di Avv. Alessia Bartolini
La legge n. 103 del 23/06/2017, in vigore dal 03/08/2017, era partita con i migliori presupposti di riforma, oltre che di alcuni aspetti del nostro codice penale e di procedura penale, della normativa risalente al 1975: la l. n. 354/1975 che disciplina l’ordinamento penitenziario e l’esecuzione e le misure privative e limitative della libertà.
In particolare, il Governo è stato delegato ad attuare i decreti legislativi di modifica dell’ordinamento penitenziario nel termine di un anno dall’entrata in vigore della c.d riforma Orlando secondo i principi e criteri direttivi di cui al comma 85 e, ad oggi, sono stati approvati in via preliminare solamente i decreti legislativi relativi alle procedure di giustizia riparativa, con la promozione di un percorso di mediazione tra il reo e la vittima, all’incremento delle opportunità di lavoro retribuito, intramurario ed esterno, nonché di attività di volontariato individuale e di reinserimento sociale dei condannati, nonché al rafforzamento dei contatti con il mondo esterno quale criterio guida nell’attività trattamentale in funzione del reinserimento sociale. Si tratta di misure volte alla responsabilizzazione del detenuto che, attraverso il lavoro e, ove, possibile il dialogo con la persona offesa, attua in maniere concreta ciò che è scritto nella nostra Costituzione da sempre all’art. 27: la funzione rieducativa della pena. Altro decreto legislativo approvato in esame preliminare riguarda l’adeguamento delle norme dell’ordinamento penitenziario alle esigenze educative dei detenuti minorenni, per i quali la detenzione carceraria deve costituire, in ogni caso, l’estrema ratio. Questi tre decreti attuativi della riforma dell’ordinamento penitenziario, relativi appunto al lavoro, alla giustizia riparativa e alla disciplina dell’esecuzione delle pene nei confronti dei condannati minori e dei giovani adulti, costituisce un primo passo di quello che il Presidente del Consiglio Gentiloni ha definito un “lavoro in progress” finalizzato a “ridurre notevolmente il tasso di recidiva da parte di chi è accusato o condannato per reati” favorendo il reinserimento nella società.
Obiettivi nobili e condivisibili considerando che si vuole dare attuazione ad un principio costituzionale che inevitabilmente, se realizzato, può realmente diminuire e prevenire la commissione di “nuovi” reati da parte di chi ha effettivamente avuto un percorso intramurario di maturazione e consapevolezza così da potere essere ben “riaccompagnato” all’interno della società e rientrare di nuovo in contatto con la stessa.
Perplessità sorgono, invero, se si considera l’attuazione concreta e materiale di questi obiettivi a cominciare dal dato che i servizi di giustizia riparativa devono essere promossi tramite convenzioni e protocolli tra il Ministero della giustizia, gli Enti territoriali o le Regioni e ciò si traduce in un maggior lavoro per i dipendenti, poco numerosi per il carico di lavoro che sostengono e che dovranno affrontare, con inevitabili rallentamenti nella realizzazione di un’effettiva mediazione. Lo sviluppo e l’aumento di opportunità del lavoro esterno deve, poi, inevitabilmente fare i conti con le risorse dei territori, oltre che dell’organico delle forze di polizia penitenziaria che non sempre soddisfa la necessità di un numero congruo di operatori.
Un piccolo passo avanti da una parte, pertanto, di cui si auspica la effettiva realizzazione, mentre è rimasto in stand by il “progresso” relativo alla semplificazione delle procedure per le decisioni di competenza del magistrato e del Tribunale di sorveglianza, all’estensione del ricorso alle stesse, all’eliminazione di automatismi e di preclusioni che impediscono o ritardano, sia per i recidivi sia per gli autori di determinate categorie di reati, l’individualizzazione del trattamento rieducativo, nonché alla revisione della disciplina di preclusione dei benefici penitenziari per i condannati alla pena dell’ergastolo, salvo che per i casi di eccezionale gravità e pericolosità, alla tutela e riconoscimento del diritto all’affettività dei detenuto, al potenziamento di assistenza sanitaria, alla previsione di norme che favoriscano l’integrazione di detenuti stranieri…
Si tratta di un decreto attuativo del Governo che il Consiglio dei Ministri ha approvato in via preliminare il 22/12/2017, ma che poi è passato ai pareri di Camera e Senato dai quali sono emerse delle perplessità per quanto riguarda la compatibilità dello schema del decreto legislativo con i criteri dettati nella legge delega, ma anche per il contenuto in sé di alcune modifiche come quella, ad esempio, dell’art. 4 bis O.P. nel voler ridurre il perimetro delle preclusioni all’accesso ai benefici penitenziari e alle misure alternative extramurarie, salvo che per i casi di eccezionale gravità e pericolosità e in particolare per le condanne per i delitti di mafia e terrorismo anche internazionale.
Viste le censure di Camere e Senato, è stato annunciato, nella seduta del CdM del 22/02/2018, che la riforma dell’ordinamento penitenziario verrà rinviata.
Rinvio dettato, certamente, dalla necessità di approfondire i rilievi mossi dalle due Camere, ma non può escludersi che le elezioni politiche imminenti del 4 marzo abbiano, di fatto, rallentato questo “work in progress”, soprattutto se si considera che non tutti i programmi elettorali abbracciavano una riforma in questo senso e, dati i risultati elettorali, ci si chiede quando verrà trattata nuovamente la questione e in che termini, con la speranza che non si tratti di un arresto ma solo di un rallentamento della riforma in esame.