro della salute Lorenzin, nonostante le accese polemiche che hanno interessato la questione sia durante l’iter di approvazione della legge sia nei mesi successivi, ha previsto: dopo diciotto anni è stato, infatti, reintrodotto l’obbligo vaccinale (in definitiva sono dieci, e non i dodici previsti prima del passaggio al senato, i vaccini obbligatori e, nello specifico anti poliomielitica, anti difterica, anti tetanica, anti epatite B, anti pertosse, anti Haemophilus influenzae tipo b, cui si aggiungono anti morbillo, anti rosolia, anti-parotite, anti varicella d’obbligo sino a diversa valutazione, previo monitoraggio almeno triennale) per poter accedere agli asili nidi e alle scuole dell’obbligo.
Viene prevista ex lege anche la facoltà di sottoporsi – nel caso dei vaccini obbligatori – a formulazioni monocomponenti o combinate: a tale opportunità potranno ricorrere bambini e ragazzi che siano già immunizzati naturalmente per aver già contratto la malattia.
Sono più snelle, a seguito dell’entrata in vigore della normativa, le procedure di trasmissione dei dati tra scuola e Asl: dall’anno scolastico 2019-2020, saranno le scuole a trasmettere alle aziende sanitarie (entro il 10 marzo) l’elenco degli iscritti; dopodichè, entro il 10 giugno, le Asl restituiranno la lista degli alunni non in regola con il calendario vaccinale e che non siano stati esonerati dall’obbligo.
Nei dieci giorni successivi, sarà compito dei dirigenti scolastici chiedere ai genitori di depositare, entro il 10 luglio, la documentazione comprovante l’avvenuta vaccinazione ovvero l’esonero, l’omissione o il differimento, oppure la prenotazione formale presso l’Asl.
Nell’attuale fase di transizione, invece, la documentazione relativa all’avvenuta vaccinazione o ad un eventuale esonero va presentata entro il 10 settembre per nidi e materne ed entro il 31 ottobre per le scuole dell’obbligo. In alternativa, vale l’autocertificazione: in questo caso, come si diceva poc’anzi, i documenti che comprovino l’avvenuta vaccinazione andranno presentati entro il 10 marzo 2018.
Se è vero che il rispetto dell’obbligo costituisce, anche nel testo definitivo, requisito d’accesso a nidi e materne, la mancata vaccinazione non preclude, invece, l’iscrizione alle scuole dell’obbligo; per le famiglie inadempienti sono previste, inoltre, multe massime fino a 500 euro a fronte dell’iniziale cifra fino a 7.500 euro. Nessuna menzione è più fatta relativamente alle segnalazioni delle Asl alle Procure presso i Tribunali per i minori né alla perdita della potestà genitoriale, originariamente previste.
La conseguenza di tutto ciò è chiara: da atti consensuali i vaccini divengono trattamenti sanitari obbligatori, cui il singolo non si può sottrarre. Tali imposizioni, prescrivibili esclusivamente con legge, sono coperte dall’art. 32 Cost., che, nel tutelare la salute come diritto fondamentale dell’individuo nonchè interesse della collettività, pone in capo a ciascuno, relativamente a determinati trattamenti sanitari, un dovere di cura che deroga al principio di autodeterminazione e del consenso informato.
Nel verificare la legittimità dell’imposizione di un TSO (Trattamento Sanitario Obbligatorio), la Corte Costituzionale basa il suo giudizio su tre parametri: il fine di preservare e migliorare lo stato di salute non solo del soggetto cui il trattamento è imposto, quanto anche della collettività; la previsione che tale trattamento non incida negativamente sullo stato di salute del soggetto stesso, salvo per quelle sole conseguenze che appaiono normali di ogni intervento sanitario; la previsione di un rimedio risarcitorio in caso di danni permanenti alla salute, di cui si sia accertato il nesso di causalità con il trattamento sanitario obbligatorio somministrato, secondo quanto previsto dalla responsabilità aquiliana ex art. 2043 cod.civ.
Ma quali sono state le prime pronunce nelle aule di giustizia a seguito dell’entrata in vigore dei nuovi obblighi vaccinali, introdotti col dichiarato obiettivo di salvaguardare la prevenzione e la salute nazionale contro il notevole calo della copertura vaccinale che aveva interessato il nostro Paese negli ultimi anni?
Già lo scorso 4 settembre la Regione Veneto aveva approvato una moratoria di due anni, con la quale si sarebbe permesso alle famiglie di presentare la richiesta documentazione vaccinale non entro le scadenze previste dal decreto Lorenzin, bensì entro il 2019, evitando, in tal modo, la decadenza dell’iscrizione ad asili nido e scuole dell’infanzia per l’anno 2018.
Pochi giorni dopo, contestualmente alla sospensione della suddetta moratoria, la medesima regione, nel lamentare ambiguità nel testo normativo, formulava un quesito al Consiglio di Stato riguardante le modalità di applicazione della legge nazionale sui vaccini.
La risposta al quesito, giunta da Palazzo Spada con il parere 26/09/2017 n° 2065 della Commissione speciale, non aveva lasciato spazio a dubbi in proposito: veniva, infatti, confermata la piena vigenza dell’obbligo vaccinale già a decorrere dall’anno scolastico in corso (2017), sì da trovare applicazione la regola secondo cui, per accedere ai servizi educativi e alle scuole dell’infanzia, fosse già necessario presentare la documentazione che comprovasse l’avvenuta vaccinazione.
In quella sede il Consiglio di Stato trovava occasione per sottolineare che “la copertura vaccinale può non essere oggetto dell’interesse di un singolo individuo, ma sicuramente è d’interesse primario della collettività […] la sua obbligatorietà può essere imposta ai cittadini dalla legge, con sanzioni proporzionate e forme di coazione indiretta variamente configurate, fermo restando il dovere della Repubblica (anch’esso fondato sul dovere di solidarietà) di indennizzare adeguatamente i pochi soggetti che dovessero essere danneggiati dalla somministrazione del vaccino e di risarcire i medesimi soggetti, qualora il pregiudizio a costoro cagionato dipenda da colpa dell’amministrazione”.
La più estesa vaccinazione dei bambini, secondo quanto affermato nel parere, rappresenta “misura idonea e proporzionata a garantire la salute di altri bambini”, al fine di proteggere, tramite il “raggiungimento dell’obiettivo dell’immunità di gregge, la salute delle fasce più deboli, ossia di coloro che, per particolari ragioni di ordine sanitario, non possano vaccinarsi”.
Il collegio amministrativo, con riferimento ai “sostenitori di alcune interpretazioni riduzionistiche del diritto alla salute” ha, inoltre, rilevato che “la Costituzione non riconosce un’incondizionata e assoluta libertà di non curarsi o di non essere sottoposti trattamenti sanitari obbligatori (anche in relazione a terapie preventive quali sono i vaccini), per la semplice ragione che, soprattutto nelle patologie ad alta diffusività, una cura sbagliata o la decisione individuale di non curarsi può danneggiare la salute di molti altri esseri umani e, in particolare, la salute dei più deboli, ossia dei bambini e di chi è già ammalato”.
Quasi due mesi dopo è stato il turno della Corte Costituzionale per respingere la corposa serie di questioni evidenziate, nuovamente, dalla Regione Veneto, al fine di sottoporre all’attenzione della Consulta la legittimità delle regole e delle sanzioni fissate dal neo introdotto obbligo di vaccinazione.
Con la sentenza 8/2018 che segue l’udienza pubblica del 21 novembre 2017, i giudici si sono pronunciati in favore della ragionevolezza e della proporzionalità della legge 119/2017 motivando sulla legittimità della scelta del legislatore statale di fronte al notevole calo delle coperture vaccinali di sacrificare la libera autodeterminazione individuale in vista della tutela degli altri beni costituzionali coinvolti.
“Il legislatore, infatti, intervenendo in una situazione in cui lo strumento della persuasione appariva carente sul piano della efficacia, ha reso obbligatorie 10 vaccinazioni: meglio, ha riconfermato e rafforzato l’obbligo, mai formalmente abrogato, per le quattro vaccinazioni già previste dalle leggi dello Stato, e l’ha introdotto per altre 6 vaccinazioni che già erano tutte offerte alla popolazione come ‘raccomandate’. Non è corretto, dunque, affermare che la legge ha repentinamente introdotto dal nulla l’imposizione di un ampio numero di vaccinazioni; essa ha invece innovato il titolo giuridico in nome del quale alcune vaccinazioni sono somministrate“, motiva la Consulta.
La Corte ha, a sua volta, sottolineato che “l’introduzione dell’obbligatorietà per alcune vaccinazioni chiama in causa i principi fondamentali in materia di tutela della salute, attribuiti alla potestà legislativa dello Stato“, ribadendo, dunque, l’obbligo, per le regioni, di rispettare tale indirizzo.
Con riguardo alle censure in merito alle sanzioni previste per le famiglie che non rispettano l’obbligo imposto dal decreto Lorenzin, è stato evidenziato dalla Consulta l’adeguato spazio riservato dalla normativa “per un rapporto con i cittadini basato sull’informazione, sul confronto e sulla persuasione: in caso di mancata osservanza dell’obbligo vaccinale, si prevede un procedimento volto in primo luogo a fornire ai genitori ulteriori informazioni sulle vaccinazioni e a sollecitarne l’effettuazione. A tale scopo, il legislatore ha inserito un apposito colloquio tra le autorità sanitarie e i genitori, istituendo un momento di incontro personale, strumento particolarmente favorevole alla comprensione reciproca, alla persuasione e all’adesione consapevole. Solo al termine di tale procedimento, e previa concessione di un adeguato termine, potranno essere inflitte le sanzioni amministrative previste, peraltro assai mitigate in seguito agli emendamenti introdotti in sede di conversione“.
In riferimento alle critiche sulla mancanza di basi per la decretazione d’urgenza, inoltre, la sentenza ha affermato come non possa “ritenersi che il Governo, prima, e il Parlamento, poi, abbiano ecceduto i limiti dell’ampio margine di discrezionalità che spetta loro nel valutare i presupposti di straordinaria necessità e urgenza che giustificano l’adozione di un decreto legge in materia“.
Nel concludere, la Corte si sofferma sulla diffusione, nell’epoca recente di teorie basate sulla “convinzione che le vaccinazioni siano inutili, se non addirittura nocive: convinzione, si noti, mai suffragata da evidenze scientifiche, le quali invece depongono in senso opposto. Anzi, paradossalmente, proprio il successo delle vaccinazioni, induce molti a ritenerle erroneamente superflue, se non nocive: infatti, al diminuire della percezione del rischio di contagio e degli effetti dannosi della malattia, in alcuni settori dell’opinione pubblica possono aumentare i timori per gli effetti avversi delle vaccinazioni“.
Una legittimazione che non lasciava spazio a dubbi in merito all’opportunità e alla sicurezza dei vaccini, del resto, era già giunta qualche mese prima dalla Corte di Cassazione, con l’ordinanza della Sez. VI-L, 25/07/2017 n° 18358; oggetto della decisione una richiesta di indennizzo ex Legge n. 210 del 1992, nella quale si disciplinano i danni da vaccinazione, da applicare a quelli obbligatori per legge e, con un’estensione della Consulta del 2012, anche a quelli consigliati dalle autorità sanitarie.
Al centro della vicenda decisa con l’Ordinanza in questione, un bambino affetto da una forma di encefalopatia, con sindrome autistica, che nel ricorso veniva descritta quale conseguenza della somministrazione del vaccino antipolio.
Il c.t.u., in ambedue i gradi di merito, aveva escluso il nesso di causalità tra l’inoculazione e la patologia, sottolineando, nello specifico, la non ipotizzabilità della correlazione con alcuna causa nota in termini statisticamente accettabili e probanti, sostenendo, inoltre, che pur potendo avere un ruolo la predisposizione genetica, “non sussistono ad oggi studi epidemiologici definitivi che consentano di porre in correlazione la frequenza dell’autismo con quella della vaccinazione antipolio Sabin nella popolazione”.
Il collegio, nel ribadire come improbabile e assolutamente non dimostrata la correlazione tra vaccini e autismo, ha concluso rigettando il ricorso in quanto inammissibile ed evidenziando come il giudice di seconde cure già si fosse attenuto ai principi fatti propri dalla stessa Cassazione sul punto, secondo i quali “la prova a carico dell’interessato ha ad oggetto l’effettuazione della somministrazione vaccinale e il verificarsi dei danni alla salute e il nesso causale tra la prima e i secondi, da valutarsi secondo un criterio di ragionevole probabilità scientifica, mentre nel caso il nesso causale costituisce solo un’ipotesi possibile”.
La Suprema Corte ha nuovamente fissato, inoltre, la regola secondo cui nel caso di richiesta di indennizzo per danni alla salute provocati dai vaccini, sia necessario provare che la Corte d’Appello abbia agito in palese contrasto con gli orientamenti della scienza medica, la cui fonte deve essere indicata, ovvero abbia omesso accertamenti strumentali imprescindibili per la formulazione di una corretta diagnosi. In tutti gli altri casi, si finirebbe per chiedere alla Cassazione un’inammissibile ulteriore valutazione dei fatti di merito già stabiliti definitivamente dal Tribunale di secondo grado.
In merito al regime delle prove per la causalità vaccinale si era pronunciata, per altro in modo definito audace da autorevoli esponenti della comunità scientifica, anche la Corte di Giustizia europea con la decisione della causa C‑621/15, diffusa il 21 giugno; in mancanza di consenso scientifico, a parere dei giudici comunitari, il difetto di un vaccino e il nesso di causalità tra il difetto medesimo e la patologia insorta, possono essere provati con un complesso di indizi gravi, precisi e concordanti.
Per lo stesso collegio, il giudice nazionale, in mancanza di prove certe e inconfutabili, può decidere per la sussistenza di un difetto del vaccino e un nesso di causalità tra quest’ultimo e la patologia insorta, deducendoli da indizi, purché gravi, precisi e concordanti, e sempre che essi gli consentano di ritenere, con un grado sufficientemente elevato di probabilità, che un simile risultato corrisponda alla realtà.
In altre parole, i giudici europei hanno ritenuto che una serie di indizi, tutti nella stessa direzione, possano essere reputati sufficienti a formare una prova, di tal chè non sia indispensabile la certezza scientifica per provare che una patologia sia stata provocata da un vaccino.
La Corte conclude limitando la portata delle proprie affermazioni e circoscrivendo tale modo di procedere deducendo mezzi di prova da indizi anziché da prove scientifiche, a quelle situazioni in cui le presunzioni “ a) siano basate su prove sia rilevanti sia sufficientemente rigorose per sostenere quanto dedotto, b) siano relative, c) non limitino indebitamente la libera valutazione delle prove da parte del giudice nazionale […], d) non impediscano a i giudici nazionali di tenere in debita considerazione qualsiasi ricerca medica rilevante”.
Di non secondaria importanza è, inoltre, la recente ordinanza della Cassazione, Sez. I, n. 3918/18 relativamente all’affido condiviso di un minore: uno dei due genitori rifiutava i vaccini e proponeva cure omeopatiche; per tale motivo, il giudice di prime cure al momento della separazione aveva optato per l’affidamento condiviso ad eccezione, però, per le decisioni riguardanti la salute e l’alimentazione dei minori, attribuite in via esclusiva al padre.
La decisione, confermata anche dalla Corte d’Appello, è stata oggetto di ricorso in Cassazione, nell’ambito del quale la madre sosteneva che l’estromissione dall’affidamento condiviso dei figli minori rispetto alle scelte per cure mediche e alimentazione era stata effettuata dal giudice senza indicare alcun pregiudizio per i minori dovuto a tale scelta.
Gli ermellini, tuttavia, hanno deciso per l’inammissibilità del ricorso: la Corte d’appello, difatti, aveva già evidenziato che nella sua richiesta di affidamento condiviso la donna non aveva addotto alcun elemento per supportare le censure mosse alla sentenza di primo grado su questo punto e, pertanto, aveva confermato la decisione impugnata sotto questo profilo; proprio in quanto la questione non era stata congruamente sollevata in sede di appello, in Cassazione il ricorso è stato considerato inammissibile.
Quanto all’aspetto della collocazione prevalente presso l’abitazione del padre, i giudici si sono espressi in favore della decisione del giudice a quo: gli accertamenti peritali avevano già individuato la soluzione più tutelante per i minori nella collocazione presso il padre, per il fatto che la madre aveva dimostrato di non essere ancora in grado di assumere le decisioni più adeguate per l’esclusivo interesse della prole.
A prescindere dalle singole opinioni circa l’opportunità di tale scelta, più o meno supportate da analisi di tipo medico-scientifico ovvero suggerite da fantasiose illazioni complottiste, nonchè indipendentemente da quali saranno gli interventi legislativi in merito agli obblighi vaccinali in seguito ai nuovi assetti determinati dai recenti risultati elettorali, resta, dunque, il fatto che la prossima scadenza del 10 marzo segnerà per i genitori, il termine ultimo per portare agli istituti scolastici la documentazione sull’avvenuta immunizzazione. In mancanza della regolarizzazione della posizione, infatti, il rischio sarà quello di vedere i minori non vaccinati, esclusi dal nido o dalla scuola materna.
Del resto il decreto Lorenzin con la successiva legge di conversione, oltre ad aver regolarmente seguito l’iter per la sua approvazione, ha già superato, come si è visto, anche il giudizio di legittimità costituzionale, nel corso del quale è stato confermato come il bilanciamento tra i diversi diritti soggettivi, obblighi individuali e principi dell’ordinamento, tutti coinvolti nella questione, faccia in questo caso propendere nella direzione del sacrificio della libertà del singolo per il benessere e la salute della collettività.