DEPOSITATE LE MOTIVAZIONI DELL’IMPORTANTE SENTENZA DELLE SEZIONI UNITE
di avv. Tommaso Rossi (Studio Legale Associato Rossi-Papa-Copparoni)
Sono state depositate il 14 ottobre 2014 le motivazioni della sentenza n. 42858 del 29 maggio, in cui le Sezioni Unite della Corte di Cassazione si sono pronunciate in ordine alla rideterminazione della pena dopo una sentenza di illegittimità costituzionale di una norma penale sostanziale diversa dalla norma incriminatrice.
Il nodo era valutare gli effetti sul giudicato della sentenza della Corte Costituzionale 15 novembre 2012 n. 251 che ha dichiarato illegittimo l’art. 69, comma quarto, c.p., nella parte in cui escludeva il giudizio di prevalenza della circostanza attenuante prevista dall’art. 73, comma 5, d.p.r. 9 ottobre 1990 n. 309(spaccio di lieve entità) sulla recidiva ex art. 99 co. 4 c.p.
Il 31 gennaio 2014 era stata rimessa alle Sezioni Unite della Suprema Corte la seguente questione di diritto: «Se la dichiarazione della illegittimità costituzionale di norma penale sostanziale, diversa dalla norma incriminatrice (nella specie l’art. 69 c.p., comma 4, in parte de qua, giusta sentenza della Corte costituzionale n. 251 del 2012), comporti, ovvero no, la rideterminazione della pena in executivis, così vincendo la preclusione del giudicato».
La Corte a Sezioni Unite ha risolto positivamente il quesito, con una sentenza davvero interessante che ripercorre la storia del Giudicato e la progressiva erosione del “dogma dell’intangibilità del giudicato” dalla sentenza CEDU Scoppola del 2009, passando per la sentenza Ercolano della Corte di Cassazione del 2013. Le Sezioni Unite hanno motivato questa conclusione cui son giunte, osservando che chi è stato condannato ad una pena determinata anche alla luce del citato divieto di prevalenza, poi dichiarato illegittimo, ha subito la applicazione di una «pena illegittima sia sotto un profilo oggettivo, in quanto derivante dalla applicazione di una norma di diritto penale sostanziale dichiarata illegittima dalla Corte costituzionale dopo la sentenza irrevocabile, sia sotto il profilo soggettivo, in quanto, almeno per una sua parte, non potrà essere positivamente finalizzata alla rieducazione del condannato e costituirà, anzi, un ostacolo al perseguimento di tale scopo perché sarà inevitabilmente avvertita come ingiusta da chi la sta subendo, per essere stata determinata dal giudice nell’esercizio dei suoi legittimi poteri, ma imposta da un legislatore che ha violato la Costituzione». Quest’ultima, forse, la valutazione “filosoficamente” più interessante della sentenza. La pena avvertita come ingiusta da chi la subisce, perché fondata su una norma poi dichiarata illegittima, non svolge la sua funzione costituzionalmente orientata alla rieducazione e sarebbe quindi inutile.
Il diritto fondamentale alla libertà personale – scrive inoltre la Corte – «deve prevalere sulla intangibilità del giudicato, sicchè devono essere rimossi gli effetti ancora perduranti della violazione conseguente alla applicazione di tale norma incidente sulla determinazione della pena, dichiarata illegittima dalla Corte Costituzionale dopo la sentenza irrevocabile».
Il compito di rimuovere tale illegittimità compete al giudice dell’esecuzione, stimolato dal Pubblico Ministero che sarà obbligato a richiedere tale rideterminazione della pena in executivis con lo strumento dell’incidente di esecuzione. Il Giudice dell’esecuzione dovrà poi procedere a quel giudizio di comparazione tra circostanze che era stato illegittimamente inibito al giudice del merito dal divieto poi ritenuto costituzionalmente illegittimo. Ovviamente dovendo, però, procedere nei limiti in cui gli è consentito dalla pronuncia emessa all’esito del giudizio di cognizione. Potrà quindi giungere a valutare la prevalenza sempre che lo stessa non sia stato precedentemente esclusa nel giudizio per ragioni di merito e dunque indipendentemente dal divieto di prevalenza sopra detto.
In conclusione, dunque- rinnovando ai lettori esperti il consiglio di leggersi per esteso la chiarissima ed interessante motivazione della sentenza- sono stati affermati i seguenti principi di diritto:
– L’irrevocabilità della sentenza di condanna non impedisce la rideterminazione della pena in favore del condannato, quando interviene la dichiarazione d’illegittimità costituzionale di una norma penale diversa da quella incriminatrice, incidente sul trattamento sanzionatorio, e quest’ultimo non sia stato interamente eseguito, pur se il provvedimento ‘correttivo’ da adottare non è a contenuto predeterminato;
– Il giudice dell’esecuzione, per effetto della sentenza della Corte costituzionale n. 251 del 2012, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 69, quarto comma, cod. pen., nella parte in cui vietava di valutare prevalente la circostanza attenuante di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, sulla recidiva di cui all’art. 99, quarto comma, cod. pen., può affermare la prevalenza dell’attenuante anche compiendo attività di accertamento, sempre che tale valutazione non sia stata esclusa dal giudice della cognizione;
– Al pubblico ministero, in ragione delle sue funzioni istituzionali, per effetto della sentenza della Corte costituzionale n. 251 del 2012, spetta il compito di richiedere al giudice dell’esecuzione l’eventuale rideterminazione della pena inflitta anche in applicazione dell’art. 69, quarto comma, cod. pen., nel testo dichiarato costituzionalmente illegittimo, pur se il trattamento sanzionatorio sia già in corso di attuazione.
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