FESTIVAL MUSICALE, REPORT DAL MAROCCO
– ESSAOUIRA (MAROCCO) – di Tullio Bugari –
Gnaoua è un genere musicale ai più ignoto che affonda le sue radici lontano nei secoli. Una parola magica che risuona ancora oggi in modo collettivo, evocando con verve profonda una tradizione che trae origine dall’Africa centrale e occidentale, attraverso i discendenti di gruppi etnici che hanno condiviso la condizione dell’esilio e della schiavitù. Una tradizione pregna di misticismo e riverberi ancestrali, di cui sono custodi alcune confraternite magrebine. Di tutto ciò abbiamo seguito le forti tracce. Sapevamo che in Marocco, la gnaoua ha il suo cuore pulsante a Essaouria, una città lungo la costa centro-occidentale, a circa 200 chilometri ad ovest di Marrakecht. Una città davvero speciale, sul cui volto soffia quasi ininterrottamente il vento dell’oceano Atlantico. Una città antichissima, fondata dai Fenici, i primi europei a mettervi piede furono i portoghesi, oggi abitata da marocchini e berberi. Singolare la presenza di una sinagoga, in quello che fino agli anni successivi alla seconda guerra mondiale era il grande quartiere della vastissima comunità ebraica. Ad Essaouira – che ci ha accolti in modo caloroso e seducente dal 12 al 15 maggio scorso – abbiamo trovato e abbracciato con tutti i nostri sensi il “Festival della musica gnaoua”, un festival che si ripete da 19 anni, un’esperienza che in questo fazzolettino d’Africa, sull’onda della musica, va oltre l’aspetto performativo. Ancor prima dell’avvio e del crescente successo del festival, a partire da oltre mezzo secolo fa, la simbiosi fra Essaouira e la gnaoua è stata caratterizzata da una larga apertura al resto del mondo, compreso l’emisfero nord occidentale dei paesi ricchi. Un’apertura che ha visto concretizzarsi, ha reso palpabile la capacità del linguaggio musicale al plurale di travalicare ogni confine, creando sovrapposizioni e contaminazioni non solo con le espressioni popolari, etniche e folk di matrice europea e americana, ma anche con il rock.
Nella gnaoua gli strumenti hanno una funzione precisa, riproposta anche nelle forme più moderne, che si fanno spettacolo. Il guembrì è nello stesso tempo uno strumento con tre corde e uno strumento a percussione. Il manico sembra un bastone, la cassa armonica è una scatola allungata. Sessanta centimetri per 20 per 15, le misure esatte tramandate da centinaia di anni. Assieme al materiale costitutivo, legno di pioppo. E alla raccomandazione di non lasciare il guembrì mai incustodito o in luoghi non adatti. Prescrizioni da rispettare, altrimenti c’è il rischio di suscitare l’ira dei “mlūk”, gli spiriti.
Il suono è teso, penetrante ed elegante. Si ripete ciclicamente accarezzando corpo e anima. E sprigiona la sua massima energia nelle occasioni in cui la gnaoua torna ad essere parte pienamente integrante della “derdeba”, l’antico ma ancora vivo rituale di possessione e guarigione cui è stata legata fin dalle sue origini. Una cerimonia che si fonde, assumendone in pieno lo stesso significato rituale, con la “lila”, parola in arabo che sta per notte. Sono lunghe, profonde e estremamente suggestive le lunghe “notti-lila” di Essaouira. Iniziano quando i musicisti passano dalla esecuzione del repertorio profano alla riproposizione di quello sacro. E allora, attraverso la musica e la danza, è la sofferenza del passato – eco del viaggio degli schiavi lungo l’Atlantico verso le Americhe – che è rivissuta come qualcosa di reale, che ancora esiste e viene rievocata per controllarla affinché non si ripeta o non sfugga al controllo. Fondamentale, quasi da culto, nella ritualità come nei live più estemporanei e profani, il ruolo del “maalem”, il maestro, il personaggio deputato a suonare il guembrì. E’ lui il frontman che dà anche la voce principale al gruppo. I compagni lo accompagnano con i crotali, sonagli di ferro agitati in coppia, e con i tamburi, cimentandosi in corali controcanti. Una musica coreutica e ripetitiva, la gnaoua, che cresce leggera e invita a una danza fatta di piccoli passi e movimenti che si sciolgono. I “maalem” coi loro suonatori d’accompagnamento si esibiscono sui palchi, in piazza Moulay Hassan, sulla spiaggia, sulle piazzette, dall’alto di un particolare torrione. Di fronte a un pubblico divenuto sempre più cosmopolita, edizione dopo edizione della kermesse. Suonano e cantano i “maalem”, interagendo con artisti stranieri. Un trend manifestatosi ancor prima che venisse organizzato l’edizione d’esordio. Negli anni Sessanta il Living Theatre scelse proprio Essaouira come base delle sue produzioni e sperimentazioni. Ad Essaouira passarono e lasciarono il segno Jimi Hendrix, i Rolling Stones, i Led Zeppelin e un numero crescente di altri musicisti e “creativi”, giunti fin qui per cogliere le vibrazioni profonde di questa terra. L’incontro sempre più frequente con i gruppi musicali locali rese alla fine dei “formidabili sixties” Essaouira una delle più originali, peculiari città hippye. E ancora oggi il festival è una grande vetrina, dove c’è posto per l’alternanza di stili e contributi provenienti dalla musica etnica, popolare, a volte sperimentale di altri paesi africani e del nord del mondo. In questa 19° edizione si è esibito il sassofonista statunitense Christian Scott. E c’è stato lo spettacolo degli artefici del progetto “N3rdistan” – molto attivi anche in Europa -, caratterizzato da una fusione “mistico-metropolitana” di ritmiche ripetitive vicinissime al rap con la poesia araba classica. Contaminazioni, anche oltre la musica. Va rimarcato. Come quella di cui, sempre in questa edizione 2016, è stato protagonista l’anconetano Giacomo “RUN” Bufarini. Figura di spicco della “street art” e del “wall painting”, residente a Londra, operativo a livello internazionale, è stato invitato dalla Biennale d’Arte di Marrakech a dipingere proprio ad Essaouira, in piazza, nei pressi del palco principale. Accade ed è accaduto che la notte della gnaoua si sposi con altre notti “vicine” sebbene lontane migliaia e migliaia di chilometri. Come nel caso della “Notte della Taranta”. I musicisti gnaoua sono stati invitati in Italia al festival salentino, un’occasione per suonare e tenere corsi. Un’occasione colta, nel recente passato, anche da un “big” del calbro di Nour Eddine, musicista marocchino per molto tempo stabilitosi a Roma.
La gnaoua e la musica in genere a Essaouira è ovunque. Nei laboratori gli artigiani fabbricano guembrì o scaldano le pelli dei tamburi, sulle quali disegnano mani o altre figure usando l’hennè. Nelle piazzette incontriamo gruppi di 4 o 5 musicisti con guembrì e crotali, confraternite che si preparano per entrare in scena, suonatori ambulanti da soli o in coppia. Attorno una fiumana di gente, turisti spesso mischiati con persone e famiglie del posto. E ancora, i ragazzi marocchini, sub sahariani, o figli della diaspora, in giro con il sacco a pelo come nei festival d’altri tempi in Europa. Li immagini in viaggio in autostop. Ci imbattiamo spesso in artisti e collettivi di strada magrebini: c’è chi ci regala canzoni dell’algerino Cheb Khaled, chi si esibisce nell’arte circense in cambio di qualche Dhiram, la moneta locale. Essaouira è un bazar all’aperto con i suoi multiformi oggetti: borse di pelle, tessuti di lino, prodotti di argan, anelli, bracciali; oggetti incisi nel legno, antichi o realizzati in modo fedele agli originali. “Stiamo lavorando perché la musica gnaoua entri a far parte del patrimonio dell’UNESCO”, ha detto Neila Tazi, curatrice del festival. E condividendo questo auspicio diamo l’arrivederci ad Essaouira.
(reportage tratto da Urlo – mensile di resistenza giovanile)