Non dimenticare il Ruanda, provocatorio diario di viaggio

IN LIBRERIA “STANNO TUTTI BENE” DI PIERFRANCESCO CURZI

– ANCONA – di Samantha Nisi –

FeD copertina libro RuandaIl suo viaggio inizia affondando gli scarponi nelle stesse impronte. Quelle lasciate un quindicennio prima dall’orrore del genocidio, ormai seccate dal sole del Ruanda. La lussureggiante vegetazione delle colline s’è ormai imposta sulle tracce di sangue rappreso. Passi profondi e pesanti, passi di carnefici, aizzati di cieco odio dalla dittatura coloniale francese e belga, passi di vittime Tutsi, gli “schifosi scarafaggi”, in disperata ricerca di salvezza. Il 6 aprile 2009 il giornalista anconetano Pierfrancesco Curzi affonda i suoi scarponi in Ruanda, 15 anni dopo il genocidio del 1994 che ha messo in ginocchio il Paese.

L’estate scorsa l’idea di mettere nero su bianco la sconvolgente esperienza di quel viaggio si è concretizzata grazie alla disponibilità della casa editrice Italic Pequod, che ha pubblicato “Stanno tutti bene”. Un titolo provocatorio per un libro che spinge il lettore a non dimenticare ciò che è successo, a fargli conoscere più a fondo una tragedia che ha varcato i confini ruandesi. E a dare una pacca sulla spalla a una certa Europa viziata e panciuta. Ai tanti, troppi italiani che si sono comportati come le tre scimmiette. “Non sentivamo, non vedevamo e non parlavamo: (…) figuratevi cosa potesse importare alla gente che qualche ‘sporco negro’ veniva fatto fuori”, sottolinea Curzi. Un Occidente, un’Italia opulenti. E caratterizzati da un menefreghismo ben incipriato e cotonato. Che hanno ipocritamente chiuso gli occhi facendo finta di nulla.

Insomma, un libro che vuole mettere a nudo l’indifferenza generale nei confronti del genocidio, che vuole scrollare le coscienze per far sì che prendano atto delle morti che hanno minato la terra africana, mentre “il nostro popolo disinformato veniva travolto dalla spazzatura dei notiziari”.

Curzi arriva in Ruanda per portarvi le sue scuse in nome d’una cittadinanza ottusa e insensibile. Ripercorre le tappe del genocidio – dal Ruanda, all’Uganda, in Kenya -, raccontando l’esperienza che vive, l’avventura in cui si cala. Grazie a testimonianze reali, riallacciandosi a quella orribile, quasi inenarrabile storia di violenza e guerra del 1994. Curzi incontra Charles Mugabe, oggi 23enne, sopravvissuto fingendosi morto tra i cadaveri. Fa tappa nei numerosi memoriali del genocidio, guardando gli occhi ghiacciati della morte. Si addolora per quella donna nera a Kibuye, che rantola di dolore in preda ai ricordi, distesa sul marmo freddo della chiesa, col rosario in mano. Nel suo diario Curzi riporta i luoghi che vede e percorre, le sue impressioni. Annota le spese giornaliere del suo budget ridotto all’osso. Un viaggio scomodo, niente confort, anche per questo solidale, avvolgente, appassionato, vissuto davvero dal reporter a fianco delle persone del luogo.

Una lingua audace, quella che dà vita a “Stanno tutti bene”, una lingua che non ha timore di svelarsi, di parlare limpidamente, di dire la sua scomoda verità. Una lingua che riesce finalmente a dar voce al silenzio, che va alla ricerca di ciò che rimane tra le macerie della strage. Non manca la critica, forte, nei confronti di alcune ong della cooperazione internazionale, che allora come oggi offrono carità ma non favoriscono una vera emancipazione.

Pierfrancesco Curzi si è spinto con i suoi viaggi in solitaria in più di trenta stati, tra Sud America, Est del mondo e Africa. Viaggi che spesso gli hanno offerto il materiale e l’ispirazione per altri scritti, rimasti ancora inediti. “Stanno tutti bene” è un esordio letterario che merita un seguito.

(articolo tratto da Urlo – mensile di resistenza giovanile)

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