della Dott.ssa LAURA FRANCESCHI (“Scienze e Tecnologie dell’ambiente e del territorio”; Università degli Studi di Milano-Bicocca)
È passata meno di una settantina d’anni da quando l’Homo Sapiens è riuscito letteralmente a conquistare lo spazio. Eppure, in un lasso di tempo così breve, è già stato in grado di produrre delle importanti alterazioni. Una delle più preoccupanti è quella legata alla generazione della spazzatura spaziale.
Infatti, secondo i dati rilasciati lo scorso aprile dall’Agenzia Spaziale Europea, nota con l’acronimo ESA, sono più di 30.000 i frammenti di detriti spaziali che sono stati registrati e che vengono regolarmente monitorati dalle reti di sorveglianza spaziale.
Come si genera la immondizia spaziale?
L’immondizia spaziale, spesso citata con le diciture inglesi space junk (rifiuto spaziale) o space debris (detriti spaziali), può essere generata in almeno tre modi diversi.
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1. Una parte dei detriti spaziali è costituita semplicemente da materiale esaurito, ossia non più in grado di svolgere le proprie funzioni e che, pur non avendo più alcuna utilità, resta in orbita a causa di mancanza di alternative per il conferimento.
2. Un’altra porzione dei rifiuti spaziali è formata dalle componenti dell’apparecchiatura che sono già state progettate per staccarsi durante i lanci e che poi finiscono per restare in orbita.
3. Infine, vi è una frazione dei rifiuti spaziali che sono generati direttamente nello spazio in quanto derivano dalle collisioni e dagli incidenti che coinvolgono attrezzature ivi presenti con i detriti già presenti in orbita
Implicazioni dei rifiuti spaziali
In particolare, l’ultima tipologia citata sembrerebbe quella maggiormente destinata a crescere nei prossimi anni e questo fenomeno ha un nome ben preciso: Sindrome di Kessler. Questa sindrome prende il nome dal consulente NASA Donald J. Kessler in quanto fu il primo a delineare lo scenario secondo cui il numero di detriti spaziali presenti all’interno della bassa orbita terreste diventa così elevato che gli oggetti vengono continuamente in collisione tra loro generando una reazione a catena che potrebbe portare ad un incremento esponenziale del volume dei detriti stessi aumentando contemporaneamente il rischio di ulteriori impatti.
Se si arrivasse al punto in cui la descrizione precedente non fosse più solo uno dei possibili scenari non si potrebbe più spedire nulla in orbita almeno per svariate generazioni. A risentirne non sarebbe solo il mondo scientifico dell’esplorazione spaziale ma anche tutto quello delle telecomunicazioni la cui evoluzione è strettamente dipendente dalla strumentazione presente in orbita.
Alcune alternative
Negli ultimi anni, presa coscienza della gravità del problema, sia enti pubblici che enti privati hanno iniziato a elaborare diverse alternative. Ad esempio, alcune delle nuove strumentazioni sono state costruite in modo tale che siano meno vulnerabili agli impatti. Questo permetterebbe di scongiurare la loro totale distruzione a seguito delle collisioni evitando, almeno in parte, l’aumento esponenziale dei detriti spaziali.
Un’altra soluzione potrebbe essere quella di costruire satelliti e altre apparecchiature in grado o di “auto-eliminarsi” al compimento della propria missione o che siano in grado di rientrare sulla Terra in completa sicurezza.
Quelle finora elencate sono soluzioni che hanno come obiettivo quello di evitare l’incremento della spazzatura spaziale ma qualcuno sta già lavorando a delle metodologie che permettono di andare a rimuovere gli oggetti già presenti nello spazio. In questo senso si stanno progettando delle apparecchiature in grado di agire come dei veri e propri “netturbini dell’orbita” recuperando fisicamente i detriti prodotti negli anni passati.
L’ESA, in particolare, ha all’attivo due progetti a questo scopo. Il primo prevede l’impiego di reti con un meccanismo del tutto assimilabile a quello messo in atto dai pescherecci in mare; invece il secondo è lievemente più complesso e prevede l’impiego di un robot spaziale che sia in grado di individuare l’oggetto da rimuovere e poi avvolgerlo in un abbraccio metallico al fine di riportarlo poi sulla Terra.
Perché è importante
Ieri, in occasione della notte di San Lorenzo, sono state moltissime le persone che hanno trascorso la propria serata rivolgendo lo sguardo verso qualcosa di tanto meraviglioso di cui però conosciamo ancora pochissimo. Si ha la tendenza a credere che le cose non cambino o comunque non lo facciano se non per migliorare ma non è così e anzi è ora di iniziare a prendersi cura di tutti gli aspetti della “nostra casa comune”.