Monolith, la recensione

di Alessandro Faralla (Responsabile Cultura e Spettacoli F&D)

Vision Distribution porta in sala un action tosto e visivamente essenziale. Protagonisti una macchina impenetrabile, una mamma distratta e combattiva, e un deserto pacifico quanto asfissiante.

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Un ibrido tra diverse forme artistiche che si ispirano e plasmano a vicenda. Monolith, mette in scena la creatività: quella del cinema, del fumetto, del design futuristico e rassicurante.
L’idea è di Roberto Recchioni, disegnatore e sceneggiatore, che assieme a Mauro Uzzeo ha scritto il soggetto del fumetto mentre i disegni sono di Lorenzo Ceccotti.
L’altra peculiarità di Monolith risiede nella compagine produttiva, oltre a Lock & Valentine e Sky Italia troviamo la Sergi Bonelli Editore che ha pubblicato la graphic novel.

Al centro della storia vi siamo noi, gli uomini e il prodotto più seducente del nostro percorso come essere intellettivi. Monolith è infatti una macchina ipertecnologica, dotata dei più avanzati sistemi di sicurezza e software innovativi; quasi alla stregua del veicolo che potrebbe proteggere il numero uno della Casa Bianca, Monolith è stata concepita per proteggere l’uomo e i propri cari, specie i più piccoli.
Sandra, giovane mamma con una recente esperienza da celebrità nel mondo della musica, sta iniziando a scoprire le funzionalità della super macchina in grado di proteggerti dal mondo esterno. Ma una macchina per quanto inaccessibile può difenderti da te stesso, dalla vulnerabilità, dagli errori, dalle emozioni che ci spingono ad agire senza riflettere?

Senza volere evidenziare più del dovuto gli effetti della tecnologia nel nostro quotidiano il film di Ivan Silvestrini mette in scena un viaggio di adrenalina e nervi che vede lottare, confrontarsi e collaborare uomo e macchina con tanti incroci tra natura abbagliante e minacciosa, rabbia umana e incontri bestiali. Nel farlo mostra le naturali difficoltà di una persona che si trova in una situazione imprevista e fatica a trovare soluzioni – insomma l’immagine dell’uomo costretto alla sopravvivenza capace di fare cose mai provate prima viene con sottigliezza messa in un angolo – perché Sandra è disperata e sola, ma vuole a tutti costi salvare il suo piccolo e nel farlo, inciampa, sbaglia, a volte è maldestra.

Silvestrini e il resto della crew rendono energica, viva e palpitante l’atmosfera da videoclip promozionale presente nei suoni e nella scenografia da documentario survival che avvolge Sandra e la sua lotta. Un contrasto che fotografa senza particolari invenzioni narrative ma con tanta sostanza le difficoltà della genitorialità nell’era delle apparecchiature touch, della tecnologia, dei vari device a cui deleghiamo più del dovuto il nostro io, le nostre relazioni finendo per essere assuefatti dal miraggio di una ipersicurezza.

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