ULTIMA PUNTATA DELL’INCHIESTA SULLA MALATTIA MENTALE
(di Dott.ssa Ilaria Dottori)
Quando parliamo di psichiatria e trattamento delle persone affette da disturbi mentali è facile che nella mente di molti di noi compaia uno dei film più coinvolgenti e commoventi in materia, il capolavoro di Milos Forman “Qualcuno volò sul nido del cuculo”.
Il film narra la storia di Randle P. McMurphy, un giovane condannato a scontare una pena per reati di violenza che, pur di sottrarsi all’istituto penitenziario, finge di essere mentalmente disturbato e viene così rinchiuso in un ospedale psichiatrico.
Il suo ingresso all’interno di questa struttura porta non poco scompiglio e novità in un ambiente rigido caratterizzato da una forte repressione, unico modo conosciuto per “curare” le persone affette da disturbi mentali. In questo contesto McMurphy ridicolizza l’ospedale psichiatrico come istituzioni ed in particolar modo le pratiche che venivano utilizzate al suo interno; memorabili in proposito sono le radiocronache di immaginarie partite di baseball o la “fuga” in barca con i suoi compagni.
La grande forza che questo personaggio porta con sé è legata principalmente alla sua abilità di creare rapporti umani con gli altri ospiti della struttura che rimangono affascinati da questo personaggio coraggioso e insolente che si prende gioco di tutto ciò che per loro, fino a quel momento, era l’unica soluzione possibile, l’univa vita che conoscevano e che potevano sperare di avere.
Altro personaggio importante è rappresentato da Bromden, il gigante indiano che si era finto sordomuto con cui McMurphy ha stretto una forte amicizia e decide di scappare.
Prima di questo evento però, il disobbediente protagonista, decide di organizzare un party, per salutare tutti i suoi compagni e ciò sarà non solo un momento saliente del film ma porterà a far comprendere con estrema durezza quali siano le conseguenze di “sfidare” l’ordine in un sistema protetto e riporterà alla realtà tutte le pratiche che venivano utilizzate in questi contesti.
Infatti, durante questa festa vengono fatte entrare clandestinamente due ragazze, una delle quali vine trovata tra le braccia di uno dei reclusi dell’ospedale, ciò fa infuriare la direttrice che terrorizza il ragazzo, il quale, in preda ad un senso di colpa, impostogli dalla struttura psichiatrica, si uccide.
Ciò fa infuriare McMurphy che aggredisce la capo-infermiera al collo, fino quasi a strozzarla e ciò segnerà il suo destino poiché verrà sottoposto a lobotomia, una pratica che lo ridurrà in uno stato vegetativo dal quale verrà “salvato” solo dalla pietà del suo amico indiano che lo soffocherà con un cuscino.
Questo film rappresenta l’antitesi tra la novità, rappresentata dal protagonista, e la tradizione, rappresentata dall’ospedale psichiatrico, e fa comprendere con estrema durezza quali siano le conseguenze per chi decide di sfidare il sistema, un sistema che basa sulla rigidità e sulla repressione tutta la sua esistenza.
Sempre in materia di disturbo mentale, possiamo citare il libro di Mario Tobino “Per le antiche scale” che osserva la malattia in un’ottica clinica, ovvero del medico, e della piccola comunità sanitaria che ruota intorno alla malattia mentale, composta da medici, amministratori, infermieri e pazienti.
Questo libro racconta la storia del giovane ed entusiasta psichiatra, il dottor Anselmo che ricostruisce la storia del noto medico dottor Bonaccorsi, venuto a contatto con la malattia in prima persona poiché sua sorella si trovava rinchiusa all’interno di un manicomio, e che vive la sua professione come una vocazione e decide di non riprodursi per timore di “contagiare” i propri figli con tale malattia.
Il Bonaccorsi svolge la sua vita principalmente all’interno dell’ospedale e la sua morte rappresenta la fine di un’epoca e l’inizio di una nuova era, infatti, nella seconda parte del del libro, l’attenzione è centrata sui malati.
Tobino racconta il dramma del dottor Anselmo che vede crollare, nello scorrere della sua vita professionale, l’immagine del proprio mentore, il dottor Bonaccorti, e tutto il mondo che è abituato a conoscere e al quale è fortemente attaccato.
Molti sono i personaggi noti che sono entrati in contatto con gli istituti manicomiali; abbiamo già parlato di Alda Merini ma anche ad esempio il pittore Ligabue o altri artisti famosi, quali Van Gogh, hanno conosciuto la malattia mentale. Ligabue nacque in Svizzera da genitori emiliani e tornò presto in Italia per poter dipingere le bellezze del nostro Paese: venne internato una prima volta per atti autolesionisti e una seconda volta, più tardi, perché spaccò una bottiglia di vetro sulla testa di un nazista, tutto questo prima che la sua arte venisse scoperta ed apprezzata.
A tale proposito a Reggio Emilia, nello stesso edificio che ospitò il pittore dal 1945 al 1948, è stato adibito un Museo di Storia della Psichiatria che contiene al suo interno tutti i macchinari che all’epoca venivano utilizzati negli istituti manicomiali.
Il museo avrà luogo nel padiglione Lombroso che, nel 1891, fu concepito come reparto per i malati cronici tranquilli all’interno dell’ospedale San Lazzaro e poi, nel 1911, trasformato nella sezione Lombroso, progettata per ospitare malati criminali e detenuti alienati e popi, nel 1972, gradualmente abbandonato.
Il recupero del padiglione, concluso lo scorso anno, è stato svolto con l’obiettivo di rievocare l’atmosfera del tempo recuperando i segni lasciati dai pazienti; fondamentali in tal senso sono i graffiti con i quali i malati hanno ricoperto le pareti della struttura.
All’interno del museo si possono vedere anche i documenti, le foto, le cartelle cliniche e dei video su temi psichiatrici.