ORNAVA MONUMENTO A TRAIANO
– ANCONA – di Giampaolo Milzi –
Dal posto “d’onore” pubblico, in centro città, dov’era stata posta con una gemella “a guardia” di Traiano, al palchetto in mattoni del giardino di un’abitazione privata. Passando per un angolo buio di un noto sfasciacarrozze dell’Aspio. Protagonista di questo volo misterioso che l’aveva fatta da un pezzo scomparire dai radar della memoria storica di Ancona, una delle due aquile in puro stile “neo SPQR” che nel 1934 furono posizionate alle spalle della statua dedicata all’imperatore romano all’inizio di via XXIX Settembre, a pochi metri dalla facciata di un edificio monumentale, a due passi dalla Banca d’Italia. Un ritrovamento che ha del prodigioso, visto che i carabinieri del Nucleo tutela patrimonio culturale (Ntpc) l’hanno ufficializzato meno di un paio di mesi fa, circa una settantina d’anni dopo la sparizione della coppia di reperti volatili. In realtà già in tempi relativamente recenti si era avuta notizia della “sopravvivenza” di una delle due sculture rappresentanti l’aquila, del tutto simile a quella millenaria simbolo del potere della “caput mundi” e usata come insegna delle sue formidabili legioni. Una notizia scritta, nella nota n° 9 alla pagina 25 del saggio “Ankon borderline – Miti secolari di una Città difficile”, di Massimo Di Matteo, dato alle stampe nel 2015 da Il Lavoro Editoriale. Di Matteo, architetto anconetano e studioso della storia della città Dorica, la possente ed elegante opera in pietra, ben 4 quintali di stazza, l’aveva avvistata dieci anni prima della pubblicazione del suo libro. Come si apprende dalla citata nota: “Mi ritrovai di fronte a una bella e integra aquila di travertino (di tipo alabastrino, ndr.), riconducibile al monumento di Traiano, quando nel 1995, dopo un incidente stradale, fui portato con la mia macchina distrutta all’interno di un noto impianto di demolizioni dell’Aspio. Alle mie domande di chiarimenti in merito, allora mi fu risposto che il reperto era stato “buttato via in mare” e quindi a buon diritto recuperato insieme ad un altro in tutto simile ma acefalo. Storie anconitane! (…)”. Già, storie anconitane, di fantasia, deve aver pensato qualche rappresentante delle istituzioni locali, messo al corrente del ritrovamento. Col risultato del perpetrarsi di questa sorta di “damnatio memoriae” contemporanea. Storie invece vere, almeno per quanto riguarda la scultura di cui rendiamo conto. Una verità non sfuggita al maggiore Carmelo, comandante dell’Ntpc carabinieri di Ancona. Il quale, dopo aver letto quest’anno la notizia contenuta nel saggio, ha sentito personalmente l’autore Massimo Di Matteo, ottenendo conferme. Mesi di indagini e verifiche, e gli investigatori di Grasso hanno rintracciato l’aquila non più leggendaria e il suo possessore. Un signore di cui non conosciamo il nome, a cui va riconosciuto il merito di essersi appassionatamente preso cura del prezioso oggettone alato di cui non conosceva le origini.
E di averlo piazzato e riverito come ornamento d’eccezione nel verde cortile della sua abitazione ad Ancona. L’uomo ha raccontato ai carabinieri di aver ricevuto la scultura in eredità dal padre, che a sua volta l’aveva avuta in regalo da un amico (defunto da molto tempo). E di non sapere nient’altro in proposito. Ma tant’è, l’importante è che l’aquila superstite di via XXIX Settembre sia ancora in perfetto stato di conservazione. La scomparsa dei due testimoni chiave impedisce di fatto ulteriori, precise ricostruzioni sulle modalità relative alle sue precedenti peregrinazioni/migrazioni. Si può invece fortemente presumere che sia sostanzialmente chiuso il capitolo parallelo della vicenda, relativo alla identificazione e paternità della coppia di reperti. Quanto alla prima, parlano chiaro i raffronti con le foto d’epoca. In merito alla seconda, l’architetto di Matteo, a pagina 21 del citato saggio, scrive che le “due aquile” sono “opera di Mentore Maltoni, secondo quanto asserito da Giuliodori”. Di Matteo ha ribadito ai carabinieri che a parlargli dell’attribuzione al noto scultore Maltoni (Ancona,1894 – Ancona 1956) fu direttamente il versatile pittore e artista anconetano Otello Giuliodori (1908- 2010). Anche noi dell’Urlo Indiana Jones Team siamo riusciti a dare un contributo a questa ricerca. Medesimo l’esito. Giuseppe Barbone, nostro consulente storico: “Quelle due aquile imperiali sono riconducibili alla mano di Maltoni, ne scrisse in alcune note biografiche (probabilmente andate perdute, ndr.) e me lo riferì l’autorevole addetta culturale del Comune di Ancona Fabiola Brugiamolini”, prematuramente scomparsa a soli 46 anni nel 2001. L’attribuzione ad uno scultore del calibro di Mentore Maltoni, che tanto e benissimo lavorò ad Ancona anche durante il ventennio fascista, risulta importante per una veloce valorizzazione pubblica della scultura ritrovata. I carabinieri ne hanno segnalato il rinvenimento alla procura della Repubblica. Un semplice atto dovuto, non dovrebbero affatto configurarsi ipotesi di reato. Il caso dovrebbe passare presto all’attenzione della Soprintendenza delle Marche. Alla quale, una volta comprovato che il reperto è di autore defunto e che risale ai primi anni ’30 del ‘900, spetta la competenza di tutelarlo per legge come “bene culturale”.
(articolo tratto da Urlo – mensile di resistenza giovanile – dicembre 2016)