COME FUNZIONA QUESTA PRATICA CHE DIVIDE IL MONDODi Dott.ssa Alice Caporaletti
Sulla maternità surrogata, meglio nota come utero in affitto, nel corso degli ultimi mesi ne sono state dette di tutti i colori, anche utilizzando appellativi negativi e definizioni a volte non conformi alla realtà.
L’argomento ha assunto poi, in questi giorni, rilevanza nazionale nel corso del dibattito sulle unioni civili, in riferimento all’articolo 5 del disegno di legge, stralciato dopo l’approvazione del Senato al maxi-emendamento del PD che ha de facto riscritto l’intera normativa.
Secondo molti, le stepchild adoption avrebbero aperto la strada ad una sorta di “compravendita di bambini”, consentendo a coppie omosessuali o eterosessuali di recarsi all’estero, acquistare un neonato per poi tornare in Italia con un fagottino in braccio.
La questione in realtà non è per nulla semplice.
Occorre innanzitutto capire che cosa si intende con l’espressione “utero in affitto”: il significato è appunto maternità surrogata o, in alternativa, gestazione per altri.
La definizione si riferisce al ruolo che nella fecondazione assistita appartiene alla donna (chiamata anche madre portante) che provvede alla gestazione e al parto del bambino “su commissione” di una persona o di una coppia, alla quale consegnerà il figlio dopo la nascita.
Esistono due tipi di maternità surrogata: quella tradizionale che consiste nell’inseminazione artificiale dell’ovulo della madre surrogata che quindi, in questo caso, è anche la madre biologica del bambino; e quella gestazionale nella quale la madre portante non ha alcun legame genetico con il piccolo. In questa seconda opzione infatti viene impiantato nel suo utero un embrione realizzato in vitro, che può essere geneticamente imparentato con i committenti o provenire da seme e ovuli di donatori e donatrici.
In realtà, quello che forse molti non sanno, è che più del 90% delle coppie eterosessuali ricorre a tale pratica per vari motivi, prevalentemente di natura medica.
In Italia la maternità surrogata è comunque considerata illegale (come anche in Francia, Spagna, Germania e Finlandia).
A stabilirlo è la legge 40 del 2004 sulla procreazione assistita; l’articolo 12 della suddetta norma prevede infatti che: «Chiunque, in qualsiasi forma, realizza, organizza o pubblicizza la commercializzazione di gameti o di embrioni o la surrogazione di maternità è punito con la reclusione da tre mesi a due anni e con la multa da 600.000 a un milione di euro».
Per questo motivo ha causato grande scalpore quanto accaduto a Nichi Vendola che, insieme al suo compagno, è diventato padre, di un bambino ricorrendo proprio alla pratica più odiata dai politici italiani e non solo. La coppia è riuscita ad avere un figlio (biologicamente il padre è Eddy Testa, compagno di Vendola) in California dove ha avuto accesso alla cosiddetta gestazione per altri (GPA).
Molte coppie italiane, infatti, ricorrono alla maternità surrogata all’estero (prevalentemente in Regno Unito, Grecia, Russia, Stati Unite e Canada in cui è consentita ma regolata in ciascun Stato con regole ben precise).
A livello generale possiamo dire che i giudici non possono sanzionare un reato commesso oltre i confini nazionali, ma ovviamente si incorre in numerosi problemi al ritorno in Italia.
Il motivo è semplice: al momento della presentazione all’ufficiale di Stato Civile nostrano del certificato di nascita del figlio redatto da una Nazione estera, la coppia deve richiedere la trascrizione del suddetto, senza dichiarare di aver fatto ricorso alla GPA, che nel nostro Paese è un reato. Ma così facendo commettono il reato punito dall’art. 495 c.p. (falsità in atti dello stato civile).
Esistono dei casi in cui alcuni genitori sono stati puniti, mentre in altri, in assenza di legame biologico col bambino, quest’ultimo è stato dichiarato adottabile.
Nel caso in cui il bambino sia invece figlio di uno solo dei membri della coppia, la legge italiana considera solo quest’ultimo come genitore, mentre l’altro deve fare ricorso alla stepchild adoption, legale per le coppie sposate.
Ad oggi, nessuna versione del DdL Cirinnà, né la vecchia né la nuova, prevedeva o prevede la legalizzazione della maternità surrogata.
Secondo i suoi detrattori però, nel caso in cui la legge fosse stata approvata con il famigerato articolo 5 cancellato dal maxi-emendamento, quest’ultimo avrebbe aperto la strada al riconoscimento della genitorialità del genitore non biologico, facilitando la vita a chi aveva fatto ricorso alla maternità surrogata all’estero. Il testo approvato dal Senato, invece, lascia ancora una volta la decisione ai giudici.
Vedremo quindi quale sarà l’orientamento della giurisprudenza. È possibile che, di fronte ad ipotesi di maternità surrogata, i giudici siano molto più cauti nel concedere l’adozione al partner del padre biologico.
Ovvio che la vicenda di cui si parla in questi giorni è una conferma per chi ritiene che consentire la stepchild adoption nelle unioni omosessuali spianerebbe la strada al ricorso alla maternità surrogata all’estero.