Realtà- finzione. Finzione- realtà. E’ questo il tema dominante che ricorre per tutta la durata dell’ultimo film di Ferzan Ozpetek. Un regista particolare, strano, speciale. Un film difficile da definire ed inquadrare, classificare, e valutare. Un film che deve essere visto. Il primo commento che, a metà della proiezione, mi è sgorgato è stato: “non sembra un film italiano!”. Il cinema italiano, a mio modesto avviso, negli ultimi anni si è avviluppato su se stesso, divenendo spesso un film di genere, uguale a se stesso, vagamente autoreferenziale e, soprattutto, privo di fantasia, coraggio, inventiva. Lontano dagli anni ’70, dove ogni regista, anche con poco budget, aveva voglia di sperimentare, inventando generi spesso catalogati come B-movie, ma “coraggiosi” per l’epoca. Basti pensare ai “poliziotteschi” all’italiana, agli horror-splatter di Fulci e Bava, allo spaghetti western dove Giuliano Gemma e Terence Hill non sfiguravano rispetto al texano dagli occhi di ghiaccio Clint Eastwood. Il film di Ozpetek, regista che negli ultimi anni stava a sua volta ricavandosi una nicchia di autoreferenzialità, è invece un film coraggioso.
Il rischio di cadere nella banalità un po’ spocchiosa dell’ambientazione retrò c’era.
E, invece, ogni scena è una pennellata dove fotografia e fantasia si fondono in primi piani e sfocature che simboleggiano meravigliosamente il tema centrale del film: realtà-finzione, finzione-realtà.
Una compagnia teatrale, nella Roma degli anni ’40, nel pieno della seconda Guerra mondiale, scompare a seguito di una misteriosa morte e incrocia ora, nella Roma dei giorni nostri, la propria esistenza fantasmagorica con quella- piena di voglia di scoprire la vita e scoprirsi in tutte le sue sfaccettature- di un Elio Germano ancora una volta grande realtà del cinema italiano.
E sullo sfondo l’omosessualità del giovane e acerbo protagonista, la sessualità eccessiva e sconclusionata di sua cugina (una brava Paola Minaccioni), la solidarietà nella diversità (molto bella la scena del travestito che accompagna il giovane Elio Germano nel regno confuso della Badessa-Platinette alla ricerca di informazioni su Livia Morosini), e il Teatro come luogo di incontro, appunto, di realtà e finzione.
Ecco, Livia Morosini, una straordinaria Anna Proclemer che, con i suoi 89 anni e una presenza scenica a tratti invadente, porta in sé una intensissima storia di tradimento e morte.
E’ lei che ha venduto la “famiglia” della Compagnia teatrale ai fascisti, costringendoli a nascondersi in quella che diventerà la casa stregata di Elio Germano, e ad una tragica morte per una stupida stufa difettosa.
E’ lei che tiene ancora sospesi tra la morte e la vita dei giorni nostri questi uomini e donne elegantissimi, bellissimi e senza tempo (Beppe Fiorello, Margherita Buy e Vittoria Puccini si stagliano come una luce sul film) con cui Elio Germano costruirà una amicizia speciale giorno dopo giorno. Amicizia che aiuterà lui a trovare se stesso e la sua dimensione nel mondo, e la straordinaria Compagnia teatrale Apollonio a trovare la verità a lungo inseguita e la meritata “pace”.
Una meravigliosa scena sul tram per le vie incantate di Roma ci mostra come passato e presente, realtà e finzione, possono fondersi in una sfocata bolla sospesa nel tempo e nello spazio. Dove ciascuno, uomo, donna, gay, transessuale e perfino fantasma ha il suo ruolo armonioso nella scena.
TOMMASO ROSSI
Ho ancora negli occhi quelle immagini nel tram.. Un film bellissimo! Contiene tutto il fascino del teatro.. Sognante!