Resistenza, “Costruire il ricordo” al Pincio

IL PERCORSO ARCHITETTONICO DEL PARCO

foto 1 pincio statua fazzini– ANCONA – di Eleonora Ponzio – Il ricordo non è fatto individuale ma collettivo: da tale convinzione nasce il Monumento alla Resistenza nella provincia di Ancona, noto come apparato monumentale del Pincio. Inaugurata nell’omonimo parco del capoluogo marchigiano in occasione del ventennale della liberazione nel 1965, sotto la guida dell’allora sindaco Claudio Salmoni e alla presenza di Sandro Pertini, allora presidente della Camera dei deputati, la struttura fu fortemente voluta dall’intera cittadinanza dorica, che all’epoca si radunò sotto la stessa bandiera della libertà e dell’antifascismo.

Difficile credere che, cinquant’anni dopo quella gloriosa manifestazione di unità e coscienza civica, alla conferenza tenutasi il 24 aprile scorso ad Ancona nella polveriera “Castelfidardo” del parco del Cardeto ci fossero solo pochi appassionati di storia e alcuni iscritti all’Anpi (Associazione nazionale partigiani d’Italia). Indetta per il ciclo di eventi “Ancona nella Grande guerra”, la conferenza rappresentava la prima parte di un progetto dedicato a “Costruire il ricordo”, grazie alle riscoperte che ci riserva l’architettura della città.

E’ l’ing. Flavio Venturelli, in veste di curatore della conferenza, ad introdurre l’importanza architettonica, appunto, del Pincio. A seguire, l’intervento di uno dei massimi esperti degli spazi aperti e del paesaggio, il prof. Joachin Wolschke Bulmahn dell’Università di Hannover. Tra gli intervenuti, anche Vittorio Salmoni e Valentina Orioli, rispettivamente nipote e figlia degli architetti che realizzarono il complesso monumentale.

Ovvero l’anconetana Paola Salmoni e il ravennate Gilberto Orioli. Dalla loro collaborazione prese vita un’opera monumentale incisiva. Che rappresenta, secondo Venturelli, “la scelta, libera e consapevole, di chi ha partecipato alla guerra di liberazione contro il nazifascismo”. Ne era certo il sindaco Salmoni, che in occasione della cerimonia inaugurale pronunciò queste parole: “(…) Ancona ha voluto che il monumento alla Resistenza sorgesse in un luogo come questo, dedicato alla sosta e allo svago dei suoi cittadini, perché ognuno possa meditare su quante lotte sia costruita la serenità di oggi. In un parco che sarà animato dai giuochi dei bambini, perché quelle lotte vollero assicurare alle nuove generazioni questa serenità ed evitare loro le sconvolgenti esperienze dei padri. (…). Il popolo anconetano (…) ripeterà qui ogni giorno la scelta che (…) fecero gli uomini della Resistenza: contro l’oppressione, contro la guerra, contro l’odio”.

La scelta di quegli uomini si riflette nella libertà di chi visita oggi il complesso monumentale, perché il Pincio è innanzitutto un parco, e in quanto tale simbolo della serenità che dovrebbe accompagnare la quotidianità degli anconetani. Si può semplicemente usufruire del parco o si può anche ripercorrere la “via della Resistenza”, risalendo lungo le “piattaforme” che formano il cosiddetto “libro aperto”. In quanto graduale e libera presa di coscienza, questa riattualizzata “via della Resistenza” non è una strada semplice; al contrario è accidentata, quasi faticosa. La struttura monumentale – che sorge sul colle di S. Stefano e connette una pineta preesistente col bastione di origine militare della Lunetta (inizio dell’800) – sfrutta infatti genialmente il naturale declivio in cui è integrata, mostrando tutta la sua originalità rispetto ai sentieri di altre aree verdi pubbliche, puntando ad evocare nel visitatore le sofferenze, le emozioni, le passioni dei patrioti della Libertà.

Una volta oltrepassato l’imponente cancello che si apre in basso su via Veneto, opera dell’artista osimana Giovanna Fiorenzi, il percorso dedicato alla Resistenza è percepito come una “via crucis laica”, così la definisce Vittorio Salmoni, costituita da ampi gradoni di cemento armato a vista e scandita dalle parole del poeta e saggista antifascista Franco Antonicelli, le cui lettere scorrono disposte su 16 diverse tavole di ferro sorrette da lastre dall’aspetto lapideo, anch’esse in cemento. Uno scenario che dà quasi il senso di un labirinto, ognuno può trovare il suo personale tragitto staccandosi da quello ufficiale e rimanendovi comunque dentro. Chi giunge al culmine della risalita, si trova di fronte il podio su cui è posta la scultura bronzea di Pericle Fazzini, celebre artista marchigiano definito da Ungaretti “lo scultore del vento”. Si tratta di “una figura semplice e sinuosa, poetica – dice in conferenza il prof. Antonio Luccarini – scarnificata fino all’osso, ma perciò anche più libera, pronta a spiccare il volo”. E’ il momento conclusivo del sacrificio, quello che Fazzini volle raffigurare, rivestendo la sua opera di una “sacralità laica”, di cui può godere soltanto chi sceglie di isolarsi dal resto del mondo, ripercorrendo il tragitto della memoria e della Resistenza.

Eppure – in quanto sintesi di ingegni artistici differenti, simbolo volto ad unificare nel tempo e nello spazio – l’apparato monumentale del Pincio soffre una sorta di indifferenza da parte degli anconetani. Senza contare le attività di manutenzione non certo puntuali nei decenni da parte dell’Amministrazione comunale, rese tanto più necessarie a causa dei reiterati atti di vandalismo anche recentissimi. Finalmente, ma nel già lontano 2005, il Comune ha attuato un intervento di restauro, necessario, oltre che per la ripulitura, anche per l’eliminazione delle erbacce infestanti e per installare un impianto di illuminazione congruo.

(articolo tratto da Urlo-mensile di resistenza giovanile)

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