“Sport e Diritti” – Salvatore Antibo, un grande uomo più veloce del piccolo male.

di Tommaso Rossi

Ci sono storie che nessuno ricorda. Storie di sport e di vita che non parlano di miliardi, spot, macchine veloci e mogli veline. Ci sono storie che danno brividi anche a distanza di anni, che insegnano e danno forza anche nei momenti più bui che tutti attraversiamo nella vita.
Quella di Salvatore “Totò” Antibo è una di queste storie.
Totò da Altofonte, in provincia di Palermo, alla conquista dell’Europa e dell’Olimpo a cinque cerchi del mezzofondo. Due volte campione europeo nei 5mila e 10mila metri nel 1990, vice campione Olimpico sui 10mila a Seoul 1988.
Il piccolo uomo bianco nelle categoria dove nell’atletica spadroneggiano etiopi e kenioti, il mezzofondo. Mai un europeo era arrivato così in alto.
Ma Salvatore detto Totò era sempre rimasto quel piccolo uomo venuto da Altofonte che solo correndo sembrava diventare grande. Grandissimo.
Poi la malattia, scoperta in diretta durante il Mondiale di Atletica di Tokyo del 1991. Parte tra i favoriti, Totò, a gara condotta nelle posizioni di testa, poi un ondeggiamento, un altro, Totò sbanda, rallenta, gli occhi sembrano spenti, assenti. Totò perde posizioni, è ultimo, non è lui. Sta male, nessuno se ne accorge durante la diretta. Arriva ultimo, ma arriva il piccolo grande uomo siciliano.

Epilessia: il “piccolo male”, il grande uomo sembra vinto, sconfitto. Il ritiro. E poi il ritorno, Antibo è più grande di quel piccolo maledetto male. Tornò a gareggiare l’anno dopo ottenendo uno straordinario ed emozionante quarto posto alle Olimpiadi di Barcellona 1992 e mostrando al mondo intero come si può sconfiggere la malattia.

Poi il ritiro definitivo.

«Ho battuto gli etiopi. Ho battuto gli africani. E dovrei smettere di correre per colpa di un piccolo male? Mai, non smetterò mai», giurava Salvatore Antibo,nel 2009 in una intervista al Corriere della Sera.

La malattia si era già manifestata da anni, ma andava avanti, Totò, con il suo sogno olimpico e il suo cuore grande. Soffre maledettamente nel ricordare quel giorno il grande Totò:, ancora a distanza di oltre vent’anni.Ma lo fa. «Per tutti quei bambini che vivono chiusi in casa. I genitori si vergognano o hanno paura delle convulsioni. E invece no, supplico le famiglie, lasciateli uscire, liberateli. Devono fare come me. Eccomi, sono Antibo, ho l’epilessia, l’epilessia canaglia, e non mi nascondo. Ogni domenica vado in chiesa. Sono affezionato al Signore. Non prego per me. Prego per loro». Tre volte a settimana Totò ancora corre, 40 minuti, per le vie del suo paese.

Salvatore Antibo è costretto a curarsi con 1.200 grammi di farmaci al giorno, per frenare le crisi. E sopravvive grazie al vitalizio della “legge Onesti” e all’amore della famiglia e dei tanti sportivi che ancora, a distanza di anni, abbracciano con un ideale, fortissimo applauso quel piccolo grande uomo che aveva saputo battere gli etiopi e ha saputo battarsi con coraggio contro un male subdolo, chiamato “piccolo” ma davvero tanto tenace e crudele.

 

 

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