di Alessandro Faralla (Responsabile Cultura e Spettacoli F&D)
Fino a che punto si può rimanere se stessi, credere nel sistema, nelle regole che quotidianamente cerchi di far rispettare, facendo semplicemente il proprio dovere, senza aspettarsi una medaglia, quando lo stesso sistema che veneri ti persegue e manipola, spingendoti a dichiararti diverso da come sei?
Richard Jewell, un mite e paffuto cittadino della Georgia passò nel giro di poche ore dall’essere acclamato come eroe al venir dipinto come un mostro, un megalomane in cerca di visibilità dopo l’attentato alle Olimpiadi del 1996 ad Atlanta. Per l’FBI il volto di Richard, l’uomo che per primo trovò lo zaino con le bombe al Centennial Park, e contribuì a salvare centinaia di vite, corrispondeva al profilo ideale dell’attentatore, il classico anti-eroe pronto a tutto pur di aver un riconoscimento dalla società e finire sotto i riflettori di una comunicazione faziosa e morbosa.
Clint Eastwood torna a raccontare la parabola di una persona comune, un americano che ama il suo paese, denigrato e umiliato proprio da quelle istituzioni di cui Richard si sente un membro, con il suo sogno di essere un poliziotto, il cui essere un individuo zelante viene raffigurato come un indizio di colpevolezza. Proprio come il comandante Sully, il cui salvataggio è stato narrato da Eastwood nell’omonimo film del 2016, Richard resiste ad un processo, il suo, non formale, senza mai mettere in discussione i valori e gli ideali di un paese, onorato sempre, che si indossi una polo da personale di sicurezza privata o una divisa delle forze dell’ordine.
Il film punta tutto su tale resistenza, sull’ essere se stessi in ogni circostanza, con Richard che agevola le “indagini” ambigue dell’FBI pur conscio del loro obiettivo di incastrarlo attraverso un procedimento sommario. A Eastwood non interessa porre l’enfasi sull’evento drammatico, sulla suspense, tant’è che la ricostruzione scenica del fatto e i suoi effetti sulla psiche dell’uomo appaiano farraginosi.
L’essere eroi per il quasi 90enne Clint non significa solo compiere gesta grandiose, ma vivere da eroi significa soprattutto fare la cosa giusta ogni giorno, avere fede, perseverare, essere coerenti con ciò che siamo, essere buoni e gentili in ogni circostanza proprio come Richard, pronto a scusarsi in modo tenero con la mamma quando, nel momento più duro dell’assedio mediatico, gli scappa di alzare la voce.
Richard Jewell è così lacerante e frustrante nel ritrarre quanto una giustizia superficiale ed un giornalismo di basso livello possano seppellire un uomo; per sopravvivere a tanto sgomento e alienazione il film si rifugia nel focolare, nell’umile ritualità di individui la cui bontà è custodita dall’incredulità di una madre avvilita quando gli agenti FBI riempiono gli scatoloni di potenziali prove nella sua casa persino con dei tupperware.
Eastwood riporta tutto all’elemento umano stando due passi indietro rispetto ai protagonisti, facendoli interagire eliminando parole superflue, lasciando spazio ai volti, alle emozioni, confezionando un film pieno di dolcezza attorno ad una cornice amarissima.