Perla d’esordio di Ryan Coogler: razzismo, violenza e polizia in Usa

 “PROSSIMA FERMATA: FRUITVALE STATION”

foto Fruitvale station (1)– di Alessandro Faralla – I fatti degli ultimi mesi che, in America, hanno visto la morte di persone afro-americane per mano della polizia richiamano alla visone di “Prossima Fermata: Fruitvale Station”, piccola ma indelebile gemma d’esordio cinematografico di Ryan Coogler, giovane regista afro-americano già autore di premiati cortometraggi (“Locks”, “Fig”, “The sculptor”).

Il suo primo lungometraggio, arrivato in Italia a marzo del 2014, racconta la storia vera e le ultime ore di vita di Oscar Grant, partendo dalla mattina del 31 dicembre 2008 fino alla prime luci del 2009. Oscar è un ragazzo di 22 anni di Oakland, della Bay Area californiana, già arrestato per piccoli crimini, che cerca faticosamente di intraprendere una strada migliore per sé e per la sua bambina, cosa non semplice nel ghetto e nella periferia sub-urbana americana.

La sera dell’ultimo giorno dell’anno va a festeggiare il Capodanno a San Francisco assieme alla sua compagna e agli amici. La madre, preoccupata, gli consiglia per una maggior sicurezza di prendere la metro anziché la macchina.

Ma al rientro, su quella carrozza affollata, il gruppo viene coinvolto in una rissa. Il treno si ferma alla stazione di Fruitvale, i provocatori sono già fuggiti, ma la polizia arbitrariamente ferma Oscar e alcuni dei suoi amici. Dal treno, i testimoni riprendono la scena coi loro cellulari. Mentre il ragazzo è ammanettato a pancia sotto un poliziotto, all’improvviso, gli spara alla schiena. In seguito a quel fatale viaggio Oscar muore, sua figlia resta orfana e una famiglia è costretta a fare i conti con un dolore inconsolabile dinanzi a una giustizia umana cieca e barbara.

Perfetto per personalità e credibilità nella parte di Grant è l’attore Michael B. Jordan, anch’egli afro-americano e alla prima esperienza al cinema.

Coogler, nato proprio ad Oakland (California) da quando aveva 21 anni è consulente per i giovani detenuti presso il San Francisco’s Juvenile Hall, conosciuta la vicenda, all’epoca dei fatti era un laureando dell’University of Southern California di arti cinematografiche, ha sentito il dovere e il bisogno di raccontare questa storia, scegliendola così per il suo debutto cinematografico. Ne è sorto un film vero, denso, incalzante quanto straziante, girato in stile presa diretta, una scelta che restituisce al meglio gli spazi e la realtà di Oscar, descritto senza filtri, né come un martire né come un criminale, ma semplicemente come un giovane uomo con la sua vita e le sue problematiche.

Questo  breve film indipendente è diventato un piccolo caso: girato nel luglio del 2012 in soli venti giorni proprio nei luoghi dei fatti, ovvero ad Oakland, in California, le riprese di alcune scene sono avvenute nella stessa stazione dove venne ucciso Grant. Ha ottenuto numerosi riconoscimenti, tra i più importanti il Premio Avenir per il “Miglior film di debutto” al Festival di Cannes 2013, il Gran Premio della Giuria per un film drammatico, il Premio del pubblico per un film drammatico, entrambi al Sundance Film Festival 2013, oltre ai premi personali per Michael B. Jordan come Miglior esordiente all’Hollywood Film Festival (2013), per Ryan Coogler come Miglior regista esordiente (2013) e Miglior film d’esordio agli Independent Spirit Awards 2014.

Il regista, per il film, si è avvalso della collaborazione della famiglia di Oscar e delle immagini reali girate quella sera: vari video sono ancora presenti su Youtube, tutto ciò gli è servito per ricostruire esattamente la scena del crimine. Le moderne tecnologie lo hanno reso più famoso di altri casi: in America sono moltissime le storie di vicende analoghe, non molte vengono alla luce, ricevendo quell’attenzione pubblica e quell’eco mediatico che meriterebbero. Questo potremmo dire, fino a qualche tempo fa, perché il caso Ferguson, sobborgo di St.Lous, in Missouri, grazie proprio all’uso di tecnologie digitali, ci ha fatto conoscere la storia di Michael Brown, un nero di 18 anni, disarmato, ucciso, la scorsa estate, da un poliziotto, Darren Wilson. A questo sono seguiti altri omicidi, con conseguenti rivolte, marce di protesta e vendette nei confronti degli agenti.

Vedere o riguardare il film di Ryan Cooger è oggi quanto mai necessario, al di là dell’accesso dibattito sugli abusi e sui metodi, spesso duri, della polizia statunitense, soprattutto nei confronti delle minoranze.

Ci consegna un’immagine dell’America che sembra non esser venuta fuori dal buio di una storia di segregazione razziale. Rimane un’amara realtà sociale di una vita portata via da chi dovrebbe tutelare anziché esser oppressore e carnefice. Lo spettatore è colpito dentro dalla profonda sincerità del film che nella sua autenticità ci trasmette il dolore di chi resta, di fronte a una perdita immensa, senza spiegazioni, risposta e giustizia.

A rendere tutto ciò più impressionante e denso di significato è il fatto che regista e interprete siano due giovani, tre anni fa entrambi ventisettenni, oltre ad un ottimo cast impreziosito dalla presenza della bravissima (e premio Oscar) Octavia Spencer.

Prossima fermata Fruitvale Station è un bel modello di cinema indipendente, capace di compiere una denuncia sociale in maniera profonda e responsabile, senza dover ricorrere a stereotipi ed espedienti.

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