UN INTERESSANTE CONTRATTO “A PRESTAZIONI CORRISPETTIVE”
di Dott.ssa Vanessa Marini (Studio Legale RPC)
E’ di giovedì scorso la notizia secondo la quale l’assessore alla cultura della Regione Abruzzo, tal Luigi de Fanis (53 anni), avrebbe sottoscritto con la sua segretaria, tal Lucia Zingariello (32 anni), un curioso contratto a prestazioni corrispettive o meglio – per toglierci da ogni imbarazzo – “a prestazioni intime”.
In sostanza, secondo questo contratto – successivo al contratto di regolare assunzione quale segretaria al corrispettivo di € 1.200 – la giovane signorina avrebbe percepito un ulteriore compenso (un forfait da 3mila euro al mese) laddove si fosse prestata almeno una volta alla settimana a prestazioni sessuali con il “sempreverde” assessore.
Al di là di quelle che possono essere considerazioni personal-morali (che restano dentro di me come dentro ognuno di noi) e al di là di qualsiasi valutazione sotto il profilo delle eventuali responsabilità penali (per cui eventualmente dovrà procedere chi di dovere), mi interrogo oggi sulla liceità, ma ancor prima sulla meritevolezza di tutela, di un contratto come quello “singolare” di cui trattasi.
Il contratto in questione è sicuramente atipico.
I contratti tipici sono quelli già astrattamente previsti dalla legge; il legislatore riconosce ad essi una disciplina puntuale in quanto manifestazione di contrapposti interessi ritenuti meritevoli di tutela (es. il contratto di locazione, il contratto di appalto, ecc…)
I contratti atipici sono invece quelli non astrattamente previsti dal nostro legislatore, ma frutto della autonomia individuale e, in particolare, della libertà di contrarre ex art. 41 Cost e art. 1322 c.c..
Questi contratti, non essendo tipizzati – e dunque giudicati meritevoli a priori – dal legislatore, trovano tutela giuridica solo laddove superano il giudizio di meritevolezza di cui al 2° comma dell’art. 1322 c.c..
In base a questa norma la “meritevolezza del contratto atipico” dipende dalla “meritevolezza degli interessi” che le parti, attraverso lo strumento contrattuale, intendono realizzare.
Dipende dunque dalla causa del contratto, oggi definita quale funzione economico-individuale del contratto, cioè quale scopo (bilanciamento dei contrapposti interessi personali) concreto perseguito dalle parti nel giungere all’accordo.
La causa di un contratto è meritevole se non è illecita, cioè se non è contraria a norme imperative, all’ordine pubblico e al buon costume (art. 1343 c.c.) e se il contratto non viene concluso per aggirare la legge (art. 1344 c.c.).
Le norme imperative sono norme di legge poste a tutela di interessi generali (ad. es tutte le norme penali sono norme imperative)
L’ordine pubblico, invece, è costituito dai principi che si pongono a fondamento dell’ordinamento giuridico (principi costituzionali e principi che non sono stati codificati in norme imperative).
Il buon costume, infine, ha riguardo alla moralità. Esso presuppone un rinvio alla norme dell’etica sociale e della morale corrente.
In particolare, secondo la giurisprudenza, il buon costume va inteso come complesso dei principi etici costituenti la morale sociale, in quanto ad essi uniforma il proprio comportamento la generalità delle persone corrette di buona fede e sani principi in un determinato momento storico e in un dato ambiente.
Per quanto riguarda il contratto a “prestazioni intime” che qui interessa si deve, dunque, andare a valutare se lo scopo che ha condotto le parti alla sua stessa conclusione possa dirsi lecito o no.
Il “contratto a prestazioni intime” sarebbe contrario a norme imperative (o concluso in frode alla legge ex art. 1344 c.c.) qualora fosse servito per violare o eludere una norma imperativa; violazione/elusione che sicuramente si avrebbe nel caso in cui, a seguito di un regolare giudizio penale, venisse accertato che tramite l’accordo in questione si è effettivamente realizzato il reato di concussione nella forma di cui all’art. 317 c.p. (concussione per costrizione) o di cui all’art. 319 quater (concussione per induzione).
Ma se ciò non dovesse accadere, il fornire prestazioni sessuali in cambio di denaro ad oggi non costituisce comportamento contrario a norme imperative.
La stessa prostituzione – che si basa sullo stesso meccanismo sesso-denaro – tra adulti consenzienti ad oggi non costituisce reato.
Il disporre liberamente della propria vita sessuale – almeno finché non si offende il pudore pubblico o non si esercita in modo da ledere diritti altrui o arriva ad atti di lesione della vita della persona – non si pone in contrasto con nessuna norma imperativa, sia essa civile o penale.
Al contrario – e qui entra in gioco l’ordine pubblico come sopra definito – la libertà sessuale è una delle libertà personali riconosciute nella nostra Costituzione, quale diritto fondamentale della persona ex art. 2 Cost.
Il contratto “intimo” tra l’assessore e la sua segretaria non può dunque dirsi, per come concretamente si è posto, contrario all’ordine pubblico.
Resta da domandarsi se un contratto di tal genere possa dirsi contrario al buon costume.
Il buon costume è un concetto che, a differenza dei due precedenti, non è statico.
È il concetto evolutivo per eccellenza.
Il punto di contatto tra la legge e la società che vive la legge.
Se da un lato questo concetto giuridico ha il meraviglioso pregio di rappresentare il punto in cui la legge e la società si toccano con mano e non perdono il loro primordiale legame, dall’altro soffre il vincolo del suo stesso pregio.
Di fronte alla società d’oggi, caratterizzata (ahinoi!) da un evidente abbassamento dei principi etici e della morale nel suo complesso, è opinione di chi scrive che non c’è e non può più esserci la stessa certezza nel concludere con serenità che un contratto come questo è effettivamente contrario al buon costume.
Se nel feudalesimo era lecito anche la clausola contrattuale “ius prime noctis”, per quale ragione non potrebbe esserlo oggi un contratto a prestazioni corrispettive e decisamente intime?
La società evolve e, contrariamente a quanto si pensa o si spera, non lo fa sempre nella direzione di un miglioramento.
Se questa (aberrante e spaventosa) riflessione ora rappresentata, dovesse trovare un seguito avrebbe importanti riflessi.
Resterebbe da valutare la liceità dell’oggetto (altro elemento fondamentale del contratto ex art. 1325 c.c.) ed infine, facendo leva sulla “costrizione” che la giovane segretaria dice di aver subito nel concludere il contratto, valutare la validità del consenso prestato.
Quanto all’oggetto, la risposta è immediata. Per quanto detto sopra, l’oggetto è lecito.
La prestazione sessuale in sé non viola alcuna norma imperativa né principi generali né il buon costume (così come sopra definito).
Quanto alla validità del consenso – cosa che al limite comporterebbe la sola annullabilità e nemmeno la nullità del contratto – bisognerebbe valutare in primo luogo se tale costrizione ci sia effettivamente stata (posto che il contratto è stato concluso successivamente rispetto a quello di lavoro offerto approfittando dello stato di necessità) e se in ogni caso si sia trattato di una costrizione tale da integrare l’errore, la violenza o il dolo previsti agli artt.1427 e ss. c.c..
Se la Corte di Cassazione, magari interessata alla vicenda, dovesse arrivare a concludere che i contratti sessuali come quello in questione sono validi, non solo si arriverebbe a suggellare la deriva della morale della nostra società, ma potremmo trovarci di fronte a cause di responsabilità civile per inadempimento…sessuale!
Di fronte a questa prospettiva lascio a chi si troverà nell’imbarazzante posizione di giudicare la risposta da dare alla domanda “ma il contratto a prestazioni intime è lecito?” e preferisco concludere molto saggiamente come Manzoni.
Ai posteri l’ardua sentenza.