Il tennista serbo trionfa anche agli Internazionali di Roma
di Avv. Valeria Marini
Novak Djokovic nasce a Belgrado il 22 maggio del 1987. La sua è una famiglia piuttosto sportiva: il padre vanta una discreta carriera come sciatore professionista, nonché come calciatore; a ciò si aggiungono due zii anch’essi sciatori e due fratelli tennisti. Già ai tempi dell’asilo Novak è incuriosito dal tennis, e non solo per emulazione dei fratelli. Il piccolo Nole – così è soprannominato in famiglia – passa intere ore incantato davanti alla televisione, sognando di diventare un famoso tennista come il suo più grande idolo, Pete Sampras. Alla fase statica della tv segue poi l’acquisto della prima racchettina color “arcobaleno”, che Novak impugna all’età di quattro anni, e di alcune palline di gomma, con le quali il bambino gioca ore ed ore di fronte al muro della pizzeria gestita dai genitori a Kopaonik. Nell’estate 1993 Jelena Gencic, una delle maestre di tennis più famose del Paese, approda con un gruppetto di allievi nei campetti da tennis costruiti di fronte alla pizzeria dei Djokovic. Non è esattamente il migliore degli scenari, per una Serbia ancora scossa dai disastri bellici, quello in cui il piccolo Nole si ferma incantato ad osservare i corsi estivi di fronte casa. La maestra lo invita ad unirsi ai suoi allievi, ed è così che il timido Novak si cimenta per la prima volta nello sport che tanto lo incuriosisce. Nole ha un corpicino esile e magro: quel rovescio a una mano non fa proprio per lui. Dopo due anni di tentativi, la maestra Gencic lo convince ad aggiungere la seconda mano ed inizia a costruire quello che poi sarebbe diventato uno dei maggiore punti di forza del suo tennis. Queste le parole pronunciate dalla coach di fronte alla famiglia del bambino: “tra i miei allievi c’è un piccolo genio, un bambino d’oro. Vostro figlio ha del talento, deve giocare a tennis: diventerà un campione”. Tanto profetiche quanto poco credibili le parole dell’allenatrice agli occhi dei coniugi Djokovic: considerando la condizione socio-economica a dir poco devastata della Serbia degli anni ’90, quali remote probabilità avrebbe avuto il loro piccolo di diventare un professionista nel tennis? Non la pensava proprio allo stesso modo Novak, che in quelle racchette ha sin da subito creduto. Si trasferisce lontano dalla famiglia, in Germania, per inseguire un sogno. Già all’età di 12 anni viene iscritto all’accademia di Nikola Pilić a Monaco. Terminata l’esperienza tedesca, durata circa due anni, nel 2001 il giovane Djokovic si laurea campione d’Europa, in singolo, doppio e a squadre. Nello stesso anno, a San Remo, si aggiudica l’oro con la sua nazionale, i cosiddetti “Blues”, arrivando al secondo posto ai campionati del mondo. Nel 2003 è uno dei migliori tennisti del circuito juniores. Nel 2004 arriva l’esordio tra i professionisti che lo piazza, nell’arco di qualche mese, già a metà classifica del ranking mondiale. Nell’anno successivo emerge nei Grande Slam di Parigi, Melbourne e Londra. Sempre nel 2005 va annoverata la sua prima partecipazione a Wimbledon, sul campo che anni dopo gli consentirà di diventare il primo giocatore al mondo. L’annata 2006, non esaltante nella prima parte (Novak esce praticamente subito all’Australian Open, al torneo di Zagabria e a Rotterdam), è interessante soprattutto per la rivincita che si aggiudica il serbo al Master di Miami, contro Rafael Nadal, vincitore l’anno prima contro di lui. È ai quarti che supera lo spagnolo, sfruttando bene i suoi turni di battuta. In agosto il tennista serbo si aggiudica il torneo di Montreal: gli ultimi tre avversari che batte portano i nomi di Andy Roddick, Rafael Nadal e, in finale, per la prima volta, Roger Federer. Il piccolo Nole ha 19 anni ed è già terzo nel mondo alla fine dell’anno. Nel 2008 trionfa letteralmente all’Australian Open, arrivando in finale praticamente senza mai perdere un solo set durante tutta la competizione. Alle Olimpiadi di Pechino del 2008 conquista il bronzo dopo aver schiacciato l’americano James Blake. Dubai, Pechino, Basilea e Parigi sono le quattro città che vedono Novak Djokovic trionfare sugli avversari in un 2009 assolutamente ricco di soddisfazioni sportive. Nel 2010 conquista la seconda posizione mondiale, dopo essere uscito ai quarti di finale dagli Australian Open a causa di problemi di salute. L’anno successivo vince subito gli Open di Australia, fa tris a Dubai e si presenta alla finale del BNP Paribas Open con un record di vittorie senza precedenti, durato circa un anno. Dopo aver battuto per l’ennesima volta Federer in semifinale, il tennista di Belgrado batte per la prima volta in una finale Rafael Nadal. A Wimbledon, nel 2011, la scalata al successo: battuto in semifinale il francese Tsonga, Djokovic diventa automaticamente il numero uno al mondo, coronando il sorpasso anche sul campo, con la vittoria in finale contro Nadal. Subito dopo un nuovo record, diventando il primo giocatore della storia a vincere 5 titoli Atp Masters 1000 nello stesso anno. Il 6 febbraio 2012, dopo aver vinto per la terza volta gli Open australiani, viene premiato a Londra con il Laureus Award: un premio che, nello sport, vale quanto un Oscar al cinema.
Molto recente è poi la pubblicazione di un insolito libro: “il punto vincente”. Insolito perché è soprattutto la storia di una caduta – il doppio fallo del 27 gennaio 2010 e la sconfitta contro il francese Tsonga agli Australian Open (“il punto più basso della mia carriera”) – e di una rinascita, culminata nel trionfo a Wimbledon e nella conquista della vetta della classifica mondiale, nel 2011. Il libro offre la possibilità di curiosare nella mente di un atleta d’elite che ha raggiunto l’apice di uno sport aspramente competitivo in un’epoca ancora più competitiva.
Nello spiegare com’è salito dalla terza posizione ad un indiscutibile primato nel tennis maschile negli ultimi anni, Novak Djokovic ha attribuito molta importanza ad una nuova alimentazione, intrapresa proprio nel 2011 dopo aver scoperto di essere fortemente intollerante al glutine. “Non è stato però l’unico segreto dietro il mio successo. Ho un approccio molto olistico: la mia dieta, il benessere, gli esercizi, la mentalità, il pensiero, le persone che ho intorno a me, dove vivo, quello che faccio. Tutte queste cose combinate fanno sì che io sia dove mi trovo. Gli psicologi la chiamano mindfulness, consapevolezza. È una forma di meditazione secondo cui, invece di tentare di mettere a tacere i pensieri, li accogliamo così come si presentano alle mente. Faccio questi esercizi ogni giorno per un quarto d’ora e li considero altrettanto importanti dell’allenamento fisico. Poi pratico lo yoga, per sciogliere i muscoli, e alcuni esercizi di respirazione. Cerco di ascoltare me stesso attraverso la pace e il silenzio, per essere sereno e felice”.
Una rinascita che, a giudicare dalla storia di questo campione, lo ha portato e continua a mantenerlo sulla cresta dell’onda.
Da diversi anni impegnato a sostenere la crescita e l’educazione dei bambini serbi meno abbienti, il tennista prodigio è anche ambasciatore Unicef.