IL VERNACOLO IMPEGNATO DI FOSCO GIANNINI
ANCONA – di Luisa Ferretti – La politica e la poesia rappresentano da sempre le grandi passioni dell’anconetano Fosco Giannini, esponente di spicco del Partito Comunista Italiano dai primi anni ‘80 e poeta riconosciuto fin dalla più giovane età. Nel suo ultimo libro “Poesie in forma popolo”, edito da La Città del Sole, queste due passioni si completano l’una con l’altra dando vita ad una raccolta poetica di notevole spessore. Trascritti in vernacolo, i versi di Giannini testimoniano l’impegno dei suoi anni “tutti politici” – sempre vissuti con la sensibilità partecipe del poeta – e ci raccontano la dura realtà dei lavoratori. “Ad uno ad uno, da li bughe sorte, pare l’insetti neri de la morte” (“Operai al lavoro (Fincantieri all’alba)”). Una poesia che in pochi versi riesce a raffigurare lo spaccato di un intero mondo che vive – o meglio, sopravvive – tra periferie, fabbriche, case popolari; ne viene fuori tutta la dinamica complessa e travagliata dei sentimenti umani su cui il poeta pone il suo sguardo senza tacere nulla e, nello stesso tempo, senza scadere in facili sentimentalismi. “T’odio e t’assolvo perché non se capisce mai cu c’emo dentro, un pozzo nero, stelle lontane senza senso, un’andà e venì privo de centro” (“Come un calzetto ‘nte la lavatrice”). Con uno stile lucido e rigoroso, Giannini si addentra nei “cantieri, mercati, quartieri scalcinati” di Ancona dove si avvertono con prepotente autenticità gli odori, i rumori e gli umori della gente. Una carrellata di scenari scaturiti da una quotidianità entro la quale “il popolo” si muove da inconsapevole protagonista, consumato e vinto dalla sua stessa esistenza. “Giovani bianchi, neri, fòri, ‘ntel freddo, ‘spettano tutti sotto el tunnel stretto, un filo longo longo de pensieri” (“Al centro dell’impiego” ). Il poeta sa riconoscere e comprendere la miseria – e la grandezza – di questa esistenza. La fa propria, ponendo al centro della sua ricerca poetica l’essere umano, con tutte le sue sofferenze e debolezze. “Non c’è mai pace, non c’è liberazione: la voja ce corrompe, in ogni condiziò” (“In ogni condiziò”) . Una empatia sincera, che ritroviamo anche nella sua lunga militanza politica, espressasi sempre a favore dei più deboli. “Me sento, insomma, sempre fòri posto: come le vecchie col majiò, d’agosto (“Grazie che m’el chiedi”). L’amarezza delle prime poesie va stemperandosi in un’ironia che si accompagna alla forma dialettale conferendogli una “leggerezza di spessore”, profondamente evocativa. Una poesia che riporta alla mente la limpida intensità dei versi vernacolari di Franco Scataglini e di quei poeti che, non a caso, introducono la sua antologia: Pier Paolo Pasolini, Umberto Saba, Franco Loi, Maria Costa, Fabio Franzin, Mario Brasu. I versi di Giannini si accompagnano a quelli di questi grandi; ne raccolgono il testimone, rinnovando una tradizione poetica che si fa portavoce dell’umanità “ultima”, ritratta in tutta la sua commovente tragicità.
(articolo tratto da Urlo – mensile di resistenza giovanile)