E’ QUANTO STABILITO DALLA CASSAZIONE PENALE, SEZ. III, CON SENTENZA 24/07/2017 N. 36616
di Dott.ssa Fedora Fratini
La Corte di Cassazione, Sezione III Penale, con sentenza n. 36616, del 24 Luglio 2017 ha chiarito che le reiterate denunce per reati in tema di stupefacenti non possono essere aprioristicamente ostative all’applicabilità della particolare tenuità del fatto.
Con sentenza del 11 giugno 2015 la Corte di Appello di Torino confermava l’impugnata sentenza del 3 giugno 2014 del Tribunale di Torino, con la quale E.A.Y. era stato condannato alla pena di mesi due di reclusione ed Euro 600,00 di multa per il reato di cui al D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 73, comma 5, concesse le attenuanti generiche oltre alla riduzione del rito.
Avverso detta decisione l’imputato, tramite il proprio difensore, ha proposto ricorso per Cassazione con un motivo di impugnazione.
Il ricorrente, infatti, lamentava la mancata applicazione della previsione di cui all’art. 131-bis c.p., laddove la Corte territoriale aveva disatteso la richiesta in proposito formulata assumendo l’esistenza di plurime denunce per reati inerenti agli stupefacenti.
Il vizio era evidente, dal momento che la mera denuncia non poteva equivalere ad avere commesso il reato.
Col decreto legislativo 16 marzo 2015, n. 28 è stata attuata la delega per “escludere la punibilità di condotte sanzionate con la sola pena pecuniaria o con pene detentive non superiori nel massimo a 5 anni, quando risulti la particolare tenuità dell’offesa e la non abitualità del comportamento, senza pregiudizio per l’esercizio dell’azione civile per il risarcimento del danno e adeguando la relativa normativa processuale penale”, contenuta nell’art. 1, comma 1 , lett. m), legge 28 aprile 2014, n. 674.
Il citato decreto legislativo ha introdotto nel codice penale una nuova causa di non punibilità, prevista nel nuovo art. 131-bis c.p. (art. 1), la cui importanza sistematica è sottolineata dalla modifica delle intestazioni del Titolo V e del Capo I del Libro I del codice.
Come emerge più chiaramente dal testo della delega, rispetto al primo comma dell’art. 131-bis c.p., due soli sono i presupposti o elementi costitutivi fondamentali: la particolare tenuità dell’offesa e la non abitualità del comportamento.
A sua volta la particolare tenuità dell’offesa viene articolata “in due ulteriori indici-requisiti, costituiti dalle modalità della condotta e dall’esiguità del danno o del pericolo”, entrambi valutati ai sensi dell’art 133, comma 1 c.p.
Entrambi i requisiti fondamentali –particolare tenuità dell’offesa e non abitualità del comportamento –sono poi ulteriormente specificati in senso negativo, rispettivamente nei commi 2 e 3 dell’art. 131-bis c.p., preposti ad indicare quando l’offesanon può essere ritenuta di particolare tenuità e quando il comportamento deve essere ritenuto abituale con disposizioni non troppo perspicue e generalmente criticate.
La ratio dell’irrilevanza penale del fatto per particolare tenuità, soprattutto all’interno del giudizio di legittimità, è che la valutazione del fatto in termini di particolare tenuità dell’offesa appare un giudizio tipicamente di merito, come tale precluso alla Suprema Corte di Cassazione, la quale si vedrebbe costretta sempre ad un annullamento con rinvio qualora non condividesse l’esclusione della causa di non punibilità nelle fasi di merito; mentre evidenti ragioni di economia processuale e la scarsa consistenza delle questioni trattate imporrebbero un annullamento senza rinvio, preferibilmente sulla base di un’espressa previsione di legge che, tuttavia, allo stato manca.
Nel caso di cui si discute in tale sede, la Suprema Corte si è limitata ad una valutazione circa l’astratta non incompatibilità dell’istituto rispetto alla fattispecie concreta, in quanto la Corte di Appello appare avere formulato un giudizio non congruo in relazione ai requisiti di legge, avendo verificato solamente l’esistenza di mere “denunce” ormai risalenti, in ordine al cui destino nulla è stato aggiunto o chiarito, neppure chiarendo se sia stato dato corso ad un procedimento penale, ed ancor meno se vi sia stato un accertamento giudiziale in proposito.
Questo, il motivo per il quale non può ravvisarsi la sicura esistenza di clausole ostative, tenuto conto dell’opzione esegetica adottata dalla Corte territoriale.
Nei termini di cui sopra, la questione appare ancora dai “confini incerti”.
Quale sarebbe stata, infatti, la decisione della Suprema Corte di Cassazione, se la competente Corte di Appello avesse formulato il proprio giudizio in modo idoneo circa i requisiti di legge? La particolare tenuità del fatto è, dunque, da considerarsi applicabile tout court in relazione alla materia dello spaccio?
Per il momento ci si deve attenere all’astratta non incompatibilità dell’istituto in materia.