LE PAROLE DEL GARANTE E L’ANALISI DELLO SCANDALO “DATAGATE” IN USA
– di Avv. Tommaso Rossi
Roma, 16 giugno 2013 -Lo schiacciante strapotere dei giganti di Internet «non può più essere ignorato, così come non sono più accettabili le asimmetrie normative rispetto alle imprese europee che producono contenuti o veicolano servizi». Con queste le parole il garante della privacy Soro ha aperto la prima Relazione annuale al Parlamento puntando il dito contro gli operatori over the top (come Google, Facebook, Amazon).
Il garante punta il dito contro il caso “Datagate” che ha sconvolto gli Stati Uniti, e ha sottolineato come nell’UE non vi debba essere mai una revisione al ribasso delle garanzia di tutela della riservatezza dei dati personali. Insomma, un no secco al modello USA.
«La pretesa di proteggere la democrazia attraverso la compressione delle libertà dei cittadini rischia di mettere in discussione l’essenza stessa del bene che si vuole difendere».
Il Garante privacy ha inoltre preannunciato che nelle prossime settimane verrà adottato un «provvedimento generale» sulle intercettazioni telefoniche ed ambientali di comunicazioni «per indicare soluzioni idonee ad elevare lo standard di protezione dei dati trattati ed evitarne indebite divulgazioni». Le intercettazioni, spiega Soro, sono certamente una «risorsa investigativa fondamentale, insostituibile, che andrebbe gestita con molta cautela: per evitare fughe di notizie – che, oltre a danneggiare le indagini, rischiano di violare la dignità degli interessati – e per evitare quel giornalismo di trascrizione che finisce, oltretutto, per far scadere la qualità dell’informazione».
Il garante ha anche ribadito che bisogna usare il pugno di ferro contro la violenza verbale presente nella rete internet, troppo spesso diventata da luogo di libera espressione un luogo di libera violenza e volgarità.
Un j’accuse anche al mito, troppo spesso osannato dai fautori della rete libera ad ogni costo, della trasparenza totale: «non necessariamente trasparenza totale significa verità e la riservatezza non è sempre invocata per nascondere qualcosa in modo deprecabile: essa è comunque requisito fondamentale nella politica come nel privato».
Nel frattempo, negli Stati Uniti, l’ex tecnico informatico della CIA Edward Snowden, una vita in difesa della privacy, da Hong Kong in cui si è rifugiato, vuota il sacco e dà origine alla più grande fuga di notizie sull’intelligence statunitense, quella che riguarda il sistema Prism, il programma di controllo delle comunicazioni lanciato dall’Agenzia di sicurezza nazionale Usa (Nsa). Secondo quanto riportato dal Guardian, la CIA inviò Snowden a Ginevra nel 2007, con una copertura diplomatica, garantendogli così l’accesso ad una serie di documenti riservati. «Gran parte di ciò che ho visto a Ginevra mi ha veramente disilluso rispetto a come funziona il mio governo, e a qual è il suo impatto sul mondo. Ho capito che ero parte di qualcosa che stava facendo molto più male che bene». Snowden, svela poi di aver raccolto e copiato tutto il materiale che ha poi diffuso sui media dal suo ufficio della NSA alle Hawaii. Poi ha avvertito il suo superiore che sarebbe stato fuori per un paio di settimane per curarsi l’epilessia, ha salutato la ragazza dicendole che sarebbe stato fuori per qualche giorno, e con la sua valigia gonfia di segreti e misteri svelati il 20 maggio è salito su un volo solo andata per Honk Kong.
Ora è lì, rinchiuso in albergo, a raccontare la sua verità e proteggere i suoi segreti informatici. E la sua vita.
Inutile negarlo, Snowden ha paura. Il timore è che il governo di Washington possa ricorrere alle «extraordinary rendition», spietato sistema con cui ha catturato molti sospetti terroristi negli ultimi anni, rinchiudendoli come inghiottiti in una laida prigione in qualche remoto Paese amico. «L’unica cosa di cui ho veramente paura e aver fatto male ai miei familiari, di cui molti lavorano per il governo, ora che non li posso più aiutare. Questa – ha detto con le lacrime agli occhi – è una cosa che non mi fa dormire la notte».
Le parole di Snowden sono scioccanti: la grande maggioranza delle comunicazioni umane sarebbero assorbite senza alcun filtro. “Se voglio leggere le vostre email o ascoltare il telefono di vostra moglie, tutto quello che debbo fare e intercettarvi. Posso entrare nelle vostre email, avere le vostre password, i dati telefonici o delle vostre carte di credito”. Secondo Snowden le operazioni di hackeraggio della National Security Agency sono state oltre sessantamila con centinaia di bersagli a Hong Kong e su territorio cinese. «Grazie alla nostra sorveglianza abbiamo fermato decine di potenziali attentati terroristici», questa la risposta del direttore della Nsa, Keith Alexander.
Ma in Italia, tutto ciò sarebbe possibile e legale? Ovviamente no.
Chi dispone un’intercettazione e in quali casi?
Le intercettazioni telefoniche sono un mezzo di ricerca della prova, disciplinate dal codice di procedura penale agli artt. 266 e ss. Dottrina e giurisprudenza sono concordi nel definire l’intercettazione telefonica come la captazione occulta e contestuale di una comunicazione o conversazione tra due o più soggetti che agiscono con l’intenzione di escludere altri (Cass. Sez. Unite n. 36747 del 28 maggio 2003). Proprio perché vanno a violare il diritto alla riservatezza dei soggetti, le intercettazioni sono consentite solo in relazione a reati di particolare gravità tassativamente elencati nel 1° comma dell’art. 266 c.p.p. (tra gli altri troviamo anche i reati di contrabbando, reati contro la pubblica amministrazione, ingiuria, minaccia, usura, abusiva attività finanziaria). Gli stessi limiti incontra anche l’intercettazione di comunicazioni tra presenti (c.d. “intercettazioni ambientali”). E’ il PM (pubblico ministero) a richiedere al GIP (giudice per le indagini preliminari) l’autorizzazione a disporre l’intercettazione sulla base di un doppio presupposto: che vi siano gravi indizi di reato e che vi sia una assoluta indispensabilità dell’intercettazione ai fini delle indagini.
Le operazioni per l’acquisizione delle intercettazioni sono materialmente eseguite dalla polizia giudiziaria e, una volta ultimate, i relativi verbali con le annotazioni delle conversazioni (brogliacci), nonché le registrazioni devono essere
immediatamente trasmessi al PM. Quest’ultimo dà avviso ai difensori degli indagati al fine di prenderne visione e infine arriveranno al GIP che disporrà la trascrizione integrale delle registrazioni.
Il codice (art. 269 c.p.p.) prevede la possibilità per il giudice, su istanza dell’interessato, di disporre la distruzione di quelle intercettazioni che risultino inutili ai fini processuali. Questa norma esprime un’evidente esigenza di tutela della privacy dei soggetti coinvolti nelle intercettazioni. Ma i recenti fatti di cronaca evidenziano la scarsa applicazione della norma nella realtà giudiziaria attuale. I vari governi che si sono succeduti negli ultimi anni hanno avanzato diverse proposte di modifica della normativa che disciplina questa materia: dalla limitazione delle intercettazioni alle sole ipotesi di reati associativi al divieto di pubblicazione delle stesse fino alla conclusione delle indagini preliminari o addirittura fino al termine dell’udienza preliminare. Vero è che non è sempre facile bilanciare i due interessi in gioco. Le intercettazioni restano il mezzo di ricerca della prova principale ai fini delle indagini, ma d’altro canto spesso la cronaca ci offre nomi e circostanze che nulla hanno a che fare con le indagini stesse e che finiscono con l’attirare maggiormente l’attenzione del pubblico, ormai abituato al gossip giudiziario.