25 anni fa se ne andava Gaetano Scirea. La memoria ci porta a ricordarlo insieme ad un altro grande campione, ma soprattutto un uomo.
Si sente spesso ripetere che il mondo del calcio non è più come una volta: tanti soldi, poche bandiere e sempre più interessi che ne contaminano la purezza. Ma soprattutto pochi campioni. E ancor meno uomini di valore morale.
Gentilezza, educazione, rispetto, attaccamento alla maglia. Sembra che si parli di un altro mondo, sicuramente di un altro sport.
Loro erano due fuoriclasse: in campo, ma soprattutto nella vita. Esempi. Ora gli esempi sono in via di estinzione.
Gaetano Scirea nasce a Cernusco sul Naviglio il 25 maggio 1953, uno dei migliori interpreti di sempre del ruolo di libero, il regista della difesa a 5 che col calcio moderno sparisce.
Diceva di lui il grande Gianni Brera: «Il povero Scirea era dolce e composto, di una moderazione tipica del grande artista. Non era difensore irresistibile né arcigno, era buono, ma completava il repertorio con sortite di esemplare tempestività».
Nato in una famiglia di modesta condizione sociale, esordisce in serie A nel 1972 nelle file dell’Atalanta, poi nel 1974 passa alla Juventus.
Gaetano Scirea e il bianconero cucito nel petto. Da allora non tolse mai più quella maglia, per tutta la vita.
Il giovane Scirea fu inserito in una difesa di sicuro affidamento formata da Cuccureddu, Gentile, Spinosi e Morini.
Divenne subito titolare, nel 77 vinse scudetto e coppa Uefa. Altro scudetto nel 1982, l’anno successivo Coppa delle Coppe, ancora campionato nel 1984 e Coppa campioni nel 1985 nella tragica finale allos tadio Heysel contro gli inglesi del Liverpool. E’ una Juventus fortissima, con Michel Platini a trasformarla in irresistibile. In quello stesso anno conquista anche la Coppa Intercontinentale sconfiggendo l’Argentinos Juniors, e Gaetano Scirea da capitano ha l’onore di sollevarla al cielo.
Lui invece era un terzino, forse il primo ad interpretare quel ruolo in modo così mdoerno ed offensivo. Fisicità e talento, orgoglio e classe.
Giacinto Facchetti nasce nel 1942 a Treviglio,e divenne presto il simbolo della Grande Inter dove approda giovanissimo nel 1960 scoperto e fortemente voluto da Helenio Herrera, il “mago”.
Quella squadra straordinaria si aggiudicò il campionato italiano nel 1962-63, nel 1964-65, nel 1965-66 e nel 1970-71, e la Coppa Campione nel 1963-’64 e nell’anno successivo, due Coppe Intercontinentali ed una Coppa Italia.
Era anche un abile goleador Giacinto: con l’Inter in 634 partite realizzò 75 gol.
Gaetano e Giacinto erano correttissimi in campo e nella vita.
Scirea concluse appese le scarpe al chiodo nel 1988 a 35 anni potendosi fregiare dello straordinario record di non essere mai stato espulso durante tutta la sua carriera.
Facchetti venne espulso solo una volta nell’arco di tutta la sua carriera.
Entrambi legarono la loro vita sportiva anche ai destini della nazionale italiana. Scirea di fatto andò a sostituire proprio Facchetti che negli ultimi anni di carriera veniva fatto giocare anche da libero dal CT Bernardini. Scirea divenne un baluardo della nazionale di Enzo Bearzot al Mondiale argentino del 1978 e in quello vinto in Spagna nel 1982 e poi capitano al mundiàl messicano del 1986.
Facchetti esordì in nazionale nel 1963 e da allora ne divenne pilastro e capitano, vincendo gli europei del 1968. Nella storia vittoria Italia-Germania 4-3 al Mondiale del Messico 1970 lui c’era, accanto a Tarcisio Burgnich in una delle coppie difensive più forti e longeve di tutti i tempi.
Dopo il ritiro Gaetano Scirea accettò il ruolo di allenatore in seconda e osservatore della Juventus allenata da Dino Zoff. La sua modestia ed umiltà lo portava a seguire personalmente gli avversari europei dei bianconeri prima di sfidarli nei match di Coppa.
E proprio durante una di queste trasferte, per osservare i polacchi di Gornik Zarbze, prossimi avversari in Coppa Uefa della Juventus, il 3 settembre 1989 Gaetano Scirea trovò la morte in un tragico incidente stradale, un tamponamento di per sé banale trasformatosi in rogo mortale perchè la macchina portava taniche di benzina necessarie per rifornirsi lungo il tragitto.
Durante la Domenica Sportiva, in diretta, Sandro Ciotti ne diede notizia suscitando sgomento e dolore.
Giacinto Facchetti, invece, quando lasciò il calcio divenne dirigente prima dell’Italia ai Mondiali del 1978 facendo di fatto da chioccia proprio a Scirea, poi nelle file dell’Atalanta col il ruolo di vicepresidente, e poi tornò definitivamente all’Inter, la sua casa, con l’avvento di Massimo Moratti. Prima Direttore Generale, poi vicepresidente dopo la morte di Peppino Prisco e infine presidente dal 2004.
Nel 2006 la terribile scoperta: tumore al pancreas, che in pochissimi mesi lo strappa alla vita.
Poi le polemiche, le inchieste del Procuratore Federale Palazzi che lo lambiscono, ma questo non intacca il ricordo di un uomo forte, di un campione generoso e di un lottatore che ha perso la battaglia più importante.
La memoria dei tifosi e degli amanti del calcio li accomuna: due campioni di vita, due grandi difensori nel rettangolo verde. Difensori di un modo di vivere il calcio, le passioni e la propria maglia che, purtroppo, ormai resiste solo nelle vecchie e sbiadite immagini di una realtà in Technicolor che, però, aveva molto più sapore del fullhd di oggi.
T.R.