UNGHERIA- URSS, BLOOD IN THE WATER A MALBOURNE 1956 DOPO I CARRI ARMATI SOVIETICI A BUDAPEST
La Seconda Guerra Mondiale era terminata ormai da una decina d’anni,l’Ungheria nel gioco dei blocchi contrapposti era un Paese fedele alla Russia di Stalin, con la dittatura di Màtyàs Rakosi.
Il 23 ottobre 1956 era in programma una manifestazione pacifica di qualche migliaia di studenti, ma via via si univano cittadini ungheresi, a migliaia, che manifestavano contro la dittatura filo-sovietica.
Giorno dopo giorno si unirono persone, fu abbatuta la statua di Stalin a Budapest mentre la polizia sefreta sprava sulla folla davanti al Parlamento. Il 24 ottobre il Partito Socialista Ungherese nominò come primo ministro Imre Nagy che andò incontro per larga parte alle richieste dei manifestanti.
L’Ungheria si proclamò neutrale, sembrava che stessse davvero per liberarsi dalla morsa sovietica e dal Patto di Varsavia. Quando….quando il 1 novembre i carri armati sovietici entrarono a Budapest e la rivolta fu repressa nel sangue con l’azione congiunta dei carri, di aerei e della fanteria.
Mancavano pochi giorni, dall’altra parte del mondo, all’inizi delle Olimpiadi di Melbourne, in Australia.
La squadra di pallanuoto ungherese, i maestri magiari da sempre tra i favoriti, nei giorni della rivolta era in ritiro in montagna, sopra Budapest, per preparare l’Olimpiade. Non c’era neanche una piscina, è vero, ma lì erano al sicuro, mentre in lontananza sentivano gi spari e vedevano il fumo alzarsi da Budapest.
Ervin Zàdor,che anni dopo divenne l’allenatore di nuoto di Mark Spitz, il super campione americano, era la giovane stella della forte squadra magiara.
Imre Nagy venne subito mezzo da parte, sostituito da János Kádár, poi imprigionato, accusato e fucilato nel 1958. La corazzata militare sovietica distrusse Budapest e le velleità liberali dell’Ungheria, che si riallineò al blocco stalinista per uscirne soltanto col crollo del Muro di Berlino nel 1989.
Ma il destino e la storia a volte amano far incrociare le strade per scrivere pagine indimenticabili.
6 dicembre 1956. Nella seconda delle due semifinali del torneo olimpico maschile, nella piscina olimpica di Melbourne, si sfidano Ungheria e Unione Sovietica. L’Ungheria è campione olimpico in carica, ma la coriacea squadra sovietica è in forte ascesa. Ma i pronostici non contano quando di mezzo c’è la storia, il riscatto di un popolo che attende una vasca olimpica per sublimarsi nella leggenda.
Negli spalti 5000 tifosi, perlopiù ungheresi emigrati in Australia. L’ambiente è caldissimo, si respira aria di imprpesa, l’Ungheria va subito in vantaggio, i giganti sovietici sembrano imbrigliati.
Pare che i magiari avessero per l’occasione imparato alcune parole di russo, iniziando una vera e propria strategia psicologia fatta di insulti e provocazioni ai nemici.
Ma è la tattica studiata dalla squadra ungherese a sorprendere completamente gli avversari: il gioco a zona, assolutamente innovativo per l’epoca. In pratica, si lascia un avversario libero, per raddoppiare sul centroboa.
A volte il destino è un maestro di narrativa e lo sport sembra un poema omerico. Combattere contro lo squadrone sovietico con la libertà, il gioco a zona, che destabilizza chi non è abituato a star liber. I magiari rimessi con la forza dei carri armati al loro posto stanno distruggendo in vasca i sovietici con la libertà, una parola che nel regime di Stalin non è neppure conosciuta.
Si va all’intervallo sul 2-0.
Ma oltre ai gol in campo si vedono pugni, violenza sopra e sotto l’acqua. I magiari si portano sul 4 a 0, pare non ci sia partita. Ma la vera partita, il riscatto di un intero popolo si gioca nelle parole e nei pugni che volano tra gli schizzi della piscina olimica tra le “fazioni contrapposte”.
Non è una partita di pallanuoto, non solo. Questo fu chiaro a tutti fin da subito, ma minuto dopo minuto, gol dopo gol, il concetto divenne sempre più chiaro e si tinse di rosso.
Zàdor continuava a segnare e ad insultare il suo marcatore sovietico Valentin Prokopov.
A pochi minuti dalla fine del quarto tempo, Valentin Prokopov colpisce a gioco fermo Ervin Zàdor con un pugno violentissimo in cui c’era dentro tutta la frustrazione della superpotenza piegata dall’intelligente strategia e dal cuore avversario.
Blood in the water,così la sfida divenne pura epica sportiva e per certi versi sublimazione di un immaginifico quasi cinematografico.
L’arcata sopracciliare di Zàador viene lacerata dal pugno di Prokopov, l’acqua della piscina si tinge subito di rosso. Zàdor capisce che quegli attimi stanno scrivendo la storia e esce dalla vasca passando dal lato più lontano.
Il sangue dipinge con una lunga scia rossa la piscina e la storia, così come i carri sovietici avevano fatto sulle speranze e le vite di migliaia di magiari che volevano imparare la libertà.
Il pubblico impazzì, la violenza stava dilagando, l’arbitro doovette interrompere la sida consegnando la vittoria a tavolino all’Ungheria.
Il cammino di Zàdor e compagni non si interrompe neppure contro la forte Jugoslavia.
La vittoria dell’Olimpiade diventa leggendaria quando sul podio di Melbourne si rincontrano con i sovietici, che nel frattempo hanno conquistato il bronzo.
I magiari possono guardare l’URSS dall’alto in basso: è vero è solo un podio di una piscina olimpica, ma a volte la storia è anche questa.
Iconografia di un momento leggendario, di pura epica popolare che non sfugge, infatti, anni dopo all’occhio attento di Quentin Tarantino. Che, insieme a Luci Liu, realizza un documentario che ricorda quello straordinario “blood the water”, con la voce fuori campo proprio del grande Mark Spitz.
Era il 2006, e si festeggiava il 50° anniversario della rivoluzione ungherese, da cui tutto ciò ebbe inizio.