di Jessica Di Biase **
Per Freud i lapsus non sono semplici errori casuali ma sono modi di espressione indiretta del nostro inconscio. La sentenza 16458/2020 della Cassazione Sez. III Penale ne è l’esemplificazione perfetta. Ora vi spiego il perché. Nella decisione, per ben tre volte, troviamo l’espressione “perizia disposta dal PM”, espressione con cui la Corte sembra trascurare la distinzione tra perizia (mezzo di prova “neutro” perché disposto dal giudice, equidistante dalle parti, che vi ricorre quando sia necessario l’intervento di un soggetto con particolari competenze tecnico-scientifiche) e consulenza tecnica (mezzo a disposizione delle parti, tra le quali il PM, previsto per rendere effettivo il loro diritto alla prova, quando questa possa essere fornita solo con determinate competenze tecnico-scientifiche). Un semplice errore di confusione, si potrebbe pensare; in realtà, leggendo integralmente la sentenza, comprendiamo che quella espressione è un vero e proprio lapsus freudiano, cioè corrisponde esattamente alla concezione che ha la Corte dell’apporto dato dal consulente tecnico nominato dal PM al processo: per la Corte infatti le conclusioni del consulente tecnico (di seguito CT) nominato dal PM “hanno una valenza probatoria non comparabile a quella (delle conclusioni) dei CT delle altre parti”, in quanto perseguirebbe, il CT della parte pubblica, la stessa precipua funzione che persegue l’organo che lo ha nominato, che la Corte individua ex articolo 358 cpp nell’accertamento dei fatti.
La pretesa maggiore affidabilità del CT del PM non è però compatibile con un sistema accusatorio come il nostro, con tutte le edulcorazioni che pure lo caratterizzano. Nel sistema accusatorio vige, infatti, il principio della parità delle parti: il PM, seppur parte pubblica, è pur sempre una parte, quindi per dimostrare la colpevolezza dell’imputato (che è innocente fino a prova contraria: presunzione d’innocenza, cardine del sistema) deve avere a disposizione le stesse armi che hanno a disposizione le altre parti. Prevedendo invece che il CT del PM abbia maggiore attendibilità, si svantaggia la Difesa, che non solo vedrà compromesso il proprio ‘diritto di difendersi provando’ perché deve confutare affermazioni dotate di una presunzione di maggiore attendibilità, non prevista dal codice, per il solo fatto che provengano dal consulente dell’Accusa, ma si vedrà inoltre gravata da un’inversione dell’onere probatorio, che la Legge pone a carico dell’Accusa, in quanto dovrà essere essa stessa a confutare in modo specifico le conclusioni del CT del PM se non vuole che queste vengano assunte per vere dal giudice.
Questa incompatibilità è confermata dall’assetto normativo che infatti prevede che il PM si avvalga di un CT e non dello stesso perito del giudice, come era nel precedente codice, proprio perché la funzione precipua del PM è sostenere l’ipotesi accusatoria (per questo è parte, a questo fine svolge le indagini) ed è in quest’ottica che si avvale del consulente, che fornirà quindi una valutazione tecnica in linea con la ricostruzione dell’Accusa stessa (infatti il codice non prevede che il CT presti giuramento).
Non sembra condivisibile neppure la premessa che conduce a questo risultato (cioè che la maggiore attendibilità del CT del PM derivi dal fatto che il suo compito sarebbe accertare i fatti, stesso compito dell’organo che ha nominato): infatti compito precipuo del PM è dimostrare la colpevolezza dell’imputato, dimostrazione cui è funzionale il CT, e non invece l’accertamento dei fatti, compito del giudice. Rinvenire nell’articolo 358 cpp, nella parte in cui prevede che il PM svolga accertamenti su fatti e circostanze a favore della persona sottoposta alle indagini, l’attribuzione al PM della funzione tipica invece del giudice, significherebbe realizzare una sovrapposizione tra PM e giudice, inaccettabile in un sistema accusatorio. Più compatibile con il nostro sistema è invece l’interpretazione che vede la ricerca di elementi anche a favore dell’indagato come funzionale ad un corretto esercizio della scelta tra azione ed inazione del PM, in quanto laddove esercitasse l’azione penale senza avere il quadro completo degli elementi (inclusi quindi quelli a favore) ne rischierebbe il fallimento irrimediabile alle prime battute del processo appena instaurato.
A modesto parere di chi scrive, attribuire maggiore affidabilità al consulente di una delle parti rischia anche di indebolire l’obbligo motivazionale del giudice, che potrebbe tranquillamente preferire le conclusioni dell’uno senza sforzarsi di motivare questa preferenza con argomentazioni che si basino sul merito delle conclusioni, ma con il semplice rilievo della pretesa maggiore autorità della fonte dalla quale provengono queste argomentazioni.
L’unico criterio per misurare l’attendibilità effettiva è la forza delle argomentazioni.
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Bibliografia/Sitografia:
- “Una grave mistificazione inquisitoria: la pretesa fede privilegiata del responso del consulente tecnico dell’accusa” – Roberto E. Kostoris, Sistema Penale
- “Spangher: né inquisitorio né accusatorio. Il nostro è un modello misto ma è saltato nel 1992”, intervista a Giorgio Spangher a cura di Giulia Merlo, Il Dubbio
- “L’art. 358 c.p.p. è davvero il lasciapassare che permette di attribuire una fede privilegiata alle attività di indagine dell’accusa?” – Sofia Barbera, Diritto.it
- “Quale status per il consulente tecnico del Pubblico Ministero?” di Annalisa Gasparre, Diritto Penale Contemporaneo
- “Fondamenti di Procedura Penale”, Cedam, Wolters Kluwer
**ARTICOLO SELEZIONATO COME VINCITORE DELLA CATEGORIA “DIRITTO PENALE” del progetto di Law Review realizzato in collaborazione tra Associazione Culturale Fatto&Diritto e ELSA Macerata