NUOVA VITA AD ANCONA PER FESTUS, DANIEL, AHMED E JAFAR
– Ancona – di Martina Marinangeli
Nel caos di clichè, vuoti discorsi ed ipocrisie che accompagnano la tragedia umana degli sbarchi a Lampedusa, si sente sempre poco la voce di chi il dramma del viaggio l’ha vissuto sulla propria pelle, di chi sa cosa significhi essere costretto a lasciare la propria casa a causa della guerra e affrontare una traversata che potrebbe costargli la vita.
Ad Ancona vivono alcuni rifugiati che portano i segni di questa dolorosa esperienza. Quattro di loro hanno voluto condividerla con noi. Storie che ci fanno conoscere gli esseri umani che stanno dietro i numeri e le statistiche del Ministero dell’Interno.
Festus, 25 anni, e Daniel, 22, vengono dalla Nigeria. Sono arrivati in Italia poco più di due mesi fa e, dopo aver trascorso due giorni nel centro di accoglienza di Lampedusa, sono giunti ad Ancona attraverso la rete nazionale del progetto Sprar (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati).
Daniel perde il padre all’età di 18 anni. Tre anni più tardi sua madre e sua sorella vengono uccise da un bombardamento mentre lui era fuori città. Tornato a casa, trova solo corpi senza vita e macerie. Daniel decide di resistere all’idea di suicidarsi. Pochi mesi dopo, la chiesa cattolica in cui si trovava resta coinvolta nel fuoco incrociato tra musulmani e cristiani. Riesce a scappare e, dopo un breve periodo in Niger, raggiunge la Libia dopo 4 giorni di viaggio nel deserto. Arriva a Sebha, ma gli orrori della guerriglia sono anche qui. Ed è quindi costretto a spostarsi a Tripoli. Qui conosce un poliziotto che gli promette di pagargli il viaggio verso Lampedusa se avesse lavorato gratuitamente come lavamacchine. Daniel accetta e, tre mesi dopo, è su uno dei barconi diretti in Italia: “Era buio, non riuscivo a vedere nulla. So solo che eravamo tantissimi in una barca molto piccola. Il mattino seguente siamo sbarcati a Lampedusa, dove ci hanno salvati”.
Mentre Daniel ci racconta la sua storia, Festus lo ascolta.
Anche lui inizia a rievocare i drammi del suo passato: l’abbandono della scuola, finite le elementari, perchè non c’erano soldi per proseguire; il divorzio dei genitori quando aveva 12 anni. Festus vive con il padre, ma quando, una volta cresciuto, gli chiede il permesso di andare a trovare sua madre, ecco la risposta: “Se vai da lei ti disconosco come figlio”. Decide comunque di intraprendere il viaggio. Non rivedrà più suo padre.
Arriva nella città dove abita la madre e si ricongiungono, ma sopraggiunge la guerra tra cristiani e musulmani, e la donna cade vittima degli attacchi aerei. Ormai solo, Festus inizia a lavorare in fabbrica e, dopo un anno, decide di spostarsi in Libia. Qui viene arrestato come immigrato clandestino e passa un anno in prigione. Ci mostra una lunga e profonda cicatrice sul braccio sinistro, ricordo indelebile delle violenze subite durante la sua detenzione. Uscito di prigione, anche lui ha lavorato gratis per alcuni mesi per persone che poi gli hanno pagato il viaggio verso l’Italia.
Ahmed, 31 anni, e Jafar, 24, vengono invece dalla Somalia. Sono arrivati a Lampedusa sullo stesso barcone e poi sono stati inviati ad Ancona, dove vivono da tre mesi. Ahmed spiega quanto sia difficile la vita in Somalia, dove lavorava come elettrauto: la guerra civile che affligge il paese da più di 20 anni, la povertà, la fame. Decide quindi di intraprendere un lungo e difficile viaggio di quasi un anno verso la Libia, da dove poi imbarcarsi per l’Italia. In Libia però finisce dietro le sbarre come immigrato clandestino. Resta dentro tre mesi e mezzo. Una volta uscito, grazie all’aiuto di alcuni connazionali e al versamento di circa 800 dollari ad una delle piratesche organizzazioni libiche che gestiscono il business dei viaggi della speranza, riesce a salire, insieme ad altre 90 persone, su una piccola imbarcazione di plastica diretta a Lampedusa.
Su quella stessa barca c’era anche Jafar che, come Ahmed, lascia la Somalia per sfuggire alla guerra civile: “In quel contesto, è impossibile anche ricevere un’educazione scolastica, poichè i bombardamenti impediscono il normale svolgimento delle lezioni. Molti miei amici sono morti, vittime innocenti del fuoco delle opposte fazioni”. Arriva in Libia su un camion con altre 20 persone e resta lì per 25 giorni, in una stanza straripante di altri migranti in fuga. “In Libia è stato terribile: ti uccidono, ti picchiano, ti rubano tutto, non solo le autorità, anche i civili – dice Jafar – Ma per fortuna ora sono qua”.
Il filo conduttore dei racconti dei quattro ragazzi è la gioia di essere in Italia, finalmente lontani dagli orrori del passato.
Ora, nel capoluogo marchigiano, abitano in appartamenti di 5 persone presi in affitto dal Gus (Gruppo umana solidarietà) proprio per ospitare i richiedenti asilo: Festus e Daniel sono alloggiati insieme, e hanno creato un legame così stretto con gli altri coinquilini da considerarli una nuova famiglia. “Qui stiamo bene – dice Daniel – gli italiani, gli anconetani sono brave persone: ci hanno dato un posto dove vivere, vestiti, una somma di denaro per sostenere piccole spese. Abbiamo molto tempo libero, lo impieghiamo studiando, senza dover pagare nulla, facendo qualche passeggiata tranquilla in città, tenendoci compagnia fra di noi. Ringraziare di cuore il Gus”. Il Gus, infatti, oltre a fornire ai richiedenti asilo beni di prima necessità, li aiuta a costruire un percorso che dia loro possibilità di autonomia e indipendenza: seguono corsi di italiano, vanno a scuola e hanno la possibilità di accedere a tirocini formativi. Vengono inoltre coinvolti in attività educative, come quella organizzata nell’ottobre scorso dalla Ciclofficina, in cui 40 ragazzi, tra cui i 4 che hanno condiviso con noi le loro storie, hanno seguito corsi di ciclomeccanica per riparare e restaurare 7 bici di cui sono poi diventati proprietari.
Jafar, Daniel, Festus ed Ahmed, data la loro condizione di richedenti asilo, non possono avere un lavoro, ma questo tipo di attività serve anche ad orientarli verso occupazioni future, aiutandoli a scoprire potenzialità ed interessi. I primi due vorrebbero proseguire gli studi, mentre Festus ed Ahmed sono più orientati verso un mestiere. Il desiderio più grande è comune è restare in Italia, ottenere l’asilo e quindi una pace stabile.
(tratto da Urlo – mensile di resistenza giovanile)