LE LEGGI ITALIANE E LA DOLCE MORTE IN SVIZZERA
di avv. Giandomenico Frittelli
Essere o non essere… questo è il dilemma!
Mai frase fu più adatta a descrivere i tempi odierni, segno che dai tempi dell’Amleto poco o nulla è cambiato.
Ad esito della recente vicenda che ha interessato DJ Fabo (al secolo, Fabiano Antoniani) che il 27.02.17 alle ore 11:40 sulle soglie dei quarant’anni è deceduto in una clinica in Svizzera, dobbiamo prepararci ad un’incessante ondata polemica nei prossimi mesi.
Fabiano, come tutti sanno, faceva il dj ed a causa di un incidente stradale è rimasto cieco e tetraplegico: è passato a miglior vita mordendo un pulsante che gli ha fatto circolare in corpo una sostanza con cui si è dapprima addormentato. per poi morire. Senza tribolazioni.
Stamane è la volta del Sig. Gianni (medesima clinica svizzera): uno dei oltre 100 italiani che si recano in Svizzera per gestire il proprio “fine vita”.
Dovendoci preparare a mesi di articolato dibattito su una materia che necessariamente involge aspetti filosofici ed etici, ancor prima che giuridici, è bene chiarirsi le idee per potersi poi destreggiare nel minestrone di concetti che verranno (artatamente?) messi assieme, con l’unico risultato di impedire di capire.
Molto brevemente:
– EUTANASIA, è la pratica in cui un soggetto terzo, un medico, per motivi legati al desiderio di terminare la sofferenza, aiuta qualcuno a morire. Viene anche chiamata la “morte dolce” e può essere attiva (consistente nel determinare o accelerare la morte mediante il diretto intervento del medico, utilizzando farmaci letali) o passiva (la morte del malato è causata dalla sospensione dei farmaci o dall’astensione del medico dal compiere interventi che potrebbero prolungare la vita: si attende passivamente l’evoluzione della patologia);
– SUICIDIO ASSISTITO, è l’aiuto (medico e amministrativo) portato a un soggetto che ha deciso di morire tramite suicidio: l’atto finale di togliersi la vita, somministrando le sostanze necessarie in modo autonomo e volontario, è compiuto interamente dal soggetto stesso e non da soggetti terzi (ciò lo differenzia dall’eutanasia);
– TESTAMENTO BIOLOGICO, è una “dichiarazione anticipata di trattamento” con cui si esprime la volontà, fornita in condizioni di lucidità mentale, in merito alle terapie che s’intende o non s’intende accettare nell’eventualità in cui ci si trovasse in condizione d’incapacità di esprimere il proprio diritto di acconsentire o non acconsentire alle cure proposte (c.d. consenso informato), ad esito lesioni traumatiche cerebrali irreversibili o invalidanti, o di malattie che costringano a trattamenti permanenti con macchine o sistemi artificiali.
Chiarito così il quadro di riferimento, occorre dire che attualmente in Italia non c’è una normativa di settore che disciplini le situazioni sopra descritte: al punto che per il codice penale (impianto normativo risalente agli anni ‘30) l’eutanasia attiva è paragonabile all’omicidio volontario o, nel caso in cui sia stato il malato a chiedere la propria morte, all’omicidio del consenziente (artt. 575 e 579 c.p.), mentre il suicidio assistito rientra appunto nell’istigazione/aiuto al suicidio (art. 580 c.p.).
Per dovere di cronaca, si segnala che Marco Cappato – parlamentare che ha accompagnato DJ Fabo in Svizzera – ha dichiarato che a breve si costituirà presso la Procura della Repubblica: vero sì è che un’incriminazione di tal genere dovrebbe, a rigor di logica, interessare anche i familiari e la devotissima fidanzata di Fabiano, i quali tutti si sono a vario modo prodigati per attuare le inequivoche volontà del quarantenne ex dj, avendo pertanto operato in concorso tra loro.
Ebbene, tali soggetti rischiano fino a 12 anni di reclusione ex art. 580 c.p. (ipotesi che a ns. avviso meglio delle altre si adatta al caso di specie).
Notorio come da tempo giaccia in Parlamento una proposta di legge (che nei prossimi mesi verrà verosimilmente “riesumata”, tanto per usare un termine attinente la materia in commento) avente per oggetto il testamento biologico: quindi, che nulla c’entra con le pratiche eutanasiche, né col suicidio assistito, avendo per oggetto una dichiarazione che una persona (testatore) formalizza per l’ipotesi in cui si trovi in futuro in uno dei casi sopra cennati.
C’è da attendersi quindi un lungo ed estenuante dibattito e nulla lascia presagire che esso sfoci in provvedimenti concreti a sostegno delle (non poche) richieste dei cittadini italiani.
Viviamo, infatti, in un vuoto normativo che costringe molti concittadini a recarsi all’estero (Olanda, Belgio e Svizzera i Paesi più gettonati) per affidarsi a cliniche private in cui le descritte pratiche vengono da tempo attuate nel rispetto della dignità umana, non prima di una severa verifica della capacità del soggetto di scegliere liberamente ed autodeterminarsi.
Ad avviso di chi scrive non si ravvisano motivi per auspicare che (anche) questa vicenda non si risolva in un nulla di fatto: lo si è già sperimentato col caso di Eluana Englaro, di Piergiorgio Welby e di molti altri che, nel silenzio, si sono dovuti allontanare dalla propria città e dai propri affetti per recarsi all’estero.
Facile previsione quella per la quale vedremo nei prossimi mesi pagine di giornali dai titoli roboanti, dichiarazioni dei soliti politicanti, interventi a gamba tesa di alti esponenti di ogni ordine e religione.
Eppure, funzione della politica sarebbe quella di dare concreta risposta alle problematiche dei consociati, che formano la polis.
Quello che proprio non si riesce a capire è perché si sia pervenuti ad una normativa che consente di sopprimere la vita ancor prima del vagito – facendo leva sul diritto di autodeterminazione della donna – e non ci si possa dotare di una legge che gestisca la vita allorquando essa è ormai una vegetale sopravvivenza che mortifica la dignità umana.
Con la palese incongruenza che nel primo caso, si va ad incidere su qualcuno che, non essendo ancora venuto al mondo, neppure può autodeterminarsi (e quindi qualcuno “sceglie” per lui/lei: nel 2014 sono state notificate dalle Regioni 97.535 interruzioni volontarie di gravidanza, pari a 198,2 aborti per mille bambini nati vivi); nel secondo caso siamo invece dinnanzi ad un soggetto che già esiste al mondo e che si può (rectius: dovrebbe poter) autodeterminare.
Forse non tutti sanno che persino nell’Antico Testamento (2 Samuele 1, 6-10) viene citato il caso di un suicidio assistito: quello di Saul. Un soldato uccide Saul su sua richiesta, ma David in seguito condanna quel soldato a morte per omicidio.
Ecco: trovate le differenze.
Avv. Giandomenico Frittelli