di Dott.ssa Erika Martinelli
Il legislatore con la Legge n. 67 del 28/04/2014, entrata in vigore il 17/05/2014, ha introdotto l’istituto della messa prova. Essa si presenta come una sorta di Giano bifronte, in quanto sul piano sostanziale dà luogo all’estinzione del reato in caso di esito positivo della prova, e, sul piano processuale, ad una modalità alternativa di definizione del giudizio.
È contenuta nel codice penale agli articoli da 168 bis c.p. a 168 quater c.p.; nel codice di procedura penale agli articoli 464 bis a 464 novies ss. e all’art. 657bis, che disciplina il ragguaglio tra il periodo di prova dell’imputato e la pena comminata con sentenza esecutiva in caso di revoca della messa alla prova o esito negativo della stessa; nelle disposizioni di attuazione al codice di procedura penale, agli articoli 141 bis e 141 ter, che riguardano l’avviso del pubblico ministero in ordine alla possibilità di richiesta di ammissione alla messa alla prova e l’attività dei servizi sociali nei confronti degli adulti ammessi alla prova e, infine, nel D.P.R. n. 313 del 14/11/2002 in materia di casellario giudiziale.
Ai fini dell’ammissione dell’istituto il legislatore ha previsto requisiti formali, oggettivi e soggettivi. I primi ineriscono alla formulazione della richiesta, che può essere presentata oralmente o per iscritto, personalmente dall’indagato/imputato o a mezzo di procuratore speciale, con sottoscrizione autenticata in caso di conferimento della procura speciale. La richiesta deve essere corredata di un programma di trattamento elaborato dall’Ufficio per l’Esecuzione Penale Esterna (UEPE) competente per territorio oppure da un’istanza rivolta al medesimo ufficio e finalizzata alla sua elaborazione.
Per quanto riguarda i presupposti oggettivi la richiesta deve riferirsi ad un reato punito con la pena pecuniaria o con la pena detentiva fino a quattro anni oppure ancora rientrare nell’ipotesi di cui all’art. 550, co. 2 c.p.p.
Quanto ai presupposti soggettivi, invece, la domanda deve provenire da chi non sia stato dichiarato delinquente o contravventore abituale, professionale o per tendenza, da colui al quale non sia già stata precedentemente concessa e poi revocata la messa alla prova, ovvero da colui al quale sia stata negata.
La richiesta di ammissione, che prevede la sospensione del processo, può essere avanzata sia nella fase delle indagini preliminari sia dopo che sia stata esercitata l’azione penale da parte del P.M.
Una volta presentata l’istanza corredata dal programma di trattamento o dalla richiesta inoltrata all’UEPE al fine della sua elaborazione, il giudice procede alla valutazione nel corso della stessa udienza ovvero in un’udienza camerale della quale deve essere dato avviso alle parti e alla persona offesa per garantire il contraddittorio. Egli dunque deve accertare se sussistano i requisiti per emettere un’ordinanza che dispone la sospensione del processo per un periodo che non può essere superiore a un anno quando si tratti di reati puniti con la pena pecuniaria, due anni quando si tratti di reati puniti con pena detentiva.
Una volta sospeso il processo l’indagato/imputato svolge presso un ente convenzionato con il Tribunale competente per territorio, l’impegno indicato nel programma di prova predisposto. Una volta concluso questo periodo, qualora l’esito della prova sia negativo, il giudice ai sensi dell’art. 464, co. 2 septies c.p.p. dispone con ordinanza non impugnabile che il processo riprenda il suo corso dalla fase in cui è intervenuta la sospensione; se risulti, invece, positivo il giudice dispone con sentenza l’estinzione del reato.
Il legislatore ha previsto anche che contro l’ordinanza che decide sull’istanza di messa alla prova possano proporre ricorso per Cassazione l’imputato e il pubblico ministero, anche su istanza della persona offesa. La persona offesa, invece, può ricorrere autonomamente solo in caso di omesso avviso dell’udienza o di omessa audizione nel corso della stessa.
Come ogni istituto di carattere sospensivo, la messa alla prova è suscettibile di revoca: essa è articolata tanto dalla norma sostanziale (art. 168 quater c.p.) quanto dalla norma processuale (art. 464 octies c.p.p.). Tali casi sono: 1) grave o reiterata violazione del programma di trattamento o delle prescrizioni imposte; 2) rifiuto alla prestazione del lavoro di pubblica utilità; 3) commissione durante il periodo di prova di un nuovo delitto non colposo, ovvero di un reato della stessa indole di quello per cui si procede.
In conclusione, questo istituto ha come scopo quello di ridurre il sovraffollamento carcerario e dare, pertanto, una risposta concreta alle aspettative europee circa la necessità di riformare il sistema sanzionatorio italiano incentrato sulla detenzione inframuraria, ancor più urgente in virtù della condanna inflitta all’Italia nel caso Torreggiani contro Italia dell’08/01/2013.