Polemiche per la rivoluzionaria sentenza della Cassazione

E’ LEGITTIMO LICENZIARE UN DIPENDENTE PER AUMENTARE IL PROFITTO D’IMPRESA
Di dott.ssa Letizia Bongelli

 
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 25201 del 7 dicembre 2016, ha considerato legittimo il licenziamento per giustificato motivo oggettivo nel caso in cui sia finalizzato a salvaguardare la competitività dell’azienda nell’ambito del settore nel quale questa svolga l’attività di impresa.Il profitto diventa quindi giustificato motivo di licenziamento: è questa la nuova e rivoluzionaria fattispecie di licenziamento riconosciuta per la prima volta nel nostro ordinamento dalla Corte di cassazione.

Con la sentenza in esame i giudici di legittimità compiono una vera e propria rivoluzione copernicana affermando per la prima volta e chiaramente che un licenziamento non sarà più giustificato solo se necessario a causa di una crisi economica o di una perdita di bilancio o di un calo di fatturato che metta a rischio l’andamento dell’impresa, ma potrà essere giustificato anche solo in ragione di una migliore e più efficiente organizzazione produttiva dell’impresa o di una maggiore redditività della stessa, ovverosia di un maggior profitto.

Tale è il principio di diritto enucleato dalla Suprema Corte nella recente sentenza con la quale ha accolto il ricorso di un resort di lusso della Toscana proposto contro la sentenza della Corte di Appello di Firenze che aveva giudicato illegittimo il licenziamento per giustificato motivo oggettivo con il quale era stato estromesso uno dei manager del resort ed al quale la corte fiorentina (in difformità a quanto stabilito dal giudice di prime cure), aveva riconosciuto il diritto ad ottenere quindici mensilità a titolo di risarcimento. Con tale pronuncia la Corte sottolinea la legittimità del recesso datoriale giustificato con l’esigenza tecnica di rendere più snella la catena di comando, senza che alla base del provvedimento vi debba essere una congiuntura sfavorevole e non meramente contingente, tale da influenzare negativamente la normale attività produttiva. La preesistenza di una crisi economico-finanziaria o di un altro dato fortemente negativo, tale da condizionare la prosecuzione dell’attività aziendale, non costituisce una precondizione a cui il licenziamento per giustificato motivo oggettivo debba essere ancorato.

A livello strettamente normativo, il licenziamento per giustificato motivo è disciplinato dalla legge n. 604 del 1966, aggiornata di recente con la legge n. 92 del 2012, la cosiddetta riforma Fornero. L’art. 3 della predetta legge stabilisce che “il licenziamento per giustificato motivo con preavviso é determinato da un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali del prestatore di lavoro ovvero da ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa.”

Ed è proprio in relazione a tale aspetto che la Corte di Cassazione introduce un’interpretazione della norma che stravolge completamente gli orientamenti passanti, affermando che, ai fini della legittimità del licenziamento individuale intimato per giustificato motivo oggettivo ai sensi dell’art. 3 della I. n. 604 del 1966, l’andamento economico negativo dell’azienda non costituisce un presupposto fattuale che il datore di lavoro debba necessariamente provare ed il giudice accertare, essendo sufficiente che le ragioni inerenti all’attività produttiva ed all’organizzazione del lavoro, tra le quali non è possibile escludere quelle dirette ad una migliore efficienza gestionale ovvero ad un incremento della redditività dell’impresa, determinino un effettivo mutamento dell’assetto organizzativo attraverso la soppressione di una individuata posizione lavorativa.

La Cassazione evidenzia inoltre che “concedere” all’imprenditore la possibilità di sopprimere una specifica funzione aziendale solo in caso di crisi economica finanziaria e di necessità di riduzione dei costi, rappresenti un limite gravemente vincolante l’autonomia di gestione dell’impresa e si pone senza dubbio in contrasto con il precetto costituzionale di cui all’art. 41 che tutela l’iniziativa economica e la libertà di impresa, la cui autonomia finirebbe per essere irrimediabilmente compressa nel caso in cui la decisione datoriale di ridurre l’organico debba sottostare alla preesistenza di una crisi aziendale o a una condizione sfavorevole di mercato.

In conclusione, il licenziamento per giustificato motivo oggettivo per essere legittimo d’ora in avanti non dovrà più essere considerato la extrema ratio ma uno dei possibili sbocchi dell’autonomia organizzativa e decisionale dell’imprenditore sottratta al vaglio del giudice del lavoro, a cui spetterà unicamente di verificare in concreto l’esistenza della ragione dedotta dell’azienda e il nesso di causalità tra la ragione dedotta e il licenziamento di quel particolare dipendente.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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