SAGGIO STORICO DI MASSIMO PAPINI
– ANCONA – di Enrico Mariani –
Inquadrare nascita ed evoluzione dei partiti politici, per quanto operazione di certo sgradita ai tanti “saltafossi” e “voltagabbana” della politica nostrana, può rivelarsi molto utile al fine di rispolverare e fare luce su impianti ideologici che talvolta, loro malgrado, si prestano a rimpasti e “pastiche” dei più beceri.
In realtà il rimpasto è più recente di quanto sembra ed è in continuo divenire, al contrario di ciò che traspare ascoltando certi ragionamenti, per cui così è sempre stato e così sempre sarà, nei secoli dei secoli. Il secolo “imputato” in realtà è uno solo, quello trascorso da appena 15 anni.
Parte da qui Massimo Papini (presidente dell’Istituto regionale per la storia del movimento di liberazione nelle Marche), con “Il secolo lungo”, come il titolo di questo saggio definisce il Novecento, che “uscendo da schemi consolidati si può definire in molti modi. Per quel che riguarda la storia dei partiti politici forse non bastano 100 anni. I confini si dilatano dal secolo precedente fino al successivo”.
Lo studio di Papini si concentra sul “Le Marche nell’era dei partiti politici (1900-1990)” – come da sottotitolo – , allargando le domande e gli obiettivi della ricerca alla definizione di un’identità regionale. La quale, se presente, non può che risultare legata a doppio filo alla storia politica e sociale di queste terre. Non a caso il capitolo introduttivo è aperto proprio da una riflessione di Dino Garrone datata 1929. Il tema della lettera a Vittorio Sampieri (direttore della “Lucerna” di Ancona”), è quello che ha afflitto e affligge buona parte degli intellettuali marchigiani dall’ inizio del Novecento: “Le Marche (…) sembrano una regione di migliaia di chilometri quadrati. Dove cominciano? Dove finiscono? Chi lo sa? Un oceano. In Italia, chi ci bada? Ci lasciano nel deserto e noi non facciamo nulla per farci sentire”.
La fama di “regione al plurale” (a partire dal nome), la limitata validità dei confini rimessa in discussione anche recentemente in alcune zone del Montefeltro, il senso di marginalità e spaesamento, sono tra le cause che rendono difficile giungere a una “idea delle Marche”. In particolare ad inizio secolo, una generale arretratezza economica e culturale portano la “questione marchigiana” in parlamento: vengono promosse inchieste, come la Jacini, da cui le Marche appaiono “una regione povera e depressa, con una crescente meridionalizzazione dello sviluppo economico e una consistente emigrazione interna ed esterna”. La fama di regione pacata, laboriosa e marginale rispetto agli stravolgimenti politici di quegli anni, durante l’età giolittiana verrà se non smentita, certo modificata. La novità più significativa del periodo sta “nel nascere, per quanto stentato, del movimento operaio e delle sue proprie organizzazioni”. Pur segnato, per diversi decenni dopo l’unità d’Italia, da un sovversivismo generico, il movimento operaio attecchisce ad Ancona, Jesi e Macerata. Solo nel primo decennio del XX secolo assisteremo però alla “nascita dei partiti moderni e del sindacalismo”, quest’ultimo è “la base di un organizzazione capillare capace di riequilibrare i rapporti di forza tra le classi sociali”. In questi anni entrano in campo anche soggetti nuovi, come il movimento cattolico di Romolo Murri, il prete fermano che fu tra i primi a sostenere la partecipazione degli ecclesiastici alla politica, conquistando un seggio in Parlamento nel 1909, che gli costò una scomunica poi revocata. In area liberale un altro marchigiano, il conte Gentiloni, fu tra gli ideatori del patto che sancì l’alleanza clerico-moderata. E le forze popolari conoscono un periodo di ribalta nazionale: “Non più solo emergenti ma anzi meglio capaci di sfruttare, e di portare alle estreme conseguenze, le aperture della politica giolittiana”. I risultati sono i successi elettorali del 1909 e la Settimana Rossa del 1914, che “alimenta il mito del sovversivismo in una regione che comincia a non essere più considerata pacata, laboriosa e conservatrice.”
Questo è solo un piccolo assaggio di quello che troverete ne “Il secolo lungo”: l’affresco storico si snoda limpido, e lo sguardo dell’autore spazia dalla dimensione locale agli avvenimenti che hanno segnato il Novecento in Italia, non disdegnando il movimento inverso. In questo modo la complessità dei fenomeni sociali e politici emerge nel loro essere magmatici, mai esauriti nello spazio/tempo specifico dell’evento: dal ventennio fascista alla Resistenza, dalla nascita della Repubblica al declino della Dc, la “regione al plurale” ha sempre detto la propria.
(tratto da Urlo – mensile di resistenza giovanile)