E’ la stessa Tori Amos a definire la sua musica simile ad “un miscuglio di peperoncini bollenti e yogurt alla vaniglia“.
Rock puro addolcito da tanta anima, voce e pianoforte.
Myra Ellen Amos, in arte Tori Amos, nasce il 22 agosto del 1963 nel North Carolina.
Tori (soprannome datole da un amico che significa in giapponese “pollastrella”) inizia a suonare il pianoforte da piccolissima, a poco più di due anni, ed entra al Peabody Institute di Baltimora, uno dei conservatori più prestigiosi degli Stati Uniti per coltivare e far crescere il suo talento e la sua passione. Qui trascorre sei anni ad approfondire lo studio della musica classica , ma la ragazza dai capelli rosso fuoco ha un carattere molto ribelle tanto che viene espulsa per la sua condotta.
L’atmosfera in famiglia Amos è molto severa, rigida, ai limiti dall’essere opprimente: il padre è un pastore metodista ultraconservatore (che poi comunque diventerà uno dei suoi primi sostenitori), la madre altrettanto severa, la nonna è una calvinista. Forse è proprio questo clima che spinge Tori a sviluppare un senso di ribellione che si trasforma in scelte musicali dirompenti rispetto alla musica classica.
Forse Beethoven e Mozart non erano il suo destino ma la Musica sì tanto che inizia a frequentare i club di Washington dove si fa conoscere e a 17 anni pubblica il suo primo singolo come artista indipendente “Baltimore”.
Anima dolce rivolta verso il rock, i suoi miti Led Zeppelin, Doors, Jimi Hendrix.
Molti parlano di lei come un immenso talento che soprattutto negli anni novanta esplode e si fa conoscere al grande pubblico, che riesce a dare il meglio di sé nelle ballate pianoforte e voce in cui senza troppi virtuosismi è capace di emozionare, incantare, espressione sicuramente di una personalità forte, istintiva ma anche molto complessa.
Vita e musica si fondono in Tori Amos che fa parte di quella categoria di artisti forse più veri perché nella musica cercano (a volte trovando, altre perdendosi nella continua ricerca) una cura per l’anima.
E attraverso la sua musica Tori racconta anche di un’esperienza drammatica come quella della violenza sessuale subita nel 1985, a Los Angeles dopo un concerto quando decide di dare un passaggio ad uno dei suoi spettatori che però si rivelerà il suo aguzzino. Pistola puntata alla tempia le compie violenza sessuale . Da quel giorno Tori non sarà più la stessa nei propri confronti ma anche verso gli uomini, almeno fino al matrimonio con Mark Hawley, suo ingegnere del suono, che le ridarà la gioia di vivere un rapporto.
I riconoscimenti musicali sono numerosi, ma attorno a questa artista si è sviluppata, quasi del tutto spontaneamente, anche una sorta di “aurea” carismatica alimentata dal suoi fans tanto da ricevere l’appellativo di “goddess of rock”.
Dopo un inizio musicale da lei stesso definito poco chiaro, in cui diversi stili si sovrappongono forse alla ricerca della vera anima, è con l’album “Little Earthquakes” (1992) che si aprono le porte del grande successo. Tutti, pubblico e critica, rimangono sbalorditi dalla sua capacità di raccontarsi, dall’aver trovato la propria strada dopo un inizio traballante. Un milione di copie vendute la lanciano nell’olimpo dei grandi.
Due anni dopo, nel 1994, ennesimo grande successo con l’album “Under the Pink” che venderà ben tre milioni di copie in tutto il mondo consacrandola come vera e propria interprete della complessità e bellezza dell’animo femminile. Tante sfaccettature tutte però espressione di vita, emozioni, sensazioni e sentimenti.
Di questi la sua musica, i suoi testi, la sua voce ammaliante diventano “strumenti” di espressione, per esplodere prima di implodere.
Nel 1996 arriva “Boys for Pele”, intitolato alla dea hawaiana del fuoco. Un lavoro ritenuto dalla critica più complicato e con brani molto più scarni.
La vita di Tori Amos è fatta, però, di continui alti e bassi che il destino le riserva. E cosi arriva nella sua vita anche un altro dramma da affrontare quando perde il proprio bimbo al terzo mese di gravidanza. Un dolore immenso, che sente come irreparabile , lei stessa dirà “Non puoi tornare a essere la persona che eri prima di aver portato la vita dentro di te. Passavo dalla rabbia al dolore. È stato il seme della mia musica, mi ha riempito di dolore, ma, paradossalmente, mi ha anche dato il coraggio di parlare della vita e della sua forza“, parole con cui presenta l’album “From The Choigirl Hotel” nel 1998.
Forse proprio per evitare la china dell’auto-commiserazione, Tori decide di dare una svolta alla sua musica, senza però snaturarla del tutto. Più ritmo, più strumenti. Non tutti apprezzano, non tutti capiscono.
Intanto il destino sembra riservarla un periodo più sereno, si sposa, diventa mamma e nel 2001 torna con “Strange Little Girls” un album di cover in cui reinterpreta brani indimenticabili di Tom Waits, Beatles, Neil Young, Lou Reed e altri. Una donna che decide di reinterpretare brani di uomini, una sorta di “ponte ideale” tra due universi – quello maschile e femminile- apparentemente cosi lontani.
Il risultato non soddisfa la sua casa discografica, la Atlantic, con cui si chiude il sodalizio.
Mentre il percorso artistico sembra aver subito uno stop, appare molto serena nel reportage fotografico a lei dedicato da uno dei massimi esponenti della fotografia “musicale”:Mick Rock.
Seguono nel 2005 Beekeeper, nel 2007 American Doll Posse, Abnormally Attracted To Sin nel 2009, Night of Hunter nel 2011 e nel 2012 Gold Dust, una raccolta di 14 composizioni riarrangiate con il pianoforte e la Metropole Orchestra.
Una donna Tori Amos che vive e canta le mille sfaccettature dell’animo femminile, quelle tristi ma anche felici, quelle alimentate da lacrime ma anche da sorrisi. Un mondo complicato di cui lei stessa è consapevole e per questo, in un rapporto quasi simbiotico con i tasti bianchi e neri del pianoforte, ne sa essere interprete straordinaria.
Vi lascio con una delle canzoni di Tori Amos che maggiormente ho nel cuore, una interpretazione tutta personale del brano “Enjoy the Silence” dei Depeche Mode.