LE PUBBLICHE SCUSE DEI GIUDICI E L’ANALISI DEL CASO
Di Dott.ssa Alice Caporaletti
La storia riguarda una bambina che, all’età di sette anni, venne violentata ripetutamente dal convivente della madre. La piccola, trovata per strada in condizioni precarie, era stata portata in ospedale, dove le avevano riscontrato traumi da abusi e addirittura infezioni sessualmente trasmesse. La madre si allontanava da casa per andare a lavorare e l’affidava alle cure del compagno-orco.
Il procedimento alla procura di Alessandria parte nel 1997 con l’accusa di maltrattamenti e violenza sessuale. In udienza preliminare viene però chiesta l’archiviazione per parte delle accuse e l’uomo riceve una prima condanna, ma solo per maltrattamenti. Contemporaneamente, il giudice dispone il rinvio degli atti in procura perché si proceda anche per violenza sessuale. Nel frattempo, però, sono già trascorsi moltissimi anni. L’inchiesta torna in primo grado e, nel 2007, viene emessa la condanna nei confronti dell’orco: 12 anni di carcere.
Da Alessandria gli atti rimbalzano poi a Torino per il secondo grado.
Ma incredibilmente il procedimento resta fermo per nove lunghissimi anni in attesa di essere fissato. Finché, nel 2016, il presidente della corte d’Appello Arturo Soprano, allarmato per l’eccessiva lentezza di troppi procedimenti, decide di fare un cambiamento nell’assegnazione dei fascicoli a causa dell’arretrato che si era accumulato.
E l’udienza si è svolta solo ieri. “Ormai, però, era intervenuta la prescrizione”.
Un caso di vent’anni fa, troppo vecchio per la giustizia italiana, tanto che la pubblica accusa è stata costretta a dichiarare intervenuta la prescrizione. Un caso di inaudita sciatteria (chiamiamola così). Negligenza, errore, sgomento.
La vittima, che oggi ha 27 anni e che vuole soltanto dimenticare quanto accaduto, non si è presentata ieri al Palagiustizia di Torino.
Chiede scusa «al popolo italiano» la presidente della Corte, Paola Dezani. Chiede scusa l’Avvocato generale, Giorgio Vitari, intervenuto in udienza per impersonare inutilmente la pubblica accusa. Mentre il procuratore generale del Piemonte, Francesco Saluzzo, esprime «la desolazione dell’ufficio» di fronte al colpo di spugna che cancella gli abusi sessuali su una bimba di sette anni. Dall’epoca del fatto alla sentenza d’appello sono passati due decenni e i giudici non hanno altra scelta: reato prescritto, non luogo a procedere contro un uomo che in primo grado era stato condannato a 12 anni.
Il Guardasigilli, per far chiarezza sulla vicenda, ha disposto un’ispezione.
Chi ha sbagliato paghi; anche se, alla vittima nessuno potrà mai più restituire la sua infanzia e la sua adolescenza così brutalmente violate.